Nota a Cass. Civ., Sez. I, 8 novembre 2024, n. 28790.
Massima redazionale
Nel caso di specie, le statuizioni contenute nel decreto emesso dal Tribunale di Vicenza risultano sostanzialmente in linea con i principi affermati da questa Corte di legittimità, in tema di prova della legittimazione attiva collegata all’istituto della cessione in blocco di crediti cartolarizzati.
È stato, infatti, puntualizzato dalla giurisprudenza di questa Corte[1], che, in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 TUB, ove il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la citata notificazione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente.
Sul punto, giova infatti ricordare che, in linea generale, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 c.c., quanto meno nel caso in cui sul punto il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata; tale principio valendo, ovviamente, in qualunque forma sia avvenuta la cessione e in qualunque forma sia avvenuta la relativa notificazione da parte del cessionario al ceduto[2] e, dunque, almeno di regola, anche se la cessione sia avvenuta nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti individuabili in blocco da parte di istituti bancari a tanto autorizzati e la notizia della cessione sia eventualmente stata data dalla banca cessionaria mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 TUB.
È stato, infatti, correttamente spiegato nell’arresto da ultimo citato che risulta certamente condivisibile, in diritto, quanto già espressamente e ripetutamente affermato in vari precedenti di questa Corte in cui si era precisato che «una cosa è l’avviso della cessione – necessario ai fini dell’efficacia della cessione – un’altra la prova dell’esistenza di un contratto di cessione e del suo contenuto; di conseguenza la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale esonera sì la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del debito ceduto, ma, se individua il contenuto del contratto di cessione, non prova l’esistenza di quest’ultima»[3]. Occorre, infatti, tenere presente:
- da un lato, che la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma e, dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità;
- dall’altro, l’operatività del principio di non contestazione.
È, però, necessario sempre tenere distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco, ai sensi dell’art. 58 TUB.
Ne consegue che, in caso di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 TUB, quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, pertanto, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete[4].
Diverso è, invece, il caso in cui (come verificatosi anche nel caso di specie) sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto (in questo caso, da parte della curatela fallimentare) la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in tale ipotesi, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, come sopra chiarito, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, dunque, come tale, neanche la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 TUB, dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco. Ciò non esclude, tuttavia, che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione[5].
Sul punto, va, però, chiarito che, in tali casi (ed anche nel caso qui oggi in esame), la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito e detto accertamento, se sostenuto da adeguata motivazione, non potrà essere più sindacabile in sede di legittimità, per lo meno nei termini qui avanzati dalla parte ricorrente, che ha declinato, invero, vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge e non già, nel modo appropriato, il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Orbene, ritiene il Collegio che gli argomenti utilizzati dal Tribunale per argomentare l’affermata carenza di legittimazione attiva della società – che asseriva essere la cessionaria del credito azionato, prima, in sede di verifica del passivo e, poi, in quella dell’opposizione allo stato passivo – risultano, pertanto, conformi ai principi sopra ricordati e qui convintamente riaffermati. Peraltro, a ciò va aggiunto che, a fronte della motivazione adottata dal Tribunale di Vicenza (che, come si ripete, non si è discostata dagli insegnamenti di questa Corte di legittimità), la società ricorrente non ha neanche contestato l’accertamento in fatto operato dal Tribunale in ordine all’inidoneità, anche indiziaria, della produzione in giudizio della G.U. per la dimostrazione della esistenza stessa (già contestata dalla curatela) del negozio traslativo di cessione, limitandosi le censure proposte a contestare diffusamente solo la violazione dell’art. 1325 c.c., in ordine alla non necessità della forma scritta per dimostrare il contratto di cessione, ma dimenticandosi le stesse di aggredire, invece (e nei limiti consentiti, ora, dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.), il predetto accertamento in fatto operato dal Tribunale veneto.
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[1] Cfr., da ultimo, Cass. Civ., Sez. III, 22 giugno 2023, n. 17944; Cass. n. 3405/2024.
[2] Così Cass., n. 17944/2023.
[3] Così Cass. Civ., Sez. III, 5 settembre 2019, n. 22151; Cass. Civ., Sez. I, 17 marzo 2006, n. 5997.
[4] Così Cass. n. 17944/2023; Cass. Civ., Sez. III, 5 aprile 2023, n. 9412.
[5] Così Cass., n. 17944/2023.
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