Nota a Cass. Civ., Sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5478.
«E infine il Signore, sull’angelo della morte, sul macellaio
Che uccise il toro, che bevve l’acqua, che spense il fuoco
Che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto
Che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò
Alla fiera dell’est, per due soldi, un topolino mio padre comprò»
(Angelo Branduardi, Alla Fiera dell’Esta, 1976)
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SOMMARIO: 1. Antefatto. – 2. Coordinate ermeneutiche. – 3. (segue): legittimazione ad agire e titolarità del diritto sostanziale. – 4. La prova della cessione dei crediti in blocco. – 5. Nota a margine. – 6. Prima nota in calce: il valore del “saldaconto” ex art. 50 TUB. – 7. Seconda nota in calce: la clausola di pagamento “a prima richiesta”.
1. Antefatto.
Il Collegio rileva, in via pregiudiziale, quanto all’avvenuta costituzione, con un atto denominato “controricorso”, della SPV s.r.l. «affermatasi cessionaria del preteso credito di cui si discute, tramite la sua mandataria XXX s.r.l., a sua volta mandataria di XXX s.p.a., a propria volta mandataria di XXX s.r.l.», che detta costituzione deve essere qualificata come un intervento ex art. 111 c.p.c., dalla stessa spiegato quale asserita subentrata alla Banca originaria creditrice, nella titolarità anche del credito di cui si discute.
2. Coordinate ermeneutiche.
Orbene, esigenze di chiarezza impongono di premettere che la legittimazione ad agire serve ad individuare la titolarità del diritto ad agire in giudizio. Ragionando ex art. 81 c.p.c., per il quale «Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui», essa spetta a chiunque faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare. Secondo una tradizionale e condivisibile definizione la “parte” è il soggetto che in proprio nome domanda o il soggetto contro il quale la domanda, sempre in proprio nome, è proposta. Oggetto di analisi, dunque, al fine di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l’istante deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio: ciò che rileva, quindi, è la prospettazione[1].
Nel caso in cui l’atto introduttivo del giudizio (o, per quanto qui di specifico interesse, l’atto mediante il quale si interviene in un giudizio instaurato da altri) non indichi, quanto meno implicitamente, l’istante medesimo come titolare del diritto di cui si chiede l’affermazione ed il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l’azione (al pari dell’intervento in causa) sarà inammissibile. Al contempo, ben potrà accadere che, all’esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene al merito della causa e non esclude la legittimazione a promuovere un processo (oppure ad intervenirvi): l’istante perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla (o di intervenirvi).
3. (segue): legittimazione ad agire e titolarità del diritto sostanziale.
Ebbene, ciò evidenziato, pare evidente come una cosa sia la legittimazione ad agire, altra cosa sia la titolarità del diritto sostanziale oggetto del processo.
La legittimazione ad agire mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore (nella specie, dunque, essa deve considerarsi sussistente in ragione della mera affermazione della SPV di aver agito quale cessionaria anche del credito di cui si discute).
La titolarità del diritto sostanziale attiene, invece, al merito della causa, alla fondatezza della domanda.
I due regimi giuridici sono, conseguentemente, diversi. Nella specie, ciò che rileva effettivamente è il secondo di essi; diviene, pertanto, sufficiente ricordare che[2]: i) la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta a chi la invochi allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione ad opera della controparte; ii) le contestazioni, da parte di quest’ultima, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’istante hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori (ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti); iii) la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa.
Il Collegio rileva che, senza soluzione di continuità con la consolidata giurisprudenza di legittimità, il soggetto che proponga impugnazione oppure vi resista nell’asserita qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova (la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio)[3].
Alla stregua del descritto indirizzo ermeneutico, nella specie, la SPV, onde giustificare la propria legittimazione a intervenire, perché subentrata nella titolarità del credito di cui si discute, avrebbe dovuto non soltanto allegare ma anche fornire la dimostrazione della relativa circostanza, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è, come già anticipatosi, rilevabile d’ufficio.
