Nota a Trib. Milano, Sez. VI, 22 luglio 2024.
Massima redazionale
Il Tribunale milanese ritiene, in primo luogo, che le doglianze svolte dall’attrice nella citazione e relative all’illegittima applicazione di interessi ultralegali, di interessi anatocistici, di interessi usurari e di commissioni di massimo scoperto e spese non dovute risultino svolte in modo del tutto generico, senza alcuna indicazione delle precise circostanze di fatto poste a base della domanda. Invero, l’attrice non ha dedotto nell’atto di citazione neppure una singola specifica applicazione di un tasso ultralegale, di una commissione di massimo scoperto o di una spesa non dovuti, di una capitalizzazione di interessi illegittima o comunque non dovuta, di un tasso usurario, limitandosi a rinviare alla perizia econometrica fatta effettuare, peraltro, in base ai soli estratti scalari senza prendere in esame i contratti stipulati.
In secondo luogo, il giudice meneghino evidenzia come l’attrice non abbia ottemperato del tutto all’onere probatorio posto a suo carico, secondo il condivisibile orientamento[1], per cui «Tanto premesso, sia nel caso di ripetizione di indebito, che nell’ipotesi di accertamento di poste non dovute, spetta al correntista provare l’esistenza di tali poste indebite illegittimamente applicate dalla Banca, anche ai soli fini di un’azione di mero accertamento, dal momento che, a norma dell’art. 2697 c.c., è onere di chi vuol far valere un proprio diritto in giudizio provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. In materia di rapporti di conto corrente, infatti, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che il correntista che “agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito [e parimenti per la rideterminazione del saldo] è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione” (Cass. Civ. n. 30822/2018). Tale assunto è di per sé idoneo ad escludere che la domanda di […] possa ritenersi fondata, non avendo quest’ultima prodotto in atti gli estratti conto integrali riferiti al rapporto di cui è causa. Conferma se ne trae anche dalla CTU contabile espletata nel corso dell’istruttoria di primo grado, alle cui pagine 6 e 7 si legge: “Il CTU ritiene particolarmente rilevante al fine di dare risposta al quesito la seguente documentazione, già disponibili agli atti: (…omissis) d) documentazione bancaria (in allegati da n. 5 a n. 115 dell’atto di citazione e in allegato n. 7 alla comparsa di costituzione) pagina 6 di 12 consistente nei prospetti di conteggio delle competenze, e, in taluni casi, nei conti scalari recanti i saldi per valuta (…omissis); e) documentazione bancaria (in allegato n. 4 alla comparsa di costituzione) consistente in diversi contratti di «finanziamento in conto corrente c/c contro cessione di credito risultante da fatture emesse a fronte di forniture» (il c.d. anticipo fatture) sottoscritti da [ ] s.r.l. a partire dal 10.2004 sino al 03.2009”. Il CTU in realtà, pur evidenziando una non completezza della documentazione –prospetti di conteggio e in taluni casi conti scalari-, ha comunque ritenuto possibile effettuare i conteggi attraverso ricostruzioni di tipo contabile. Peraltro ritiene questa Corte, come espresso sopra e in conformità con l’orientamento prevalente, che tale operazione contabile non sia corretta, essendo per contro necessario avere a disposizione la documentazione integrale che consenta la ricostruzione precisa degli importi addebitati illegittimamente, come espresso chiaramente da ultimo anche da Cass. 11543/19: “Il medesimo principio, opera, poi, a parti invertite, ove sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, giacché in questa evenienza è tale soggetto, attore in giudizio, a doversi far carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto (Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948): con tale produzione, difatti, il correntista assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi”. Pertanto, la mancata produzione in atti degli estratti conto integrali da parte del correntista non consente di individuare analiticamente quali siano le poste asseritamente applicate in modo indebito, sia a titolo di interessi anatocistici che di interessi ultralegali, commissioni e spese. A ciò si aggiunga che resta altresì non individuabile se il correntista abbia operato all’interno ovvero oltre i limiti di fido (eventualmente) concessogli dalla Banca (ciò ai fini dell’accertamento della fondatezza dell’eccezione di prescrizione, in conformità a Cass. SU, n. 24418/2010). Come affermato in un recente arresto (Cass. Civ. n. 27705 del 2018), infatti: “se il tempo decorso dalle annotazioni passive integri il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto modificativo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata”. La mancata integrale produzione della documentazione rileva pertanto anche ai fini della prova dell’affidamento e del suo limite, e dunque alla possibilità di accertare e/o escludere la natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse, ai fini della fondatezza dell’eccezione di prescrizione.».
