Nota a Trib. Firenze, Sez. III, 27 maggio 2024.
«Questo è il famoso Galileo, che fu sottoposto all’inquisizione per sei anni, e torturato per aver detto che la terra si muoveva. Quando fu liberato, egli alzò lo sguardo al cielo e giù verso terra e battendo il piede, con animo contemplativo disse: Eppur si move; ossia, tuttavia si muove, intendendo la terra.»
(Giuseppe Marco Antonio Baretti, The Italian Library, 1757)
Come noto, la Corte Suprema di Cassazione[1] è intervenuta sulla questione affermando che dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriverebbe alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici. A sostegno di tali conclusioni è stato osservato che «in relazione all’interesse tutelato, qualsiasi disposizione di legge, in quanto generale e astratta, presenta profili di interesse pubblico, ma ciò non basta a connotarla in termini imperativi, dovendo pur sempre trattarsi di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali»; il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.) […] in particolare, ad avviso del Collegio, le succitate norme non hanno alcuna valenza civilistica, ma attengono alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d’Italia) e presidiati anche da norme penali; conseguentemente, non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un’invalidità “derivata”».
Il Tribunale fiorentino non ritiene di poter aderire a tali conclusioni, inanellando una serie di precedenti giurisprudenziali di legittimità, che confuterebbero le conclusioni della Terza Sezione Civile.
Anzitutto, le Sezioni Unite[2] hanno effettuato una ricognizione dei criteri per la qualificazione di una norma come imperativa, evidenziando che esse non sono solo quelle che «si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti» ma anche quelle che riguardano «elementi estranei al contenuto o alla struttura del negozio, ricomprendendosi nell’area delle norme di cui all’art. 1418 c.c., comma 1 anche quelle che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive e soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipula stessa del contratto ponendo la sua esistenza in contrasto con la norma imperativa (cfr., in generale, Cass. n. 8066 del 2016, SU n. 26724 del 2007): in caso di mancanza di una prescritta autorizzazione a contrarre o di clausole concepite in modo da consentire l’aggiramento di divieti a contrarre (cfr., tra le altre, Cass. n. 4853 Pagina 7 del 2012, n. 20261 del 2006, n. 9767 del 2005), o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. n. 16281 del 2005, n. 11247 del 2003, n. 5052 del 2001), oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr. Cass. n. 4605 del 1983).». Le Sezioni Unite hanno affermato che «un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione – e quella di norma imperativa – come strumento di reazione dell’ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali» e che quindi «il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività». A ciò si aggiunge che «la nullità negoziale deve discendere dalla violazione di norme aventi contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati» al fine di scongiurare che l’eccessiva discrezionalità rimessa alla valutazione del giudice entri in frizione con i valori di libertà negoziale e di impresa.
Nel caso di specie, la disposizione di cui all’art. 2 l. n. 130/1999 presenta un contenuto precettivo specifico e chiaro, ponendo un determinato requisito in capo a una delle parti del rapporto (iscrizione all’albo ex art. 106 TUB), ovvero il soggetto incaricato della riscossione. Si tratta di una norma imperativa in quanto, in difetto di determinate condizioni soggettive (iscrizione all’albo ex art. 106 TUB), è vietata la stipula stessa del contratto, ovvero la delega delle attività di riscossione, ponendosi quindi tali atti in diretto contrasto con la norma. La riscossione dei crediti, di cui sono titolari le società veicolo, configura un’attività “riservata” ai soli soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 106 TUB (salva la facoltà, a certe condizioni, di delega da parte di questi ultimi ai cc.dd. subservicer di talune attività, i quali operano sotto la vigilanza dei primi). Si tratta di requisiti che evidentemente il legislatore ritiene necessari in considerazione degli interessi coinvolti nell’operazione, in particolare, la tutela degli investitori che acquistano titoli dalle società veicolo e gli obblighi di controllo che la stessa legge pone in capo a tali soggetti (art. 6bis).
Come affermato dalla Banca d’Italia «La scelta di rimettere a banche e intermediari finanziari i compiti di servicing nelle operazioni di cartolarizzazione dei crediti risponde all’esigenza di assicurare un effettivo presidio di conformità su tali operazioni, mediante il coinvolgimento diretto di soggetti vigilati e specializzati nella gestione dei crediti e dei flussi di pagamento». L’autorità di vigilanza ha affermato che la “cornice normativa” è «fondata sulla centralità del servicer quale soggetto sottoposto a vigilanza prudenziale». L’omessa iscrizione consente invece agli operatori di sottrarsi agli obblighi di controllo esercitati dalla Banca d’Italia sui soggetti vigilati e, quindi, impedisce il raggiungimento degli obiettivi dettati dall’art. 2 della legge sulle cartolarizzazioni. Non appare, quindi, condivisibile l’affermazione secondo cui «il mero riferimento alla rilevanza economica (nazionale e generale) delle attività bancarie e finanziarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni del cd. “diritto dell’economia”, contenute in interi apparati normativi (come il T.U.B. o il T.U.F.)», né tale principio sembra conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità nella materia de qua.
