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Nota a Trib. Alessandria, Sez. I, 18 giugno 2024.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

All’esito di un esaustivo peregrinare tra la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, il Tribunale alessandrino ritiene di non poter aderire alle conclusioni rassegnate dalla Corte Suprema di Cassazione, nella duplice occasione dell’ordinanza n. 7243/2024[1] e del decreto n. 13749/2024[2].

Invero, le stesse Sezioni Unite[3] hanno effettuato una ricognizione dei criteri per la qualificazione di una norma come imperativa evidenziando che esse non sono solo quelle che «si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti», ma anche quelle che riguardano «elementi estranei al contenuto o alla struttura del negozio, ricomprendendosi nell’area delle norme di cui all’art. 1418 c.c., comma 1 anche quelle 9 che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa (cfr., in generale, Cass. n. 8066 del 2016, SU n. 26724 del 2007): in caso di mancanza di una prescritta autorizzazione a contrarre o di clausole concepite in modo da consentire l’aggiramento di divieti a contrarre (cfr., tra le altre, Cass. n. 4853 del 2012, n. 20261 del 2006, n. 9767 del 2005), o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. n. 16281 del 2005, n. 11247 del 2003, n. 5052 del 2001), oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr. Cass. n. 4605 del 1983)». Le Sezioni Unite hanno evidenziato che «un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione – e quella di norma imperativa – come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali» e che quindi «il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività». Ed ancora: «la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati» al fine di scongiurare che l’eccessiva discrezionalità rimessa alla valutazione del giudice entri in frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa.

Pertanto, nel nostro caso, la disposizione di cui all’art. 2 presenta un contenuto precettivo specifico e chiaro ponendo un determinato requisito in capo ad una delle parti del rapporto (iscrizione all’albo ex art. 106 TUB), ovvero il soggetto incaricato della riscossione. È senza alcun dubbio una norma imperativa in quanto, in difetto di determinate condizioni soggettive (iscrizione all’albo ex art. 106 TUB), è vietata la stipula stessa del contratto, ovvero la delega delle attività di riscossione, ponendosi quindi tali atti in diretto contrasto con la norma. Infatti, la riscossione dei crediti, di cui sono titolari le società veicolo, configura un’attività “riservata” ai soli soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 106 TUB (salva la facoltà, a certe condizioni, di delega da parte di questi ultimi ai cc.dd. subservicer di talune attività, i quali operano sotto la vigilanza dei primi). Requisiti che evidentemente il legislatore ritiene necessari in considerazione degli interessi coinvolti nell’operazione, in particolare, la tutela degli investitori che acquistano titoli dalle società veicolo e gli obblighi di controllo che la stessa legge pone in capo a tali soggetti (art. 6-bis).

Come pure affermato dalla Banca d’Italia «La scelta di rimettere a banche e intermediari finanziari i compiti di servicing nelle operazioni di cartolarizzazione dei crediti risponde all’esigenza di assicurare un effettivo presidio di conformità su tali operazioni, mediante il coinvolgimento diretto di soggetti vigilati e specializzati nella gestione dei crediti e dei flussi di pagamento». L’Autorità di vigilanza ha affermato che la “cornice normativa” è “fondata sulla centralità del servicer quale soggetto sottoposto a vigilanza prudenziale”. L’omessa iscrizione consente, invece, agli operatori di sottrarsi agli obblighi di controllo esercitati dalla Banca d’Italia sui soggetti vigilati e quindi impedisce il raggiungimento degli obiettivi dettati dall’art. 2 della Legge sulle cartolarizzazioni.

Di talché, non appare condivisibile sostenere che «il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.)», né tale principio sembra conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità nella materia. Le Sezioni Unite hanno ben statuito che le norme previste in materia di intermediazione finanziaria hanno carattere imperativo in quanto «dettate non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell’interesse generale all’integrità dei mercati finanziari (come è ora reso esplicito dalla formulazione del D.Lgs n. 58 del 1998, art. 21, lett. a, ma poteva ben ricavarsi in via d’interpretazione sistematica già nel vigore della legislazione precedente), si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti»[4].

La Cassazione ha, poi, ritenuto “interessi di carattere generale” quelli «che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singuli, a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario…alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall’impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato, e che attribuiscono alla iscrizione nell’albo, alla autorizzazione, ai successivi controlli una valenza che trascende la formale e ordinata gestione dell’attività ed investe l’atto in cui essa si sostanzia, essendo interesse dell’ordinamento rimuoverlo, per le turbative che crea sul sistema finanziario generale»[5].

Si deve, quindi, necessariamente concludere che la disposizione che riserva ai servicer iscritti all’albo ex art. 106 TUB l’attività di riscossione dei crediti cartolarizzati abbia natura imperativa. Tale violazione ha rilievo anche civilistico e determina la nullità del contratto, e non solo, come sostenuto di recente dalla Cassazione, la sua violazione determina l’applicazione di sanzioni amministrative ed eventualmente penali.

