Nota a Trib. Firenze, 11 marzo 2024.
Segnalazione dell'Avv. Antonio Pinto.
Massima redazionale
Nella specie, parte attrice ha domandato la risoluzione del contratto-quadro e dei successivi ordini di acquisto per inadempimento dell’intermediario, allegando tutta una serie di inadempimenti, quali la descrizione degli strumenti finanziari oggetto di investimento, il modello di profilatura, l’inadeguatezza dell’operazione rispetto al profilo di rischio dell’investitore, carenze informative in ordine alla affidabilità degli strumenti finanziari e sugli elevati profili di rischio che gli stessi presentavano, inadempimenti che coinvolgono fasi diverse del rapporto.
Secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità[1], deve ritenersi che la violazione degli obblighi previsti dal TUF possano, in taluni casi, attenere alla fase pre-negoziale (tra questi, il dovere dell’intermediario di acquisire le informazioni necessarie sulla situazione finanziaria del cliente) e, in altri, persistere successivamente alla stipula del contratto e riguardare la fase esecutiva (tra questi, il dovere di porre sempre il cliente in condizioni di avere piena consapevolezza dei rischi e della natura delle singole operazioni di investimento e il dovere di non favorire investimenti eccessivi, per entità o frequenza, rispetto alla situazione finanziaria del cliente medesimo).
Ne discende che, mentre la violazione degli obblighi che precedono o accompagnano la stipula del contratto può determinare una responsabilità precontrattuale, quella degli obblighi che riguardano la fase esecutiva può integrare inadempimento contrattuale.
Ciò premesso, risulta documentalmente comprovato che, al momento della sottoscrizione dei contratti-quadro, la banca abbia consegnato al cliente la documentazione contrattuale, unitamente al prospetto informativo sull’impresa di investimento ed i suoi servizi e abbia provveduto a raccogliere la profilatura di con questionario compilato e debitamente firmato dal cliente, rinnovata poi nel 2018.
In punto di riparto di onere della prova, poiché trattasi di responsabilità contrattuale, l’investitore ha l’onere di allegare l’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione da parte dell’intermediario, nonché del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, mentre l’intermediario ha l’onere di provare l’avvenuto adempimento delle obbligazioni a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e di aver agito con la specifica diligenza richiesta. A tal proposito, la Corte Suprema di Cassazione[2] ha precisato che l’allegazione dell’inadempimento deve necessariamente tradursi nell’individuazione, sintetica, ma circostanziata, delle informazioni che la banca avrebbe omesso di fornire, dovendo il giudice, nel valutare l’inadempimento, attenersi ai fatti che l’attore ha posto a fondamento della domanda. Ciò vale sia per gli obblighi informativi di natura “attiva” (ovverosia, di fornire al cliente adeguate informazioni sulla natura, i rischi e le implicazioni dell’operazione o del servizio, così da metterlo in condizioni di effettuare scelte di investimento consapevoli), sia per quelle di natura “passiva” (volte a consentire ai soggetti abilitati di comprendere quali siano le effettive esigenze dei clienti e le loro caratteristiche di investimento); vale anche per le valutazioni di adeguatezza e/o di appropriatezza e il conseguente obbligo dell’intermediario di segnalare all’investitore, in relazione alla sua accertata propensione al rischio, la non pertinenza delle operazioni di investimento che si accinge a compiere.
Nel caso di specie, le doglianze dell’attore hanno a oggetto la violazione, da parte dell’intermediario, degli obblighi legali e regolamentari che gli imponevano di: 1) raccogliere correttamente e adeguatamente tutte le informazioni necessarie ai fini dell’investimento, in particolare in ordine all’esperienza e conoscenza del sig. nel settore finanziario; 2) informare il cliente della possibilità di acquistare separatamente i diversi componenti del pacchetto “Credito Lombard”, di descrivere i diversi elementi e del modo in cui la loro composizione avrebbe modificato i rischi di investimento, nonché di verificare l’adeguatezza di tale linea di credito rispetto alla tolleranza al rischio del cliente; 3) di adottare le precauzioni organizzative dovute in materia di conflitto di interessi; 4) di fornire una informazione adeguata, sia ex ante che ex post, sia dal punto di vista qualitativo dei singoli titoli che dell’intero portafoglio (in particolare, in ordine alla natura altamente rischiosa dei titoli acquistati, ad altissima volatilità); 5) in ordine agli eventi sopravvenuti e rilevanti relativi al valore del patrimonio, in riferimento a titoli di società in default e che avevano perso il proprio valore sul mercato.
Ciò posto, è documentalmente provato che la specifica operazione in contestazione è stata impartita, per iscritto, dal cliente-investitore alla banca intermediaria, la quale, all’interno dei contratti-quadro di riferimento, era incaricata di svolgere il servizio di negoziazione su strumenti finanziari (esecuzione, ricezione e trasmissione ordini), correlato al servizio di deposito a custodia e amministrazione, oltre che di gestione del portafoglio e di consulenza in materia di investimenti. Ebbene, in un tal genere di rapporti, in omaggio agli orientamenti più recenti della giurisprudenza di legittimità[3], gli obblighi informativi imposti dall’art. 21, comma 2, lett. b), TUF, dovevano essere finalizzati a garantire all’investitore di effettuare investimenti pienamente consapevoli, estendendosi poi anche alla successiva esecuzione del rapporto, dove si colloca l’informazione post-contrattuale[4].
Già in ordine agli obblighi di informazione correlati alla preventiva esecuzione dell’operazione si profila l’inadempimento della banca convenuta.