Le Sezioni Unite hanno affermato che le norme previste in materia di intermediazione finanziaria hanno carattere imperativo in quanto «dettate non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell’interesse generale all’integrità dei mercati finanziari (come è ora reso esplicito dalla formulazione del D.Lgs n. 58 del 1998, art. 21, lett. a, ma poteva ben ricavarsi in via d’interpretazione sistematica già nel vigore della legislazione precedente), si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti»[3]. La Cassazione ha, altresì, ritenuto “interessi di carattere generale” quelli «che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singuli, a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario…alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall’impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato, e che attribuiscono alla iscrizione nell’albo, alla autorizzazione, ai successivi controlli una valenza che trascende la formale e ordinata gestione dell’attività ed investe l’atto in cui essa si sostanzia, essendo interesse dell’ordinamento rimuoverlo, per le turbative che crea sul sistema finanziario generale»[4]. Si deve, quindi, concludere che la disposizione che riserva ai servicer iscritti all’albo ex art. 106 TUB l’attività di riscossione dei crediti cartolarizzati ha natura imperativa.
Si tratta a questo punto di verificare se la sua violazione abbia rilievo anche civilistico e possa determinare la nullità del contratto oppure se, come sostenuto nell’ultima sentenza richiamata, la sua violazione determini solamente l’applicazione di sanzioni amministrative ed eventualmente penali.
Ebbene, in primo luogo, il giudice fiorentino rileva che il fatto che le disposizioni richiamate non prevedano in maniera espressa la nullità degli atti compiuti in violazione del precetto non esclude la possibilità di configurare una nullità c.d. virtuale, potendo la stessa derivare dal principio generale sancito dall’art. 1418, comma 1, c.c., il quale prevedendo la nullità per contrasto a norme imperative, fa salvo solo il caso in cui “la legge disponga diversamente“. La Cassazione[5] ha richiamato la tradizionale giurisprudenza[6], secondo la quale la diversa disposizione legislativa può essere “identificata anche implicitamente”, come per esempio nell’ipotesi in cui il legislatore prevede espressamente una forma di invalidità diversa dalla nullità (a titolo esemplificativo, l’annullabilità) o, al contempo, quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi dall’invalidità del contratto (a titolo esemplificativo, la decadenza dai benefici fiscali). Pur tuttavia, con tale pronuncia, la Suprema Corte ha precisato che occorre previamente identificare la ragione del divieto e che «sono sempre affetti da nullità gli atti contrari a norme imperative dirette a tutelare interessi di carattere generale. E tali sono quelli dei terzi e dei creditori sociali a che le operazioni di assistenza finanziaria, in violazione dell’art. 2358 c.c., non abbiano a depauperare il patrimonio della società; esattamente come lo sono quelli di volta in volta presidiati dalle norme di tutela della regolarità dei mercati o della stabilità del sistema finanziario o bancario, o delle garanzie della scelta dei contraenti per la regolarità dei pubblici appalti (v. Cass. Sez. 1 n. 367210, Cass. Sez. 1 n. 23025-11); e così via, secondo una casistica certo variabile ma pur sempre basata sull’evoluzione dei livelli di importanza attribuita al rango degli interessi presidiati nei diversi settori dell’ordinamento»[7].
Nel caso di specie, la norma imperativa che richiede l’iscrizione all’albo degli intermediari ex art. 106 TUB è diretta a tutelare gli investitori e gli interessi generali del mercato, di rilievo costituzionale (art. 47 Cost.). La mancanza di una norma che commini la nullità non è sufficiente a ritenere che le sanzioni amministrative ed eventualmente penali esauriscano la risposta dall’ordinamento contro l’esercizio dell’attività vietata in quanto non vi è alcuna incompatibilità logica tra le due ipotesi, ben potendo le sanzioni essere cumulabili tra loro. Al tempo stesso, non può ritenersi che l’effettività della norma imperativa sia adeguatamente tutelata attraverso la vigilanza della Banca d’Italia e l’apparato sanzionatorio previsto dal TUB; invero, ciò può valere nell’ipotesi in cui i soggetti vigilati eludano i controlli previsti dalla Banca d’Italia o pongano in essere talune violazioni delle disposizioni previste dal TUB e della normativa secondaria: trattasi di ipotesi nelle quali l’accertamento risulterebbe più difficoltà in sede civile, la violazione delle norme caratterizzata da contorni meno definiti, per cui applicare la sanzione della nullità virtuale rischierebbe di poter minare i traffici giuridici.
