Nota a App. Venezia, Sez. I, 13 settembre 2022, n. 1922.
Massima redazionale
In via preliminare, il Collegio veneziano rileva che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista, che agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito, è tenuto alla prova degli avvenuti pagamenti e della mancanza di una valida causa debendi essendo, altresì, onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione[1]. Del pari, il correntista non può invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare l’onere de quo in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione[2].
È pur vero che il correntista, attore in ripetizione, possa limitarsi a indicare l’esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione in riferimento a un dato conto e a un tempo determinato, senza necessità di indicare le singole poste[3]; pur tuttavia, è onerato della ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, con la conseguenza che non può essere accolta la domanda di restituzione se siano incompleti gli estratti conto attestanti le singole rimesse suscettibili di ripetizione[4]. Solo la produzione degli estratti conto, a partire dalla data di apertura del contratto di conto corrente sino alla data della domanda o di chiusura del conto, consente di pervenire, attraverso l’integrale ricostruzione dei rapporti di dare-avere tra le parti e con la corretta applicazione del tasso di interesse, all’esatta determinazione dell’eventuale credito del correntista e alla quantificazione degli importi da espungere sul conto.
Difatti, per la determinazione del saldo del conto, non sono sufficienti gli estratti conto scalari, in quanto rappresentano soltanto i conteggi degli interessi attivi e passivi, ma non consentono l’individuazione delle operazioni che hanno determinato le annotazioni degli interessi e di ricostruire esattamente tutti i movimenti effettuati nell’arco del tempo. La Corte veneziana ha già avuto modo di precisare[5] che la “mancanza degli estratti conto non consente di verificare se gli interessi del trimestre precedente siano stati effettivamente addebitati e capitalizzati nel successivo trimestre ovvero se siano stati per qualche ragione stornati, cosi come preclude di appurare se vi siano stati dei pagamenti da parte del cliente delle somme dovute a titolo di interessi, con la conseguenza che non avrebbero più prodotto a loro volta interessi. La produzione degli estratti “scalari” non consente nemmeno di accertare se nei periodi successivi ad ogni liquidazione trimestrale il saldo contabile sia ritornato attivo, magari anche per un solo giorno, sì da interrompere il flusso anatocistico”. Del resto, il correntista, che agisca giudizialmente per l’accertamento giudiziale del saldo, deve farsi carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto (Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; Cass. 13 ottobre 2016, n. 20693; Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948); con tale produzione, difatti, esso assolve all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza, rispetto ad essi, di una valida causa debendi (da ultimo Cass. n.11543/19).”.
Nel caso di specie, è pacifico che la rideterminazione del saldo del conto sia avvenuta attraverso l’esame dei soli estratti conto scalari prodotti da parte attrice, i quali non sono tuttavia idonei a rendere una ricostruzione certa e attendibile dei rapporti di dare e avere come raccomandato dalla giurisprudenza; in difetto di produzione degli estratti conto analitici e sulla base dei soli scalari non possono dirsi provati l’effettivo addebito degli interessi in conto corrente, la precisa e corretta quantificazione degli addebiti illegittimi (che non può presumersi sulla base della pattuizione contrattuale), l’effettivo pagamento di quanto chiesto in ripetizione.
Ciò posto, relativamente all’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca (rigettata dal primo Giudice sulla base del rilievo che la Banca non avrebbe individuato le rimesse operate in conto, né indicato la loro natura solutoria), la Corte territoriale rileva come, alla luce di quanto statuito dalle Sezioni Unite[6] e considerato che la società attrice non avesse prodotto alcun contratto di apertura di credito e, ancora, che la prova del fido potesse essere fornita soltanto tramite il documento costitutivo e non anche mediante prove indirette[7] o per facta concludentia, dalla mera tolleranza di una situazione di scoperto[8], il conto de quo non possa considerarsi affidato.
Invero, il mancato assolvimento, da parte dell’attrice, del proprio onus probandi, ha inficiato anche la possibilità di valutare adeguatamente l’eccezione di prescrizione correttamente sollevata dalla Banca, posto che sulla base della sola documentazione prodotta dall’attrice non sarebbe stato possibile procedere a un’analisi dell’impatto della prescrizione (gli scalari non offrono l’indicazione degli importi capitali giornalieri, né delle causali delle singole operazioni, che, invece, risultano desumibili dagli estratti conto analitici, in grado di fornire un appropriato riscontro dell’identità e della consistenza delle operazioni poste in atto).
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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 28.11.2018, n. 30822; Cass. Civ., Sez. VI, 23.10.2017, n. 24948.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 13.12.2019, n. 33009.
[3] Così, Cass. n. 11543/2019.
[4] Cfr. Cass. n. 30822/2018; Cass. n. 24948/2017.
[5] Cfr. App. Venezia, n. 405/2021, n. 2057/2021 e n. 258/2022.
[6] Le Sezioni Unite hanno definitivamente chiarito che l’onere di allegazione gravante sull’Istituto di credito convenuto in giudizio, che eccepisce la prescrizione, possa ritenersi soddisfatto con l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto e dalla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 15895/2019); sicché, eccepita dalla Banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito, per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata (cfr. Cass. 30.01.2019, n. 2660; Cass. 30.10.2018, n. 27704; Cass. 10.07.2018, n. 18144).
[7] V. Cass. n. 27705/2018.
[8] Da ultimo, Cass. n. 6478/2021.
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