Dalla disciplina, regolamentare e legislativa applicabile, infatti, emerge che l’intermediario non possa limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo, ma debba altresì prestare un’attività specifica volta al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati ed i rischi connessi alle singole operazioni: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova piena attuazione, con conseguente risoluzione per inadempimento del medesimo. Nel contesto normativo innovato dal D.lgs. n. 164/2007, in attuazione della Direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari e dal Regolamento Consob n. 16190/2007 e successive modifiche, l’esenzione dell’intermediario di ottenere informazione dai clienti o di procedere alla valutazione di appropriatezza di cui agli artt. 41 e 42, è subordinata dall’art. 43 alla presenza di determinate condizioni, tra cui la chiara e preventiva informazione al cliente della inoperatività della protezione offertagli dalle disposizioni del Capo II, la cui sussistenza, nel caso di specie, non risulta documentata né dedotta dalla convenuta.
Ciò premesso, le sole informazioni contenute nel documento rilasciato dal funzionario della banca incaricato dal cliente-investitore di dare esecuzione all’ordine di acquisto degli strumenti finanziari risultano carenti in ordine al “rischio specifico” insito negli stessi; la mera consegna iniziale del documento sui rischi generali di investimento e la sintetica classe di rischio indicata nella scheda prodotto non è sufficiente a consentire di ritenere soddisfatto l’obbligo informativo a carico della banca, in assenza di una puntuale e specifica spiegazione del grado di esposizione al rischio che l’investimento in tali strumenti finanziari avrebbe comportato e la segnalazione degli elementi sintomatici del rischio stesso, quali la solvibilità dell’emittente e il rating assegnato nel periodo.
La difesa di parte convenuta secondo la quale il cliente era in grado perfettamente di rendersi conto della rischiosità degli investimenti effettuati, in quanto, in precedenza, seppure con altro istituto bancario, aveva già investito in titoli rischiosi, dimostrando così una certa esperienza nel settore, va comparata con la classificazione di “cliente al dettaglio” (ex art. 26, lett. e), Reg. Consob n. 16190/2007) in cui pacificamente versava l’attore al momento dell’operazione. Infatti, lo speciale rapporto di intermediazione comporta necessariamente un grado di affidamento nella professionalità dell’intermediario e, quindi, nella adeguatezza delle informazioni da lui fornite.
Pertanto, l’assolvimento degli obblighi informativi di cui all’art. 21 TUF e di quella regolamentare impone non al cliente (non professionale o qualificato), bensì all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata sullo strumento finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente e le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente.
Nemmeno la dichiarazione prestampata contenute negli ordini di acquisto di aver “ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi connessi” è idonea a comprovare che l’intermediario – anche attraverso un colloquio individuale- abbai riferito precise indicazioni circa la rischiosità dello specifico investimento. Essa, infatti, non può valere come confessione stragiudiziale né costituisce un’autorizzazione scritta all’investimento quando sia apposta su un modulo “standard” senza alcun riferimento individualizzante da cui desumere l’effettiva pesa d’atto dei rischi e delle particolari caratteristiche della specifica operazione[5].
Al contempo, il fatto che l’operazione per cui è causa fosse stata valutata “appropriata” al profilo finanziario del cliente, dichiarato da quest’ultimo nel questionario Mifid da lui sottoscritto non assolve, ancora, l’onere probatorio a carico della banca. Né, tantomeno, il fatto che l’investitore propenda normalmente per investimenti rischiosi fa venir meno l’esigenza dello stesso di essere adeguatamente informato, così da poter scegliere, tra le varie opportunità offerte dal mercato finanziario, quelle che presentino maggiori probabilità di successo[6].
Deve, infine, rilevarsi come non risultino dimostrato l’invio al cliente, da parte della banca, del rendiconto della gestione dal 2015 al 2020, né del servizio di consulenza, né della comunicazione delle perdite della gestione, sui quali la banca vorrebbe fondate l’assolvimento dei propri obblighi informativi anche in costanza di rapporto.
Sul piano della correlazione eziologica tra l’inadempimento e il pregiudizio lamentato dall’attore, la giurisprudenza di legittimità ammette che la mancata prestazione delle informazioni dovute al cliente da parte della banca intermediaria ingeneri una presunzione di riconducibilità del danno a tale operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi costituisce di per è un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento[7]; cosicchè “tale condotta omissiva è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore salva la prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze in grado di deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa”[8].
Nel caso di specie, tale prova contraria non può ritenersi raggiunta attraverso il richiamo all’adeguatezza dell’operazione al profilo finanziario del cliente, né dalla condotta in passato propensa al rischio dell’investitore.
In conclusione, in precipua considerazione della rilevanza dell’inadempimento dell’intermediario, ai sensi dell’art. 1455 c.c., i contratti di acquisto impugnati dall’attore devono dichiararsi risolti.
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 8236/2007.
[2] Cfr. Cass. n. 10111/2018.
[3] Cfr. Cass. n. 4708/2021; Cass. n. 17949/2020.
[4] V. Cass. n. 19978/2022.
[5] In tal senso, Cass. n. 29616/2022; Cass. n. 28175/2019.
[6] V. da ultimo, Cass. n. 7288/2023.
[7] Cfr. Cass. n. 29106/2019; Cass. n. 19891/2021; Cass. n.7288/2023; Cass. n. 19322/2023.
[8] Cfr. Cass. n. 3914/2018.
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