La società de qua ha dichiarato di depositare, unitamente al “controricorso”:
i) la Gazzetta Ufficiale, recante l’avviso dell’avvenuta cessione, da parte della Banca alla medesima SPV, di alcuni dei propri crediti (tra cui quello oggetto di controversia), ai sensi degli 1 e 4 della legge n. 130/1999 e 58 TUB;
ii) la “Copia comunicazione di cessione credito”.
Pur tuttavia, così operando, la SPV s.r.l. ha finito per confondere il requisito della “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo eseguito in favore del cedente, con la prova dell’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, del concreto trasferimento della titolarità di quel credito, prova necessaria per dimostrare la reale legittimazione sostanziale ad esigerlo da parte del preteso cessionario, laddove tale qualità sia contestata (come accaduto nella specie per effetto di quanto si è detto in precedenza) dal debitore ceduto.
4. La prova della cessione dei crediti in blocco.
In linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 c.c., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.
Tale principio vale, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione ed in qualsiasi forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto; quindi, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 TUB.
Fermo quanto precede, è stato recentemente statuito che[4] «[…] i precedenti di questa Corte in cui pare farsi riferimento alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della notizia della cessione quale prova della stessa, vanno rettamente intesi. Sul punto, si deve certamente condividere, in diritto, quanto già espressamente e ripetutamente affermato nei vari precedenti in cui si è precisato che “una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima” (così espressamente Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 22151 del 05/09/2019; cfr. già in precedenza Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5997 del 17/03/2006, Rv. 588138 – 01, secondo cui: “l’art. 58, secondo comma, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nel testo originario, applicabile ratione temporis, ha inteso agevolare la realizzazione della cessione “in blocco” di rapporti giuridici, prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, e dispensando la banca cessionaria dall’onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti; tale adempimento, ponendosi sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 c.c., può essere validamente surrogato da questi ultimi e, segnatamente, dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma, e può quindi aver luogo anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio; esso, comunque, è del tutto estraneo al perfezionamento della fattispecie traslativa, in quanto rileva al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito al cedente”), ovvero, più specificamente, che “la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta” (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24798 del 05/11/2020, Rv. 659464 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 4116 del 02/03/2016, Rv. 638861 – 01). Va tenuto presente che: a) la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma; dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità; b) opera, poi, certamente, in proposito, il principio di non contestazione; c) va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B.. Sulla base di tali ultime puntualizzazioni, si può certamente confermare, in primo luogo, che, in caso di cessione di crediti individuabili blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete. In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco) e, pertanto, sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentono o meno di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario (di modo che, solo laddove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo; cfr. sul Corte di Cassazione – copia non ufficiale 14 punto, di recente, per un caso in cui tale riconducibilità è stata esclusa in concreto, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9412 del 05/04/2023, […]). Diverso è, però, il caso in cui (come certamente accaduto nella specie) sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in questo caso, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, come sopra chiarito, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, quindi, come tale, neanche la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco. D’altra parte, ciò non esclude che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione: ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui l’avviso risulti pubblicato su iniziativa della stessa banca cedente o di quest’ultima unitamente alla società cessionaria, ovvero quando vi siano altre particolari ragioni che inducano a ritenerlo un elemento che faccia effettivamente presumere l’effettiva esistenza della dedotta cessione. In tali casi, la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito e detto accertamento, come è ovvio, se sostenuto da adeguata motivazione, non sarà sindacabile in sede di legittimità».
