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Nota a Trib. Bari, Sez. IV, 7 novembre 2024, n. 4563.

Massima redazionale

Sulla prescrizione dell’azione di risarcimento

Secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità «il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla data del fatto, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili»[1].

Tale data può farsi, alternativamente, coincidere:

1) con la pubblicazione, avvenuta il giorno 8.10.2018, delle prime delibere sanzionatorie n. 20583 e n. 20584 da Consob, la quale ha rivelato la violazione da parte della di tutta una obblighi informativi in relazione alla determinazione del prezzo dell’azione, nel corso dell’aumento di capitale del 2013;

2) ovvero, subordine, con l’assemblea del 29 aprile 2016, allorquando il valore dell’azione è repentinamente e improvvisamente sceso a € 7,50 ad azione;

3) ovvero, in via ancor più gradata con il 31.12.2015, ossia quando veniva indicato, per la prima volta, nell’estratto conto del dossier titoli al 31.12.2015 il livello di rischio reale dell’azione BPB come medio alto e la sua illiquidità.

Nella specie, in primo luogo, trattandosi di responsabilità contrattuale, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale e, seppur si volesse inquadrare la fattispecie in quella di responsabilità extracontrattuale e/o responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 c.c., comunque nessun diritto potrebbe considerarsi prescritto, atteso che, considerando il dies a quo come in precedenza individuato, alla data di notifica dell’atto di citazione nessuna prescrizione si sia verificata.

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Sull’azione di annullamento degli ordini.

In relazione alla fattispecie in esame, va evidenziato che la semplice omissione delle doverose informazioni, concretizzandosi in un mero silenzio, consente di annullare il contratto soltanto quando si inserisca in un comportamento più complesso, adeguatamente preordinato con malizia o astuzia a indurre in errore, mentre non costituisce causa invalidante la semplice inerzia della parte che si limiti a non contrastare la percezione che l’altro contraente abbia della realtà sia pure con riguardo a elementi salienti dell’accordo. Ne consegue che la mera violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario non determina di per sé l’annullabilità del contratto, laddove manchi la prova specifica di artifici e/o raggiri che abbiano generato nell’investitore una rappresentazione alterata della realtà. Nel caso di specie, la domanda di annullamento del contratto d’acquisto per vizi del consenso formulata dall’attore risulta generica e non adeguatamente argomentata, difettando l’allegazione dell’errore invocato e della sua essenzialità, nonché del dolo e della violenza relativi alla condotta della Banca, con conseguente rigetto della domanda.

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Sull’azione di risoluzione per inadempimento.

Quanto all’azione di accertamento di responsabilità e risoluzione per inadempimento, va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla convenuta. Secondo condivisibile orientamento di legittimità «in materia di compravendita di strumenti finanziari, l’investitore, a seguito dell’inadempimento dell’intermediario ai propri obblighi di informazione, imposti dalla normativa di legge e di regolamento e derivanti dalla stipula del cd. contratto quadro, può domandare la risoluzione non solo di quest’ultimo ma anche dei singoli ordini di investimento – aventi natura negoziale e tra loro distinti e autonomi – quando il relativo inadempimento sia di non scarsa importanza»[2].

Nel merito, la domanda è fondata e va accolta per quanto di ragione.

In generale, la disciplina dettata dal TUF e dal successivo regolamento attuativo Consob n. 11522/1998 pone a carico dell’intermediario finanziario, quale soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell’operatore particolarmente qualificato, l’obbligo di tutelare l’interesse dei clienti, laddove tale obbligo si concretizza anche nel dovere di segnalare al cliente la natura del rischio dell’investimento che egli si accinge a fare. Gli obblighi gravanti sull’intermediario vengono individuati nell’obbligo di informarsi sul tipo di prodotto finanziario negoziato, sul profilo di rischio da attribuire al cliente, nonché nell’obbligo di informare il cliente in ordine alla tipologia e all’affidabilità dell’investimento e, dunque, in ordine all’adeguatezza dello stesso al suo profilo di rischio. Concretamente la banca deve, quindi, innanzitutto informarsi e conoscere i dati relativi alla rischiosità dell’investimento da lei proposto o richiesto dall’investitore, e, successivamente, riferirli al cliente, indipendentemente dal fatto che l’investimento sia stato proposto dalla banca o che sia stato il cliente investitore ad ordinare le operazioni da effettuare. Il contenuto dello specifico obbligo dell’intermediario è quello di assumere informazioni da parte dell’investitore, funzionale all’adempimento dell’ulteriore obbligo della banca, prima di eseguire gli ordini di negoziazione impartitigli, di fornire al cliente un’informazione che lo metta in grado di comprendere appieno le caratteristiche essenziali dell’operazione, con riguardo a costi, rischi patrimoniali e adeguatezza della stessa, nonché di verificare il livello di consapevolezza da parte del cliente del rischio assunto e l’adeguatezza dell’operazione. Qualora l’intermediario valuti un’operazione come non adeguata, potrà darle corso solo in forza di un ordine impartito per iscritto dal risparmiatore, in cui venga fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute[3].

La giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che in tema di intermediazione finanziaria, anche quando la diffusione di strumenti finanziari avvenga mediante l’attività di negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini, la tutela del cliente è comunque affidata all’adempimento, da parte dell’intermediario, di obblighi informativi specifici e personalizzati, ai sensi degli artt. 21 ss. TUF e 26 ss. Regolamento Consob n. 11522/1998. Inoltre, per quanto concerne la ripartizione dell’onere probatorio circa l’avvenuto adempimento di tali obblighi, l’art. 23, comma 6, TUF dispone che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta».

La Corte di Cassazione, sulla violazione degli obblighi di diligenza e di riparto dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno nello svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria, ha affermato che non può ritenersi assolto da parte della l’onere di dimostrare di aver agito secondo la diligenza richiesta, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al profilo di rischio dell’investitore, alla sua esperienza in materia «perché le informazioni dal trasmettere al cliente devono essere concrete e specifiche in riferimento ad ogni singolo prodotto di investimento e le stesse, nella specie, andavano comunque fornite, indipendentemente dalle inclinazioni al rischio dell’investitrice e dal peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito, perché proprio sulla base delle informazioni fornite dall’intermediario, l’investitore avrebbe selezionato quelle, secondo lui, con maggiori probabilità di successo»[4].

Corollario al riparto dell’onere probatorio, è il correlato onere di allegazione del cliente: ritiene il Tribunale di aderire a quell’orientamento di legittimità[5], secondo cui «In tema di intermediazione finanziaria, la disciplina dettata dall’articolo 23, comma 6, del D.Lgs. n. 58 del 1998, in armonia con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., impone all’investitore, il quale lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, nesso che sussiste se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole; incombe invece sull’intermediario provare che tali informazioni sono state fornite, ovvero che esse esulavano dall’ambito di quelle dovute». L’affermazione è quella più aderente ai principi generali sull’onere della prova in materia di responsabilità precontrattuale o contrattuale[6], che, come è noto, impongono al creditore, il quale agisca per l’inadempimento della controparte, di allegare l’inadempimento delle obbligazioni dell’intermediario nonché fornire la prova del nesso di causalità fra il primo e il danno, anche sulla base di presunzioni; spetta invece all’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta. In definitiva, l’investitore deve allegare l’inadempimento dell’intermediario alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, dal TUF e dalla normativa secondaria, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni, mentre l’intermediario deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta[7]. Laddove l’intermediario non porti la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico, egli sarà quindi tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore[8]. Dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perché anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati[9].

Sulla base delle coordinate di giudizio precisate, occorre accertare, nel concreto, se sussista la prova positiva dell’adempimento degli obblighi informativi, attivi e passivi, posti in capo alla banca.

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Sul profilo di rischio delle azioni BPB.