Diversa è l’ipotesi in cui sia incaricato della riscossione direttamente un soggetto non iscritto all’albo previsto dall’art. 106 TUB, in quanto in tale ipotesi risulta evidentemente assente un requisito soggettivo richiesto in maniera espressa dall’art. 2 della legge sulla cartolarizzazione per cui è la stessa esistenza del contratto con cui l’attività di riscossione viene delegata a porsi in contrasto con il precetto. In tali casi, il rimedio della nullità è quello che meglio assicura l’effettività della norma in quanto sono i debitori gli unici soggetti che hanno un interesse, coincidente con quello dell’ordinamento, a far valere eventuali violazioni, esercitando quindi un potere di impulso rispetto ad un controllo di legalità che verrebbe evidentemente meno qualora da tale violazione non vi fosse alcuna conseguenza sul piano civilistico. In queste ipotesi, infatti, la Banca d’Italia difficilmente potrebbe intervenire non svolgendo un’attività di vigilanza diretta sui soggetti non iscritti e, quindi, potendo venire solo indirettamente a conoscenza di eventuali violazioni. Né, tantomeno, tale impulso può essere esercitato dagli investitori che, essendo meri titolari di titoli finanziari, possono solo fare affidamento su quanto riportato nel prospetto informativo ma non hanno alcuna cognizione dell’effettiva attività di recupero di quei crediti.
La sanzione civilistica della nullità, data la coincidenza dell’interesse del debitore con quello dell’ordinamento rispetto alla legalità dell’attività di recupero del credito cartolarizzato, è pertanto quella che assicura in maniera migliore l’effettività della norma imperativa posta a presidio di interessi pubblici[8]. La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, già riconosciuto la nullità per violazione di norme imperative in riferimento ai contratti “conclusi dal banchiere di fatto” riconoscendo una ipotesi di «invalidità per difetto del presupposto giuridico soggettivo, costituito dalla qualità formalmente riconosciuta alla banca dalla autorizzazione ad operare nel settore del credito»[9]. Con specifico riferimento all’iscrizione all’albo ex art. 106 TUB, si è affermato che le «La clausola statutaria di una società a responsabilità limitata, che, nell’ambito dell’oggetto sociale, preveda la possibilità per la società di “concedere avalli, fideiussioni e garanzie di ogni genere” espressamente “nei confronti di chiunque, per obbligazioni di terzi anche non soci”, contemplando attività finanziarie svolte nei confronti del pubblico, rientra nell’area della riserva di cui all’art. 106 del testo unico bancario ed è, perciò, nulla per contrasto con norma imperativa»[10]. Ed ancora: «è nullo per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. (cd. nullità “virtuale”), il contratto di deposito a risparmio concluso con soggetto professionalmente dedito all’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, ma privo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria prescritta dall’art. 14 del d.lgs. n. 385 del 1993, stante la rilevanza del requisito soggettivo nella struttura dei contratti bancari, nei quali una delle parti è individuata indefettibilmente in una banca, e degli interessi pubblici sottesi alla riserva dell’attività bancaria alle imprese autorizzate, la cui tutela non può restare affidata esclusivamente alle sanzioni penali di cui agli artt. 130 e 131 del citato decreto»[11].
Alla stregua delle considerazioni che precedono si deve ritenere che l’atto con cui la società veicolo conferisce direttamente la procura per la riscossione dei propri crediti ad una società non iscritta all’albo ex art. 106 TUB è nulla per violazione di norme imperativa e la società procuratrice risulta priva del potere di rappresentanza sostanziale non potendo riscuotere i crediti in nome e per conto di quest’ultima. Tale nullità si riverbera sul potere di rappresentanza processuale della società incaricata ex art. 77 c.p.c.
E cadde come corpo morto cade (semicit.).
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[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 18 marzo 2024, n. 7243, già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità. – Diritto del Risparmio.
[2] Cfr. Cass. n. 8472/2022.
[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19.12.2007, n. 26724.
[4] Cfr. Cass. n. 5114/2001.
[5] Cfr. Cass. n. 28148/2023.
[6] Cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 6601/1982; Cass. Civ., Sez. III, n. 7547/1993; Cass. Civ., Sez. I, n. 5052/2001.
[7] Cfr. Cass. n. 28148/2023.
[8] Per un approfondimento, N. Stiaffini, Sulla (ennesima) “occasione mancata” di chiarezza sull’applicazione dell’art 106 TUB, su questo Portale, 25 maggio 2024, N. Stiaffini – Sulla (ennesima) “occasione mancata” di chiarezza sull’applicazione dell’art 106 TUB. – Diritto del Risparmio.
[9] Cfr. Cass. Civ., Sez. I , 06.04.2001 , n. 5114.
[10] Cfr. Cass. n. 2220/2013.
[11] Cfr. Cass. n. 4760/2018.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it