La riportata pronuncia ha enunciato, infine, il seguente principio di diritto: «In caso di azione (di cognizione o esecutiva) volta a far valere un determinato credito da parte di soggetto che si qualifichi cessionario dello stesso, occorre distinguere: la prova della notificazione della cessione da parte del cessionario al debitore ceduto, ai sensi dell’art. 1264 c.c., rileva al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eseguito al cedente ed è del tutto estranea al perfezionamento della fattispecie traslativa del credito; quest’ultima, laddove sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore (e solo in tal caso), deve essere oggetto di autonoma prova, gravante sul creditore cessionario, anche se la sua dimostrazione può avvenire, di regola, senza vincoli di forma e, quindi, anche in base a presunzioni. Tali principi valgono anche in caso di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati, ai sensi dell’art. 58 T.U.B. In tale ipotesi (e solo per tali specifiche operazioni), la pubblicazione da parte della società cessionaria della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale, prevista dal secondo comma della suddetta disposizione, tiene luogo ed ha i medesimi effetti della notificazione della cessione ai sensi dell’art. 1264 c.c., onde non costituisce di per sé prova della cessione. Se l’esistenza di quest’ultima sia specificamente contestata dal debitore ceduto, la società cessionaria dovrà, quindi, fornirne adeguata dimostrazione e, in tal caso, la predetta pubblicazione potrà al più essere valutata, unitamente ad altri elementi, quale indizio. Laddove, peraltro, l’esistenza dell’operazione di cessione di crediti “in blocco” non sia in sé contestata, ma sia contestata la sola riconducibilità dello specifico credito controverso a quelli individuabili in blocco oggetto di cessione, le indicazioni sulle caratteristiche dei rapporti ceduti di cui all’avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale potranno essere prese in considerazione onde verificare la legittimazione sostanziale della società cessionaria e, in tal caso, tale legittimazione potrà essere affermata solo se il credito controverso sia riconducibile con certezza a quelli oggetto della cessione in blocco, in base alle suddette caratteristiche, mentre, se tali indicazioni non risultino sufficientemente specifiche, la prova della sua inclusione nell’operazione dovrà essere fornita dal cessionario in altro modo».
Alla stregua di tale ultimo principio e ribadito, al contempo, che il soggetto che proponga impugnazione o vi resista nell’asserita qualità di successore (a titolo universale o particolare) di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova (la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio) delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 c.p.c., ne discende che la SPV s.r.l., benché gravata del corrispondente onere fin dal momento del deposito del proprio “controricorso”, non ha dimostrato adeguatamente la propria qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, posto che la sola descritta documentazione dalla prima prodotta contestualmente al deposito del suo “controricorso” si rivela affatto inidonea a provare il contratto di cessione in suo favore dei crediti. La stessa, infatti, investe il solo requisito della “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessario ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo effettuato in favore del cedente, non anche la prova dell’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, dell’effettivo trasferimento della titolarità di quel credito.
Una tale carenza probatoria nemmeno è stata colmata da una condotta processuale delle parti ricorrenti, comportante il riconoscimento o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione della suddetta legittimazione della SPV s.r.l.; invero, del tutto contrariamente, hanno espressamente contestato la legittimazione ad intervenire, non avendo la stessa SPV prodotto il contratto di cessione dei crediti in forza del quale ha affermato di essere titolare del rapporto e/o del credito controverso.
5. Nota a margine.
A beneficio dello studioso o, anche solo, del lettore, deve rammentarsi l’intervento, successivo alla pronuncia “accentratrice”, dell’ordinanza della Prima Sezione Civile n. 21821, del 20 luglio 2023[5] e, ancor più recentemente, l’ordinanza della Terza Sezione Civile n. 3405, del 6 febbraio 2024[6]. In ambedue i pronunciamenti (come, del resto, malcelatamente in quello oggetto di codesto commento) si mantiene l’insostenibile bastevolezza dell’avviso in Gazzetta Ufficiale, rimettendo (forse) come giusto ogni ponderazione al prudente apprezzamento del giudice di merito.
6. Prima nota in calce: il valore del “saldaconto” ex art. 50 TUB.
È noto che la Banca che si pretenda creditrice di un soggetto deve fornire la prova del proprio assunto e, in presenza di un rapporto regolato in conto corrente (come può certamente essere anche quello di apertura di credito), produrre gli estratti a partire dall’inizio del rapporto medesimo, dando così integrale dimostrazione del credito vantato con riguardo alle afferenti risultanze, esattamente come accade a parti invertite per il correntista ove si tratti di azione di ripetizione da questi avanzata per effetto della dedotta nullità di alcune clausole del contratto di conto[7].
Nella specie, emerge dalla sentenza oggi impugnata che la banca ha inteso provare il proprio preteso credito mediante il deposito dell’estratto conto sofferenziale ex art. 50 TUB.
