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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 5 giugno 2025, n. 15088.

di Veronica Valeria Loi

Avvocato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15088 del 05.06.2025 offre un utile résumé che, ancora una volta, mette in evidenza come la tutela del debitore ceduto ruota, come sempre, intorno alla precisione e alla tempestività delle eccezioni e/o contestazioni che si possono muovere alle asserite cessionarie.

I giudici di legittimità, infatti, nella pronuncia in commento, sono tornati sull’annoso tema delle cessioni dei crediti in blocco ex art. 58 TUB, che da tempo, ormai, “infervora” il contenzioso bancario, soffermandosi sulla differenza tra “legittimazione al giudizio” e titolarità del rapporto” (e le preclusioni processuali delle relative eccezioni) e sul thema probandum della cessione, a seconda della contestazione (o meno) dell’esistenza del contratto, per poi concentrandosi, in particolare, sulla rilevanza probatoria dell’avviso in Gazzetta Ufficiale ai fini della prova dell’avvenuta cessione e/o dell’inclusione del credito nell’ambito dell’asserita operazione di trasferimento in blocco e sulla valutazione, in generale, delle “mancatecontestazioni.

Il caso.

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 276 del 17 marzo 2022, nel pronunciarsi su due separati gravami relativi ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, resa nel contraddittorio con una società SPV s.r.l. unipersonale, ivi intervenuta, tramite la sua mandataria, quale cessionaria in blocco dei crediti, e nella contumacia della Banca cedente: «in accoglimento degli appelli propostiaveva dichiarato “l’inammissibilità della costituzione in giudizio” della SPV s.r.l. “per carenza di legittimazione e titolarità del credito dedotto in giudizio”.

Più nello specifico, la Corte dorica, accogliendo l’eccezione “formulata, per la prima volta”, dagli opponenti “nella comparsa conclusionale d’appello”, richiamando tutta una serie di precedenti giurisprudenziali della Suprema Corte[1], aveva dichiarato la “carenza di legittimazione e titolarità del credito dedotto in giudizio” in capo alla società SPV- intervenuta “sul presupposto che non potesse costituire piena prova del diritto di credito in questione il solo avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (…), in mancanza di produzione del contratto di cessione.

Avverso tale sentenza, proponeva ricorso in Cassazione uno degli opponenti/appellanti, affidando il gravame ad un unico motivo a mezzo del quale lamentava che la Corte territoriale avrebbe “omesso qualsivoglia deliberazione” sul punto, concentrando unicamente la propria attenzione sulla questione, non incidente sul merito, attinente al difetto di legittimazione ad intervenire” della società cessionaria.

Con controricorso, resisteva la società SPV s.r.l. unipersonale, tramite la propria rappresentante, proponendo anche ricorso incidentale, affidato a cinque motivi, a cui, a sua volta, ha resistito il ricorrente principale con controricorso ex art. 371, comma 4, cod. proc. civ.

La decisione.

La Cassazione ha accolto sia il ricorso principale e, nei limiti di cui in motivazione, quello incidentale della SPV s.r.l.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, la censura mossa dal ricorrente principale “è manifestamente fondata, posto che, come agevolmente emerge dal complessivo testo della sentenza oggi impugnata, la corte distrettuale, pur dando atto (…) delle puntuali ragioni per cui l’appellante/oppnente aveva chiesto la riforma della decisione del tribunale, non ha poi minimamente statuito sulle stesse, tutto il suo argomentare essendo stato rivolto esclusivamente allo scrutinio dell’eccezione di difetto di legittimazione” dell’intervenuta.

Mentre, con riferimento al controricorso incidentale, secondo il Supremo Collegio “gli argomenti utilizzati dalla corte d’appello per negare l’avvenuta successione” della società SPV s.r.l. “nel diritto di credito (…) controverso non possono ritenersi conformi ai principi sin qui esposti, risultando del tutto erronea, in diritto (ancor prima, dunque, del corrispondente accertamento fattuale) la sua affermazione per cui l’unica modalità di prova di detta successione doveva essere la produzione del contratto di cessione di crediti in blocco”.

 

I. La differenza tra “legittimazione ad agire” e “titolarità del diritto sostanziale”

Rimandando alla lettura della sentenza per l’interessante disgressione iniziale che gli Ermellini fanno in merito ai limiti e soggettivi e oggettivi dell’impugnazione incidentale tardiva, per quanto qui d’interesse, invece, l’attenzione è focalizzata, in primis, nell’avvertita necessità dei giudici di Piazza Cavour di chiarire la differenza tra “legittimazione ad agire” e “titolarità del diritto di credito”.

A tal proposito, gli Ermellini ribadiscono che “la questione relativa alla possibilità di far valere il difetto di legittimazione di una parte in giudizio va esaminata alla luce di quanto chiarito, nel contesto di una valutazione complessiva dei profili attinenti alla legittimazione al giudizio ed alla titolarità attiva e passiva del rapporto, dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 2951 del 2016”.

