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Nota a Trib. Milano, Sez. XIV, 17 ottobre 2022, n. 8031.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

«Attento a cosa chiedi quando preghi perché potresti ottenerlo»

(Stephen King)

 

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Nel caso di specie, parte attrice sosteneva che il contratto di fideiussione stipulato fosse nullo perché contenente le tre clausole, di deroga del termine di decadenza ex art. 1957 c.c., di c.d. “reviviscenza” e di c.d. “sopravvivenza”, contenute nel modello ABI e censurato dal provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005, con cui è stato, come noto, appurato che «gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90»; nella stessa sede, era stato evidenziato, in particolare, come le verifiche compiute nel corso dell’istruttoria avessero «mostrato, con riferimento alle clausole esaminate, la sostanziale uniformità dei contratti utilizzati dalle banche rispetto allo schema standard dell’ABI» e come tale uniformità discendesse «da una consolidata prassi bancaria preesistente rispetto allo schema dell’ABI (non ancora diffuso presso le associate), che potrebbe però essere perpetuata dall’effettiva introduzione di quest’ultimo».

Ciò premesso, spostando il focus sulla fattispecie concreta oggetto di esame, il Collegio milanese rileva che la fideiussione prodotta dall’attore quale documento contenga, effettivamente, tutte le clausole nn. 2, 6 e 8 dell’archetipo ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie; segnatamente, all’identica numerazione utilizzata in quello schema corrisponde il medesimo contenuto precettivo. In tal caso, tuttavia, la produzione in giudizio del provvedimento della Banca d’Italia non fornisce di per sé prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza, dal momento che la stipulazione della garanzia fideiussoria è intervenuta a distanza di anni da quel provvedimento, relativo a una fase temporale conclusasi nel maggio del 2005.

La specifica vicenda contrattuale dà, consequenzialmente, origine a un giudizio c.d. “stand alone, nel quale l’attore, chiamato a comprovare i fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi (come nelle cc.dd. “follow on actions”) dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, perché un simile accertamento o manca del tutto o, alternativamente, pur essendoci, riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica dell’attore.

La sussumibilità della controversia tra le cause “stand alone” fa sì che parte attrice sia onerata dell’allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra i quali rientra quello della perdurante esistenza di un’intesa illecita all’epoca della sottoscrizione del contratto di fideiussione per cui è causa. In tal senso, la Corte Suprema di Cassazione:

  • ha ritenuto coperte dell’accertamento antitrust le condotte precedenti al maggio 2005[1] secondo gli ordinari criteri di giudizio, giacché l’istruttoria e le conseguenti determinazioni della Banca d’Italia hanno coperto l’arco temporale precedente al provvedimento finale n. 55 del 22 maggio 2005;
  • ha ritenuto che la presunzione circa la sussistenza dell’illecito operasse anche per condotte di poco successive all’adozione del provvedimento dell’Autorità[2].

Il caso di specie si colloca invece a ben undici anni di distanza dall’accertamento della Banca d’Italia: circostanza che imporrebbe di effettuare in concreto un’attività istruttoria circa la persistenza dell’illecita intesa, lesiva della concorrenza, nel mercato nazionale. Il fideiussore ha prodotto alcuni contratti di fideiussione di diversi Istituti di credito, sottoscritti a partire dal 2009; ad avviso del Tribunale milanese tali moduli non sono idonei a provare l’esistenza dell’illecito concorrenziale dedotto in giudizio, sia perché non riguardanti l’intero territorio nazionale, sia perché, di questi solo uno è relativo al 2016 (anno di sottoscrizione della fideiussione omnibus attenzionata). Manca, pertanto, la prova idonea a dimostrare che nel 2016 un numero significativo di istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, avesse coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione omnibus in modo da privare quella stessa clientela del diritto a una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza.

Al fine di fornire la prova dell’intesa illecita, con memoria istruttoria, parte attrice aveva chiesto al Tribunale di ordinare «ex D.Lgs. 3/17 a Banca di Italia ed a tutte le maggiori banche di Italia, tra cui Unicredit spa, UBI banca spa, BNL spa, Intesa San Paolo spa, Banco BPM spa, MPS spa e BPER spa di esibire copia di tutte le fideiussioni sottoscritte dal 2003 ad oggi ex art. 210 cpc». Ebbene, anche qualora il Collegio accogliesse la richiesta formulata, ex art. 210 c.p.c., colmando di fatto la lacuna attorea in punto di onere probatorio, l’accertamento di tale circostanza non potrebbe comunque condurre alla declaratoria di nullità del contratto di fideiussione oggetto di lite, come richiesto, e ciò alla luce dei principi da ultimo affermati dalla Suprema Corte. Invero, con la recente pronuncia n. 41994/2021, le Sezioni Unite Civili, per il caso di violazione della disciplina antitrust, hanno ritenuto che si configuri una mera nullità parziale, limitata cioè alle sole clausole contrattuali illecite, evidenziando che la nullità parziale risponde al principio generale di conservazione del negozio. Conformemente al disposto dell’art. 1419 c.c., «la nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende, pertanto, all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità»[3]. L’estensione della nullità all’intero contratto ha portata eccezionale ed è a carico di chi ha interesse a far cadere del tutto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla[4].

