Nota a App. Venezia, Sez. I, 9 settembre 2024, n. 1579.
Massima redazionale
La sentenza impugnata ha correttamente rilevato la nullità delle clausole n. 2, 6 e 8 della fideiussione in quanto conformi allo schema ABI, dimesso in giudizio dall’opponente unitamente al provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005. Segnatamente, l’attore ha fornito la prova della permanenza dell’intesa anti-concorrenziale mediante la produzione di oltre 30 modelli di fideiussione omnibus, coevi ovvero di epoca di poco antecedente o successiva alla stipula del contratto di garanzia, dal contenuto identico a quello dello schema ABI. Su tale documentazione, di per sé significativa, la cessionaria del credito non ha articolato alcuna replica. Nessun’altra prova poteva essere richiesta al fideiussore, il quale può provare l’accordo di cartello solo in via indiretta o presuntiva, vale a dire producendo i modelli di fideiussione omnibus utilizzati dagli istituti di credito nel periodo in cui è stata stipulata la contestata garanzia[1].
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Pur dovendo riconoscersi la genericità dei criteri di individuazione dei crediti ceduti indicati nell’avviso di cessione, pubblicato dalla mandante nella Gazzetta Ufficiale, la cessione del credito è stata confermata con dichiarazione prodotta in atti della cedente. Inoltre, la mancata iscrizione di nell’albo di cui all’art. 106 TUB non le preclude la riscossione del credito. Vanno sul punto richiamate le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione[2], nella quale il giudice di legittimità ha rilevato che il conferimento dell’incarico di recupero dei crediti cartolarizzati a un soggetto non iscritto nell’albo di cui all’art. 106 TUB e i conseguenti atti di riscossione da questo compiuti non sono affetti da invalidità, in quanto l’art. 2, comma 6, della l. n. 130 del 1999 non ha immediata valenza civilistica, ma attiene, piuttosto, alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e finanziario, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri, anche sanzionatori, facenti capo all’autorità di vigilanza e presidiati da norme penali, con la conseguenza che l’omessa iscrizione nel menzionato albo può assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con la predetta autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici. Tali considerazioni vanno integrate con la precisazione che il difetto della citata iscrizione consente al cessionario di agire secondo le ordinarie regole codicistiche, esclusa pertanto la possibilità d’invocare le disposizioni della legge n. 130 del 1999 laddove deroganti, in senso più favorevole per la società di cartolarizzazione, alla disciplina civilistica sull’accertamento e/o la riscossione del credito. Infine, la circostanza che né la mandataria, né la sub-mandataria fossero menzionate nell’avviso di cessione pubblicato nella Gazzetta Ufficiale è irrilevante, in quanto la sussistenza del rapporto di rappresentanza con l’attuale titolare del credito è attestata dalle procure notarili dimesse con la comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado.
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[1] Per converso, spetta all’Istituto di credito, in quanto soggetto maggiormente vicino alla prova, fornire la dimostrazione che l’identità di regolamentazione contrattuale è il frutto di scelte indipendenti degli operatori bancari.
[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. III, 18.03.2024, n. 7243.
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