Il fatto che le disposizioni richiamate non prevedano in maniera espressa la nullità degli atti compiuti in violazione del precetto non esclude affatto la possibilità di configurare una nullità virtuale, potendo la stessa derivare dal principio generale sancito dall’art. 1418, 1 comma, c.c., il quale prevedendo la nullità per contrasto a norme imperative, fa salvo solo il caso in cui “la legge disponga diversamente“.

La Cassazione[6] ha richiamato la consolidata giurisprudenza[7], per cui la diversa disposizione legislativa può essere “identificata anche implicitamente”, come per esempio nell’ipotesi in cui il legislatore prevede espressamente una forma di invalidità diversa dalla nullità (ad es. l’annullabilità) o quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi dall’invalidità del contratto (es. decadenza dai benefici fiscali). Con tale pronuncia, la Suprema Corte ha, però, precisato che occorre previamente identificare la ragione del divieto e che «sono sempre affetti da nullità gli atti contrari a norme imperative dirette a tutelare interessi di carattere generale. E tali sono quelli dei terzi e dei creditori sociali a che le operazioni di assistenza finanziaria, in violazione dell’art. 2358 c.c., non abbiano a depauperare il patrimonio della società; esattamente come lo sono quelli di volta in volta presidiati dalle norme di tutela della regolarità dei mercati o della stabilità del sistema finanziario o bancario, o delle garanzie della scelta dei contraenti per la regolarità dei pubblici appalti (v. Cass. Sez. 1 n. 367210, Cass. Sez. 1 n. 23025-11); e così via, secondo una casistica certo variabile ma pur sempre basata sull’evoluzione dei livelli di importanza attribuita al rango degli interessi presidiati nei diversi settori dell’ordinamento».

Ebbene, nella specie, la norma imperativa che richiede l’iscrizione all’albo degli intermediari ex art. 106 TUB è diretta a tutelare gli investitori e gli interessi generali del mercato, di rilievo costituzionale (art. 47 Cost.). Sicché come ben osservato recentemente dal Tribunale di Firenze[8] «La mancanza di una norma che commini la nullità non è sufficiente a ritenere che le sanzioni amministrative ed eventualmente penali esauriscano la risposta dall’ordinamento contro l’esercizio dell’attività vietata in quanto non vi è alcuna incompatibilità logica tra le due ipotesi, ben potendo le sanzioni essere cumulabili tra loro. Non può neppure ritenersi che l’effettività della norma imperativa sia adeguatamente tutelata attraverso la vigilanza della Banca d’Italia e l’apparato sanzionatorio previsto dal TUB. Ciò può valere nell’ipotesi in cui i soggetti vigilati eludano i controlli previsti dalla Banca d’Italia o pongano in essere talune violazioni delle disposizioni previste dal TUB e della normativa secondaria. Si tratta di ipotesi nelle quali l’accertamento risulterebbe più difficolto in sede civile, la violazione delle norme caratterizzata da contorni meno definiti, per cui applicare la sanzione della nullità virtuale rischierebbe di poter minare i traffici giuridici. Diversa è l’ipotesi in cui sia incaricato della riscossione direttamente un soggetto non iscritto all’albo previsto dall’art. 106 TUB in quanto in tale ipotesi risulta evidentemente assente un requisito soggettivo richiesto in maniera espressa dall’art. 2 della legge sulla cartolarizzazione per cui è la stessa esistenza del contratto con cui l’attività di riscossione viene delegata a porsi in contrasto con il precetto. In tali casi il rimedio della nullità, a parere del Tribunale, è quello che meglio assicura l’effettività della norma in quanto sono i debitori gli unici soggetti che hanno un interesse, coincidente con quello dell’ordinamento, a far valere eventuali violazioni, esercitando quindi un potere di impulso rispetto ad un controllo di legalità che verrebbe evidentemente meno qualora da tale violazione non vi fosse alcuna conseguenza sul piano civilistico. In queste ipotesi, infatti, la Banca d’Italia difficilmente potrebbe intervenire non svolgendo un’attività di vigilanza diretta sui soggetti non iscritti e quindi potendo venire solo indirettamente a conoscenza di eventuali 12 violazioni. Né tale impulso può essere esercitato dagli investitori che, essendo meri titolari di titoli finanziari, possono solo fare affidamento su quanto riportato nel prospetto informativo ma non hanno alcuna cognizione dell’effettiva attività di recupero di quei crediti».

Ne consegue che la sanzione civilistica della nullità, data la coincidenza dell’interesse del debitore con quello dell’ordinamento rispetto alla legalità dell’attività di recupero del credito cartolarizzato, è quella che assicura in maniera più efficace l’effettività della norma imperativa posta a presidio di interessi pubblici.