Nel caso concreto, si può ritenere, in mancanza di rigorosa allegazione e prova del contrario, che il fideiussore avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole anzidette, dovendosi ritenere portatore di un interesse economico al finanziamento bancario, che spiega, appunto, il consenso alla prestazione di garanzia. L’attore, difatti, ha precisato le proprie conclusioni, insistendo nella richiesta di declaratoria di nullità del contratto di fideiussione. Solo in sede di comparsa conclusionale egli ha chiesto di «accertare e dichiarare […] la nullità della fideiussione – limitatamente alle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e deroga al 1957 c.c. – sottoscritta in data 01.04.2016, dell’importo di 351.000 euro rilasciata dall’attore a XXXXXXXXXX a garanzia di XXXX srl» e, nella memoria di replica, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 26242/2014, ha asserito che il giudice abbia l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una causa di nullità negoziale di natura speciale o di protezione. Nel caso in esame, il giudice sarebbe gravato del rilievo officioso della nullità speciale e di protezione delle clausole di reviviscenza, sopravvivenza e deroga ai termini di cui all’art. 1957 c.c.

La questione de qua è stata, in realtà, affrontata dalla citata sentenza n. 41994/2021. Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato che «il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale. E tuttavia, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo[5]». Nel caso considerato, non vi è stato alcun rilievo d’ufficio perché la convenuta, sin dalla sua costituzione in giudizio, ha eccepito che «nella denegata ipotesi in cui il Tribunale ritenesse comunque accoglibile, anche solo in parte, l’avversa tesi della nullità della fideiussione, essa avrebbe comunque una ricaduta limitata, certamente, alle sole clausole citate dal provvedimento della Banca d’Italia n.55/2005: la clausola 2) “annullamento, inefficacia e revoca dei pagamenti”; 6) “Permanenza dell’obbligazione del fideiussore” e 8) “Invalidità dell’obbligazione garantita” e non certo all’intera garanzia o comunque agli altri obblighi ricadenti sul fideiussore». A seguito dell’eccezione formulata dalla controparte, l’attore, in sede di prima udienza, ha dichiarato di voler proporre «ai sensi dell’art.183 quarto comma c.p.c.» una nuova domanda, «in conseguenza della eccepita nullità relativa: “condannare XXXXXXXXXXXX al risarcimento del danno per violazione della normativa antitrust ex D.lgs. 3/2017 per l’importo di € 5.000,00 e comunque nei limiti del c.u. già pagato o per la somma ritenuta di giustizia, da calcolarsi anche in via equitativa». Nella successiva memoria, depositata ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c., lo stesso ha ribadito: «La fideiussione è affetta da nullità totale». Coerentemente con questa impostazione, prendendo posizione riguardo alla nullità relativa del contratto, l’attore afferma testualmente: «Ora come si può ritenere che il contratto va ritenuto valido e va applicata la nullità parziale perché il garante avrebbe comunque firmato la fideiussione, il concetto è assurdo. Solo il contraente debole può eccepire questa circostanza, non la banca». In altri termini, parte attrice nega, in maniera espressa, la volontà di ottenere una pronuncia di caducazione delle sole clausole dello schema ABI.

Ciò posto, il Collegio non potrebbe dichiarare d’ufficio la parziale nullità del contratto, andando al di là dei limiti della domanda formulata dalla parte; tanto più che, nel caso di specie, non è neppure evincibile dal tenore delle difese dell’attore, anche solo a livello di allegazione, la circostanza che egli abbia interesse a una pronuncia che dichiari il contratto parzialmente nullo, non avendo lo stesso speso alcun argomento al riguardo, neppure quando la convenuta, nella sua comparsa di costituzione e risposta, ha eccepito la esclusiva configurabilità di nullità parziale. Per questo motivo la domanda di nullità parziale non può che ritenersi inammissibile in quanto tardiva; in conclusione, il Tribunale respinge la domanda di nullità e la conseguenziale richiesta risarcitoria di parte attrice.

 

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[1] Cfr. Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810.

[2] Cfr. Cass. n. 21978/2019, che si riferisce ad una fideiussione sottoscritta nel mese di dicembre 2005.

[3] V. Cass. 05.02.2016, n. 2314.

[4] V. Cass. 21.05.2007, n. 11673.

[5] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 12.12.2014, nn. 26242 e 26243; Cass. 18.06.2018, n. 16501.

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