Orbene, gli strumenti finanziari oggetto di giudizio potevano ritenersi al momento del relativo acquisto caratterizzati da un profilo di rischio “alto”: le suddette azioni rientrano nella fattispecie delle azioni non quotate e costituiscono pertanto titoli di rischio alto o, quantomeno, medio-alto ed assimilabili a titoli illiquidi ovvero a titoli per i quali vi è una potenziale difficoltà di liquidazione e perfettamente rientranti nella definizione fornita dalla con la citata comunicazione. Tali azioni, essendo scambiabili, non già in un mercato regolamentato, bensì tra la stessa banca emittente o direttamente tra i soci-azionisti, scontano una ben maggiore difficoltà di trasferimento e di recupero delle somme impiegate nell’acquisto. Va altresì evidenziato che tale valutazione di illiquidità prescinde dal rischio in concreto verificatosi ex post o dalla maggiore solidità dell’istituto all’atto dell’acquisto, dovendo ricondursi all’astratto rischio di criticità del trasferimento, elemento informativo imprescindibile per la ponderata determinazione dell’investitore.

Nella specie, il CTU, analizzando la documentazione in atti, ha verificato che in sede di sottoscrizione del contratto, l’attore aveva espressamente dichiarato di avere una propensione al rischio bassa, mentre in sede di compilazione del questionario di profilatura relativo al contratto del 03.06.2010 ha rilasciato informazioni a seguito delle quali la banca convenuta gli ha attribuito una propensione al rischio medio-alta. Orbene, condivisibilmente il CTU ha ritenuto che un investitore che dichiara di non avere una conoscenza completa in ambito finanziario (aveva dichiarato di non conoscere i derivati), che in media ha investito massimo € 5.000,00 nei precedenti 12 mesi e che dichiara espressamente di effettuare meno di un’operazione a trimestre, non possa essere collocato tra gli investitori a “medio-alto rischio”.

Relativamente al rispetto delle prescrizioni di cui alla Comunicazione Consob del 2.3.2009 n. 9019104, secondo l’analisi del CTU la banca convenuta si è “limitata” ad un’analisi basata solo ed esclusivamente sul profilo tracciato dal questionario senza entrare nel merito ed indagare più approfonditamente su quella che era la situazione e su quella che effettivamente era la reale propensione al rischio dell’investitore. Da tanto discende la conclusione per cui l’odierna convenuta non abbia tenuto un comportamento in linea con quanto indicato nella comunicazione della limitandosi ad un’analisi superficiale.

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Sulla composizione del portafoglio esclusivamente caratterizzata da titoli BPB.

Quanto alla valutazione dell’adeguatezza, il CTU ha accertato che, nonostante il profilo di rischio medio-alto attribuito dalla banca all’odierno attore, gli investimenti per cui è causa non possono considerarsi pienamente compatibili con il reale profilo di rischio dell’investitore. Infatti, ai fini di tale accertamento l’investimento deve essere di natura tale per cui il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso allo stesso, compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento prefissati. Tale regola richiama il principio della diversificazione del rischio, laddove in presenza di un portafoglio ben diversificato, l’eventuale perdita totale o parziale della singola posizione, risulterebbe finanziariamente sopportabile dall’investitore. Tale condizione può definirsi rispettata quando la variazione negativa del patrimonio si dimostri ininfluente a modificare le abitudini di spesa del risparmiatore. Nel caso in esame, al momento della prima operazione aveva in portafoglio esclusivamente obbligazioni della convenuta. Il CTU, dunque, ha accertato che tutti gli investimenti contestati, presentavano rischi finanziariamente non sopportabili e, pertanto, non adeguati, in quanto si andavano a sommare ad un portafoglio titoli già interamente esposto al rischio di credito verso la BPB. Trattandosi esclusivamente di azioni ed obbligazioni emesse da BPB, gli investimenti effettuati non possono, quindi, ritenersi coerenti con il livello di conoscenza ed esperienza di strumenti finanziari riconosciuto all’attore, ed individuato dalla convenuta come medio-alto.

 

 

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 11119/2013; Cass. n. 2066/2023.

[2] Cfr. Cass. n. 12937/2017.

[3] Cfr. Cass. n. 5089/2016.

[4] Cfr. Cass. n. 15709/2019.

[5] Cfr. Cass. n. 3773/2009; Cass. n. 810/2016; Cass. n. 4727/2018; Cass. n. 10111/2018; Cass. n. 13265/2019; n. 14335/2019.

[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 13533/2001.

[7] Cfr. Cass. n. 810/2016.

[8] Cfr. Cass. n. 18039/2012.

[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 17.04.2020, n. 7905.

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