L’onere probatorio documentale assolto ex art. 633, comma 1, n. 1, c.p.c., attraverso la produzione dell’estratto conto certificato non è esaustivo, nel caso in cui il decreto ingiuntivo venga opposto. Invero, costituisce indirizzo ermeneutico consolidato quello per cui l’emissione del decreto ingiuntivo non determina alcuna inversione nella posizione delle parti, configurandosi la successiva fase di opposizione come un ordinario giudizio di cognizione, nell’ambito del quale trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, esprime una domanda di condanna da valutarsi anche in caso di revoca del provvedimento monitorio per motivi formali[8] ed è tenuto a fornire la piena prova del credito azionato nella fase a cognizione sommaria[9]. Ne consegue che, ove l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo di un conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali (inutilizzabilità dell’estratto conto certificato), ma sostanziali (contestazione dell’estratto conto e dell’importo a debito, anche in ragione dell’applicazione di tassi ultralegali ed anatocismo), nel giudizio a cognizione piena, successivo all’opposizione, spetta alla Banca opposta (od alla cessionaria che sia subentrata nella sua posizione) produrre la documentazione attestante l’andamento del rapporto e fornire, così, la piena prova della propria pretesa[10].
Nella specie, la Corte distrettuale avrebbe dovuto accertare se la Banca avesse assolto (o meno) al proprio onere probatorio attraverso la produzione di documenti ulteriori rispetto all’estratto certificato suddetto, certamente insufficiente, a tal fine, nella fase a cognizione piena instauratasi con l’opposizione. Né rileva, in contrario, il fatto che si discuta di apertura di credito, piuttosto che di conto corrente.
La Corte salernitana ha inteso valorizzare, accanto al menzionato estratto conto, il “piano di rientro”, in maniera non dissimile, non può considerarsi decisivo. Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità[11], la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, di cui all’art. 1988 c.c., hanno un effetto meramente confermativo, nella sfera probatoria, di un preesistente rapporto fondamentale di debito e, pertanto, sono inidonee a costituire nuove obbligazioni.
7. Seconda nota in calce: la clausola di pagamento “a prima richiesta”.
Occorre ricordare che le Sezioni Unite[12], nell’esaminare la causa concreta del contratto autonomo di garanzia e i caratteri differenziali che lo stesso presenta rispetto al contratto di fideiussione, hanno avuto modo di statuire che: «Il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 cod. civ., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, che può riguardare anche un fare infungibile, contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (attesa l’identità tra prestazione del debitore principale e prestazione dovuta dal garante). Inoltre, la causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, mentre con la fideiussione, nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Ne deriva che, mentre il fideiussore è un “vicario” del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore».
Nel medesimo pronunciamento, le Sezioni Unite hanno precisato che, «L’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale».
Di tale principio di diritto[13] non ha fatto buon governo il giudice di appello, laddove, da un lato, ha ritenuto l’impegno in esame come riconducibile al contratto autonomo di garanzia in ragione della sola presenza in esso, della riportata clausola di pagamento c.d. “a prima richiesta”.
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[1] Discorso analogo vale per la simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell’azione e che, anch’essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 2915/2016.