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che[2], nei rapporti di conto corrente bancario, il cliente, che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati, mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione.
Con particolare riferimento alla situazione in cui l’illiceità della annotazione è fatta discendere dall’applicazione di clausole contrattuali ritenute nulle, la Suprema Corte ha affermato[3] che il correntista è tenuto a produrre in giudizio il relativo contratto, onde consentire l’apprezzamento della dedotta causa di invalidità, nonché i relativi estratti conto – o altri strumenti rappresentativi delle contestate movimentazioni – atteso che solo attraverso tali documenti è possibile accertare il carattere indebito dell’annotazione. Sempre secondo il condivisibile insegnamento della Suprema Corte[4], nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di danaro, che afferma essere stato indebitamente corrisposto all’istituto di credito nel corso dell’intera durata del rapporto – sul presupposto di dedotte nullità di clausole del contratto di conto corrente o per addebiti non previsti in contratto – è onerato della prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi mediante deposito degli estratti periodici di tale conto corrente, riferiti all’intera durata del rapporto, con la conseguenza che, qualora egli depositi solo alcuni di essi, da un lato non adempie a detto onere per la parte di rapporto non documentata e, dall’altro, tale omissione non costituisce fatto impediente il sollecitato accertamento giudiziale del dare e dell’avere fra le documentalmente riscontrato. parti, a partire dal primo saldo dal cliente.
Nella fattispecie in esame, essendo attrice, la correntista aveva l’onere di produrre anzitutto il contratto di conto corrente ordinario completo e, inoltre, gli estratti conto integrali relativi al medesimo, oltre che i contratti dei conti correnti ancillari e gli estratti conto dei medesimi. Per converso, si è limitata a una produzione parziale della documentazione contabile. D’altro canto, è stata rigettata la richiesta istruttoria di esibizione, ex artt. 210 c.p.c. e 119 TUB, dal momento che tale istanza era da considerarsi formulata in modo generico, non essendo indicati con la necessaria specificità, ex art. 94 disp. att. c.p.c., il documento o i documenti che sarebbero idonei a fornire la prova di talune circostanze, risultando la richiesta svolta quindi a fini esplorativi; peraltro, trattandosi di richiesta ex art. 119 TUB, sarebbe stata comunque inammissibile poiché la stessa riguardava documentazione risalente ad oltre il decennio. Del pari, è stata disattesa la sollecitazione a disporre una consulenza tecnica contabile, non essendo stata prodotta in atti la documentazione necessaria allo svolgimento della stessa e, in particolare, il contratto completo di apertura del conto corrente e gli estratti conto integrali del medesimo. A tale ultimo riguardo, inconferente è il richiamo alla sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 1763/2024, poiché tale pronuncia si riferisce alla mancata produzione integrale degli estratti conto e, invero, nella stessa risulta, invece, che il contratto di conto corrente era stato prodotto; mentre nella fattispecie in esame il contratto di conto corrente è stato prodotto solo in modo incompleto ed è mancante proprio della parte relativa ai tassi di interesse e alle altre condizioni pattuite e alla periodicità di capitalizzazione pattuita.
In relazione all’eccezione di nullità per mancanza di causa della clausola di massimo scoperto, rileva il Tribunale come l’istituto risponda alla funzione causale di assicurare alla banca un corrispettivo per lo sforzo economico organizzativo assunto con la stipula di un’apertura di credito, rappresentato dalla necessità di accantonare e tenere a disposizione l’intera somma oggetto dell’affidamento, in modo da poter adempiere all’obbligazione contratta con il cliente di mettere a sua disposizione tale importo, in tutto o in parte, per il solo fatto che e nella misura in cui questi decida di farne utilizzo. La sussistenza di una causa giustificatrice dell’istituto oggi è definitivamente confermata dalla disciplina normativa della commissione introdotta con la legge n. 2/09.
Da ultimo, con riferimento alla doglianza inerente all’applicazione di illegittimi interessi anatocistici, si rileva che risulta circostanza documentale che il contratto è stato stipulato in data 26.4.2001 e quindi successivamente alla delibera CICR del febbraio 2000 ed in effetti in ottemperanza alla medesima le parti hanno pattuito all’art. 7 che i rapporti dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità, pattuita e indicata nell’allegato al contratto, che è mancante. Pertanto, non è illegittima nella fattispecie in esame l’applicazione di interessi anatocistici.
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[1] Cfr. App. Milano, n. 2769/2019.
[2] V. Cass. n. 33009/2019.
[3] V. Cass. n. 36585/2022.
[4] V. Cass. n. 35979/2022.
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