Due concetti giuridici che vengono spesso confusi e sovrapposti.

Pertanto, la Suprema Corte, ai fini di una maggior chiarezza – in perfetta continuità con quanto già ribadito dalla stessa Corte con la Cass. n. 30207 del 2024 – riafferma “che la legittimazione ad agire serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire in giudizio”. Infatti, “ragionando ex art. 81 cod. proc. civ., per il quale «Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui», “essa spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare. Secondo una tradizionale e condivisibile definizione, la “parte” è il soggetto che in proprio nome domanda o il soggetto contro il quale la domanda, sempre in proprio nome, è proposta. Oggetto di analisi, dunque, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l’istante deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio”.

È evidente, quindi, che “una cosa” èla legittimazione ad agire, altra cosa” è “la titolarità del diritto sostanziale oggetto del processo[2]: ciò che rileva, infatti, “è la prospettazione[3].

Difatti, “la legittimazione ad agire, dal lato attivo o passivo, mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda o delle difese della parte convenuta o, come nella specie, interveniente, emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore, al convenuto o, come nella specie, all’interveniente”.

Ne consegue che, nella vicenda specifica, “la legittimazione ad intervenire della (…) SPV s.r.l. unipersonale, tramite la sua mandataria (…), deve considerarsi sussistente in ragione della mera sua affermazione di essersi resa cessionaria da **** s.p.a. – a sua volta incorporante Banca *** s.p.a. – del credito (…) controverso”.

La titolarità del diritto sostanziale, invece, “attiene (…) al merito della causa, alla fondatezza della domanda.

Ne consegue che anche i rispettivi “regimi giuridici sono (…) diversi”, rilevando nel caso specifico sub judice, “il secondo di essi”.

Al riguardo, la Suprema Corte ricorda che, per consolidata ed univoca la giurisprudenza, “la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Del resto, non si pongono problemi probatori, perché si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta.  

Risulta, quindi, del tutto “comprensibile (…) che la questione non sia soggetta a preclusioni, in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio o impone un obbligo a chi, per stessa prospettazione dell’istante, non era tenuto a subirlo”.

Del resto, nella realtà di fatto, “ciò accade raramente e l’incidenza pratica di tale tipo di questione può ritenersi trascurabile”. Infatti, come evidenziano gli Ermellini, “in molti casi si parla di legittimazione ad agire, ma impropriamente, in quanto il problema è diverso, attiene al merito della causa e riguarda non la prospettazione ma la fondatezza della domanda: si tratta di stabilire se colui che vanta un diritto in giudizio sia effettivamente il titolare.

Ed è proprio quest’ultima ipotesi che si è verificata in concreto nella fattispecie oggetto di causa.

A tal proposito è bene precisare che, per quanto attiene alla “titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio, la difesa con la quale il convenuto, ma anche l’attore, si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare, rispettivamente, che l’attore non è titolare del diritto azionato o che il convenuto non è titolare della situazione soggettiva dedotta in giudizio, integra una mera difesa[4], sicché è stato chiarito che il rilievo espresso al riguardo dalla parte interessata non è un’eccezione, con la quale si contrappone un fatto impeditivo, estintivo o modificativo, né, quindi, un’eccezione in senso stretto, proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d’ufficio, ben potendo la relativa proposizione avvenire in ogni fase del giudizio (in Cassazione solo nei limiti del giudizio di legittimità e sempre che non si sia formato il giudicato) con possibilità, a sua volta, per il giudice di rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d’ufficio”.

Opportunamente la Suprema Corte ricorda, inoltre, che “la non contestazione può rilevare soltanto per la questione (di merito) attinente alla titolarità della posizione attiva o passiva del rapporto e deve essere attentamente valutata dal giudice, specie quando non attenga alla sussistenza di un fatto storico, ma riguardi un fatto costitutivo ascrivibile alla categoria dei fatti-diritto, in tale ambito il semplice difetto di contestazione non imponendo alcun vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte, anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto[5].

Alla stregua di tali osservazioni, dunque,  la contestazione del difetto di legittimazione passiva della *** SPV s.r.l. come effettuata dal *** non si pone in contrasto con i richiamati principi, che valorizzano la possibilità, sia per il rilievo di carenza di legittimazione passiva, che per quello relativo alla deduzione di carenza di titolarità passiva del rapporto, di sollevare in ogni fase del giudizio la relativa eccezione, e con la possibilità di valutare un contegno di non contestazione solo con riguardo alla titolarità attiva o passiva del rapporto.

 

II) Sul thema probandum e il valore probatorio dell’avviso in G.U.

Fermo quanto precede, il Collegio rileva, poi, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il soggetto che proponga impugnazione oppure vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la provala cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ.[6].