[3] Nei termini suddetti si sono espressamente pronunciate: Cass. n. 24050/2019 (che ritenne inammissibile il ricorso perché promosso da alcuni soggetti nell’asserita veste di successori mortis causa dell’originario attore, ma senza aver dato prova delle circostanze che li avrebbero legittimati a proporre il ricorso per cassazione – e cioè l’esistenza di un testamento che li istituiva eredi o il rapporto di parentela con il de cuius – e di essere perciò gli unici eredi legittimi di questo); Cass. n. 22244/2006 (nella specie, fu confermata la sentenza della corte di appello che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione rilevando che la proponente era una società di persone con denominazione diversa ed appartenente ad altro tipo societario rispetto a quella che aveva partecipato al giudizio di primo grado e che essa non aveva prodotto alcun documento attestante la successione a quest’ultima); Cass. n. 25344/2010, conforme a quest’ultima; Cass. n. 13685/2006 (secondo cui «Il soggetto che proponga appello – non diversamente da chi proponga ricorso per cassazione – nell’asserita qualità di erede di colui che ha partecipato al precedente grado del giudizio deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornirne, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, provando sia il decesso della parte originaria, sia l’asserita qualità di erede. La mancanza di tale prova è circostanza rilevabile d’ufficio, al di là della contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, come tale, alla regolare instaurazione del contraddittorio. Ai fini del convincimento probatorio, il giudice può utilizzare come argomento di prova, ex art. 116 cod. proc. civ., il comportamento tenuto dalle parti, ed in particolare il fatto che la controparte consideri l’intervenuta successione come verificata e riconosca la qualità di erede, ovvero imposti una linea difensiva incompatibile con la mancanza di quella qualità»); Cass. n. 15352/2010 (a tenore della quale «Poiché la facoltà di proporre impugnazione spetta solo ai soggetti partecipi del precedente grado di giudizio, nel quale siano rimasti soccombenti, chi intende proporre ricorso per cassazione nell’asserita qualità di erede della persona che partecipò al precedente giudizio di merito deve provare, tramite le produzioni consentite dall’art. 372 cod. proc. civ., a pena di inammissibilità del ricorso medesimo, sia il decesso della parte originaria del giudizio che l’asserita sua qualità di erede di detta parte. La mancanza di tale prova è rilevabile d’ufficio, in quanto attiene alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, pertanto, alla regolare costituzione del contraddittorio»); Cass. n. 1943/2011 (secondo cui «In tema di legittimazione attiva, incombe alla parte che ricorre per cassazione, nella qualità di erede della persona che fece parte del giudizio di merito, l’onere di dimostrare, per mezzo delle produzioni documentali consentite dall’art. 372 cod. proc. civ., il decesso della parte originaria e la propria qualità di erede; in difetto, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per mancanza di prova della legittimazione ad impugnare, nessun rilievo assumendo la mancata contestazione di tale legittimazione ad opera della controparte, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto sussistente la legittimazione del ricorrente che aveva prodotto atti notarili della Repubblica Croata, con traduzione giurata, attestanti il decesso del de cuius, l’apertura della successione e la delazione dell’eredità in suo favore)»).
[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 22 giugno 2023, n. 17944, già annotata su questo Portale, con massima redazionale, Cessione di crediti in blocco: ripartizione onere della prova (in relazione all’oggetto delle contestazioni del debitore ceduto), 21 luglio 2023, Cessione di crediti in blocco: ripartizione onere della prova (in relazione all’oggetto delle contestazioni del debitore ceduto) – Diritto del Risparmio.
[5] Già annotata su questo Portale, con commento di A. Zurlo, Cessione di crediti in blocco e bastevolezza dell’avviso in Gazzetta Ufficiale: il rasoio di Occam della Prima Sezione Civile della Cassazione, 31 luglio 2023, Cessione di crediti in blocco e bastevolezza dell’avviso in Gazzetta Ufficiale: il rasoio di Occam della Prima Sezione Civile della Cassazione. – Diritto del Risparmio.
[6] Già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Cessione di crediti in blocco: l’avviso in Gazzetta Ufficiale deve essere specifico “quanto basta” per provare (anche) l’inclusione, 10 febbraio 2024, Cessione di crediti in blocco: l’avviso in Gazzetta Ufficiale deve essere specifico “quanto basta” per provare (anche) l’inclusione. – Diritto del Risparmio.
[7] Cfr., ex plurimis, Cass. n. 22585/2023; Cass. n. 27362/2022; Cass. n. 28945/2017; Cass. n. 20693/2016.
[8] Cfr. Cass. n. 5754/2009; Cass. n. 15339/2000.
[9] Cfr. ex multis, Cass. n. 14640/2018; Cass. n. 21466/2016; Cass. n. 5915/2011; Cass. n. 5071/2009; Cass. n. 17371/2003.
[10] La giurisprudenza di legittimità, del resto, ha già chiarito che solo l’estratto conto integrale assume piena rilevanza probatoria: cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 6707/1994; Cass. n. 14640/2018.
[11] Cfr., tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 31296/2023; Cass. n. 15097/2023; Cass. n. 2091/2022; Cass. Civ., Sez. Un., n. 6459/2020; Cass. n. 20689/2016.
[12] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 3947/2010.
[13] Cfr. Cass. n. 22233/2014; Cass. n. 30181/2018; Cass. n. 4717/2019; Cass. n. 27619/2020.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it