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Nota a ACF, 8 luglio 2024, n. 7473.

Massima redazionale

Con la decisione in oggetto, rimasta inadempiuta, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie torna a censurare l’operatività in azioni BPB. Invero, la controversia concerneva il tema del non-corretto adempimento, da parte dell’Intermediario, degli obblighi inerenti alla prestazione di un servizio di investimento e, in particolare, sotto il profilo dell’inadempimento agli obblighi di informazione sulle caratteristiche delle azioni oggetto di acquisto, nonché della omessa rilevazione dell’inadeguatezza/inappropriatezza delle operazioni.

Ciò premesso, con precipuo riferimento alla profilatura delle azioni de quibus, il Collegio rileva, senza soluzione di continuità con i precedenti, copiosi, pronunciamenti, la criticità sottesa alla circostanza per cui l’Intermediario avesse riconosciuto alle stesse un profilo di “rischio medio”; invero, secondo quanto reiteratamente statuito, «non può che suscitare quantomeno forti perplessità in termini di ragionevolezza, non solo in considerazione del fatto che trattavasi, comunque, di capitale di rischio ma, e soprattutto, per la loro natura di strumenti illiquidi, che in quanto tali espongono il risparmiatore non solo al rischio di possibile perdita prospettica dell’intero capitale investito ma anche a quello ben più concreto di trovarsi nella condizione di non poter liquidare l’investimento in tempi ragionevoli. Il che, a ben vedere, è ciò che è accaduto nel caso di specie»[1].

Sempre con riguardo alle caratteristiche dei titoli, deve rilevarsi come la Banca, non considerando illiquidi i propri titoli al tempo dei fatti in esame, abbia implicitamente riconosciuto di non aver rispettato i più stringenti obblighi previsti dall’evocata Comunicazione Consob del marzo 2009, in merito al che può parimenti richiamarsi quanto già osservato sempre dalla giurisprudenza arbitrale per casi analoghi; segnatamente: «la difesa del resistente è basata sulla – apodittica – affermazione che tale informativa non sarebbe stata dovuta, perché le azioni […] non sarebbero state illiquide al momento in cui le operazioni di investimento sono state effettuate, ma lo sarebbero divenute successivamente. Ebbene […] se è vero che la liquidità, cosi come per converso l’illiquidità, di uno strumento finanziario è una situazione di fatto, e che dunque è ben possibile, con riferimento ad un medesimo strumento finanziario, che quella situazione si modifichi nel corso del tempo, sicché uno strumento che prima era liquido divenga illiquido, o viceversa, vero è anche che in presenza di una situazione di fatto […] in cui il titolo è da tempo pacificamente illiquido – come 5 nota il Ricorrente, e come in definitiva ammette lo stesso resistente […] – è evidentemente preciso onere dell’intermediario fornire una prova adeguata del fatto contrario, vale a dire del fatto che, invece, alla data dell’operazione di investimento esisteva la asserita condizione di liquidità. […] Orbene, poiché nel caso di specie l’intermediario – per giustificare di non aver fornito le informazioni di dettaglio prescritte dalla Comunicazione CONSOB del marzo 2009 – si è limitato ad allegare genericamente che al momento degli investimenti per cui è controversia le azioni sarebbero state da esso “classificate” come liquide, ma senza fornire alcuna prova dell’effettivo grado di liquidità a quella data, deve ritenersi accertato anche l’ulteriore inadempimento del resistente ai propri specifici obblighi di informazione»[2].

Le censure formulate radicano la responsabilità dell’Intermediario sotto il profilo risarcitorio, essendo assorbente di ogni altro profilo valutativo.

 

 

 

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[1] Cfr. ex multis ACF, 20 marzo 2020, n. 2342.

[2] Cfr. ACF, 10 aprile 2020, n. 2454.

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