Pertanto, alla stregua del descritto indirizzo ermeneutico, nel caso specifico sub judice, la SPV, al fine di giustificare la propria legittimazione ad intervenire in sede di appello per essere subentrata nella titolarità del credito di cui si discute, avrebbe dovuto non soltanto allegare ma anche fornire la dimostrazione della relativa circostanza, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, era, (…), rilevabile d’ufficio”.

Ciò premesso, la Corte rileva, però, che, nel caso di specie, la SPV, ricorrente incidentale, “ha dichiarato di avere (…) depositato, fin dalla sua tempestiva costituzione già in sede di inibitoria, l’avviso di cessione, ove risultavano riportate, il tipo di crediti ceduti (id est per capitale, interessi, accessori, spese etc.); gli istituti di credito cedenti, tra cui *** s.p.a.; la fonte dei crediti (contratti di mutuo, apertura di credito o finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e perone giuridiche, come quello per cui è causa); la data di formazione del credito (crediti sorti nel periodo compreso, per ciascuno dei cedenti, tra l’1 gennaio 1995 ed il 31 dicembre 2017 e qualificati come attività finanziarie deteriorate, tra i quali rientrava, a suo dire, quello de quo)”.

Orbene, seconda la Suprema Corte “ciò che non persuade della pronuncia oggi impugnata è l’avere la stessa preteso come unica modalità di prova della successione di *** SPV s.r.l. nel diritto controverso la produzione del contratto di cessione di crediti in blocco.

Gli Ermellini, infatti,  osservano come “in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito[7], benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.

Questo “principio vale, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione e in qualunque forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto; quindi, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B”.

Del resto, continua il Supremo Collegio, i precedenti arresti della Suprema Cortein cui pare farsi riferimento alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia della cessione quale prova della stessa vanno rettamente intesi”.

I Giudici di legittimità ribadiscono, infatti, che “una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima(…)[8], ovvero, più specificamente, che «la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta»[9]”.

Inoltre, va anche tenuto presente che, “come condivisibilmente puntualizzato da Cass. n. 17944 del 2023[10]:

a) la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma; dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità;

b) opera, poi, certamente, in proposito, il principio di non contestazione; c) va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B.”.

 

a) In caso di mancata contestazione dell’esistenza della cessione.

Sulla base di tal puntualizzazioni, la Suprema Corte ribadisce che “quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete.

Pertanto, “in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum)”. In quest’ipotesi, infatti, “il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco).

Di conseguenza, “sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentono, o meno, di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario (di modo che, solo laddove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo.

 

b) In caso di specifica contestazione della stessa esistenza del contratto cessione.

Ben diversa, invece, è l’ipotesi in cui “sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in questo caso, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, (…), di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, quindi, come tale, neanche la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco”.

 

c) Sulla possibile prova presuntiva della cessione”.

I giudici di legittimità precisano, però, che questo “non esclude che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui l’avviso risulti pubblicato su iniziativa della stessa banca cedente o di quest’ultima unitamente alla società cessionaria, ovvero quando vi siano altre particolari ragioni che inducano a ritenerlo un elemento che faccia effettivamente presumere l’effettiva esistenza della dedotta cessione.

In questi casi, “la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito e detto accertamento, come è ovvio, se sostenuto da adeguata motivazione, non sarà sindacabile in sede di legittimità”.

* * * * *                

Sulla base di quest’iter argomentativo, tornando alla fattispecie specifica oggetto di impugnazione, ecco perché, secondo i Giudici di Piazza Cavour, gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello dorica per negare l’avvenuta successione della SPV s.r.l. nel diritto di credito controverso, “non possono ritenersi conformi ai principi (…) esposti, risultando del tutto erronea, in diritto (ancor prima, dunque, del corrispondente accertamento fattuale) la sua affermazione per cui l’unica modalità di prova di detta successione doveva essere la produzione del contratto di cessione di crediti in blocco.

Ergo, la Suprema Corte, non solo ha accolto il ricorso principale, ma, seppur “nei limiti di cui di cui in motivazione”, ha accolto anche quello incidentale della  SPV s.r.l, cassando la sentenza impugnata “con rinvio della causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimitàaffidandoal giudice di rinvio il compito di procedere ad un nuovo esame dell’eccezione di carenza di titolarità passiva” della SPV s.r.l., come sollevata dall’opponente, alla stregua di tutti i principi richiamati dai giudici di legittimità.

 

 

 

 

 

 

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[1] Nello specifico, la Corte d’Appello di Ancona, nel suo iter motivazionale, aveva fatto riferimento ai principi espressi dalla Suprema Corte nelle seguenti pronunce: Cass. Sez. Un. civ., sent. n. 2951 del 16/02/2016 e Cass. n. 4116 del 02/03/2016; Cass. n. 22268 del 2018; Cass. n. 2780 del 2019, oltre a Cass. n. 5617 del 28.02.2020.