La giurisprudenza di legittimità[9] ha, infatti, già riconosciuto la nullità per violazione di norme imperative in riferimento ai contratti “conclusi dal banchiere di fatto” riconoscendo una ipotesi di «invalidità per difetto del presupposto giuridico soggettivo, costituito dalla qualità formalmente riconosciuta alla banca dalla autorizzazione ad operare nel settore del credito». Con specifico riferimento all’iscrizione all’albo ex art. 106 TUB, si è affermato che le «La clausola statutaria di una società a responsabilità limitata, che, nell’ambito dell’oggetto sociale, preveda la possibilità per la società di “concedere avalli, fideiussioni e garanzie di ogni genere” espressamente “nei confronti di chiunque, per obbligazioni di terzi anche non soci”, contemplando attività finanziarie svolte nei confronti del pubblico, rientra nell’area della riserva di cui all’art. 106 del testo unico bancario ed è, perciò, nulla per contrasto con norma imperativa»[10].

Ed ancora: «è nullo per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. (cd. nullità “virtuale”), il contratto di deposito a risparmio concluso con soggetto professionalmente dedito all’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, ma privo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria prescritta dall’art. 14 del d.lgs. n. 385 del 1993, stante la rilevanza del requisito soggettivo nella struttura dei contratti bancari, nei quali una delle parti è individuata indefettibilmente in una banca, e degli interessi pubblici sottesi alla riserva dell’attività bancaria alle imprese autorizzate, la cui tutela non può restare affidata esclusivamente alle sanzioni penali di cui agli artt. 130 e 131 del citato decreto»[11].

Si deve, quindi, ritenere che l’atto con cui la società veicolo conferisce direttamente la procura per la riscossione dei propri crediti ad una società non iscritta all’albo ex art. 106 TUB sia affetta da nulla per violazione di norma imperativa e la società procuratrice risulta priva del potere di rappresentanza sostanziale non potendo riscuotere i crediti in nome e per conto di quest’ultima. Tale nullità si riverbera sul potere di rappresentanza processuale della società incaricata ex art. 77 c.p.c.

Si è, tuttavia, obiettato che se la ratio della disposizione in esame è quella di tutelare gli investitori in titoli della società veicolo allora la nullità degli atti posti in essere dallo special servicer per il recupero del credito non potrebbe rappresentare una valida tutela per gli interessi dei soggetti, sulla scorta dei principi affermati dalle Sezioni Unite, con la prefata sentenza n. 7243/2024.

Tali rischi risultano, però, ad avviso del giudice piemontese, scongiurati dalla previsione dell’art. 182 c.p.c., che consente al creditore di procedere alla regolarizzazione della propria costituzione in giudizio mediante conferimento del potere di rappresentanza ad un soggetto regolarmente autorizzato ex art. 106 TUB. L’art. 182 c.p.c. dispone che «il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza, o l’assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione».

Il rimedio della sanatoria consente, infatti, di riportare nell’alveo della legalità l’attività di riscossione avviata senza compromettere il recupero del credito qualora il soggetto legittimato si costituisca effettivamente in giudizio o comunque qualora la posizione risulti regolarizzata. Non si realizza pertanto alcun vantaggio sproporzionato per il debitore in quanto, in definitiva, gli atti saranno travolti solo laddove l’attività di recupero non sia proseguita dal servicer iscritto all’albo ex art. 106 TUB, come imposto dalla legge.

 

 

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[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 18 marzo 2024, n. 7243, già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità, 19 marzo 2024, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità. – Diritto del Risparmio.

[2] Il riferimento è a Cass. 17 maggio 2024, n. 13749, già annotato su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Cessione in blocco di crediti: la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Tribunale di Brindisi, 17 maggio 2024, Cessione in blocco di crediti: la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso del Tribunale di Brindisi. – Diritto del Risparmio.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 8472/2022.

[4] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19.12.2007, n. 26724.

[5] Cfr. Cass. n. 5114/2001.

[6] Cfr. n. 28148/2023.

[7] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 6601/82; Cass. Civ., Sez. III, n. 7547/1993; Cass. Civ., Sez. I, n. 5052/2001.

[8] Il riferimento è a Trib. Firenze, Sez. III, 27 maggio 2024, già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB: per il Tribunale di Firenze la nullità è l’ottimo paretiano delle sanzioni civilistiche, Omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB: per il Tribunale di Firenze la nullità è l’ottimo paretiano delle sanzioni civilistiche. – Diritto del Risparmio.

[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 06.04.2001, n. 5114.

[10] Cfr. Cass. n. 2220/2013.

[11] Cfr. Cass. n. 4760/2018.

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