[2] Sulla differenza tra legittimazione ad agire e titolarità del credito si veda anche Cass. sent. 5478 del 29 febbraio 2024, con nota di A. ZURLO: Alla Fiera dell’Est: cessione di crediti in blocco (legittimazione cessionaria e prova cessione), valore del “saldaconto” e clausola “a prima richiesta”.

[3] E, come ricordano la stessa Suprema Corte, “discorso analogo vale per la simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell’azione e che, anch’essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio”.

[4] Cfr.: Cass., SU, n. 2951 del 2016.

[5] Cfr. Cass., SU, n. 2951 del 2016, con richiami a Cass., SU, n. 11377 del 2015.

[6] Cfr. Cass. n. 24050 del 2019; Cass. n. 22244 del 2006 e Cass. n. 25344 del 2010, conforme a quest’ultima. Nel medesimo senso sostanziale, peraltro, risultano anche, ex aliis, Cass. n. 13685 del 2006 (in cui si legge pure che “Ai fini del convincimento probatorio, il giudice può utilizzare come argomento di prova, ex art. 116 cod. proc. civ., il comportamento tenuto dalle parti, ed in particolare il fatto che la controparte consideri l’intervenuta successione come verificata e riconosca la qualità di erede, ovvero imposti una linea difensiva incompatibile con la mancanza di quella qualità”); Cass. n. 15352 del 2010 e Cass. n. 1943 del 2011.

[7] Sul tema si veda, sempre su questa rivista, ex multis, Cass. Civ., Sez. I, 8 novembre 2024, n. 28790, con massima redazionale: “Cessione di credito in blocco: la Cassazione su esistenza del contratto e inclusione del credito azionato tra quelli ceduti”; Cass. Civ., Sez. III, 22 marzo 2024, n. 7866, con massima redazionale: Cessione crediti in blocco: la dicitura “crediti in sofferenza” nell’avviso in Gazzetta Ufficiale rende necessaria la produzione del contratto di cessione; Cass. sentenza n. 3405 del 6 febbraio 2024; Cass. Sez III, Ord. del 22 giugno 2023 n. 17944; Cass. Civ., Sez. VI, 13 maggio 2021, n. 12739, con nota di A. ZURLO: Cessione in blocco: l’insufficienza della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e dell’indicazione sommaria dei crediti ceduti; Cass, ord. n. 10200 del 16 aprile 2021 secondo cui: “non può neppure esservi un ostacolo a che la stessa prova della cessione avvenga con documentazione successiva alla pubblicazione della notizia in Gazzetta Ufficiale, offerta in produzione nel corso del giudizio innescato proprio dall’intimazione al ceduto notificata dal cessionario….in questo senso, la pubblicazione in Gazzetta della “notizia” della cessione svolge funzione differente da quella di cristallizzare modalità formali in quel momento già implementate, per ritenere che un determinato credito sia stato ceduto; nella descritta cornice ricostruttiva, la dichiarazione del cedente infine notiziata dal cessionario intimante al debitore ceduto con la produzione in giudizio, al pari della disponibilità del titolo esecutivo, era un elemento documentale rilevante, potenzialmente decisivo, e come tale ammissibile anche in grado di appello” (su questa rivista con nota di A. ZURLO: Cessione di crediti in blocco: distinzione tra perfezionamento e prova della cessione). Si vedano anche Cass. civ. n. 5617/2020; Cass. civ. n. 15884/2019. Tra le tante pronunce della giurisprudenza di merito, si vedano le recenti Trib. Brindisi, 26 maggio 2025, n. 821, con nota di S. RESCIGNO: Orientamenti giurisprudenziali sulla prova dell’effettiva traslazione del credito oggetto di cessione in blocco; Corte d’App. di Cagliari, sent.n. 70 del 21 febbraio 2025,  con nota V.V.LOI: Opposizione a precetto e mancata prova della titolarità del credito: la Corte d’Appello di Cagliari su valore dell’avviso in Gazzetta Ufficiale, rinvio al sito internet e dichiarazione della cedente; Corte. d’App. di Ancona, Sez. I, 6 gennaio 2025, n. 16, con nota di S. RESCIGNO; Corte d’App. di Messina, Sez. I, 31 ottobre 2024, n. 950, con massima redazionale: Cessione credito in blocco e contestazione (o meno) dell’esistenza del contratto di cessione: gli oneri probatori secondo la Corte d’Appello di Messina.

[8] Così espressamente Cass. n. 22151 del 2019.

[9] Cfr.: Cass. n. 24798 del 2020; Cass. n. 4116 del 2016.

[10] Ma si vedano pure, nello stesso senso, le più recenti Cass. nn. 5478 e 30207 del 2024.

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