Nota a Cass. 17 maggio 2024.
Non sussistono le condizioni previste dall’art. 363bis c.p.c., perché la questione sollevata dal Tribunale di Brindisi[1] possa trovare ingresso.
Invero, la questione non presenta il requisito della grave difficoltà interpretativa, giacché nella giurisprudenza di legittimità si rinviene l’enunciazione di principi suscettibili di orientare la risoluzione del dubbio posto dal rimettente. La Terza Sezione Civile[2] ha già affermato che, al fine di qualificare la cessione del credito quale attività di finanziamento, soggetta alla disciplina dell’art. 106 TUB, non è sufficiente che il cessionario operi nei confronti di terzi con carattere di professionalità, ma è necessario che la cessione integri erogazione di un finanziamento, ossia che comporti l’anticipazione di denaro o altra utilità[3]. Si è così affermata la non riconducibilità dell’operazione all’attività di finanziamento, essendo il versamento del corrispettivo della cessione meramente eventuale in quanto condizionato al buon esito della riscossione del credito ceduto.
La Corte ha anche ricordato che, in attuazione di quanto previsto dal comma 2 del citato art. 106, il Ministero delle finanze, con il decreto ministeriale n. 53/2015, ha stabilito, all’art. 2, comma 1, che “per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma” e che “l’attività comprende, tra l’altro, ogni tipo di finanziamento erogato nella forma di: a) locazione finanziaria; b) acquisto di crediti a titolo oneroso; c) credito ai consumatori, così come definito dall’art. 121 del testo unico bancario; d) credito ipotecario; e) prestito su pegno; f) rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione, girata, impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma”.
Al di là della fattispecie concreta sottostante e della tipologia di credito ceduto[4], tale decisione appare significativa perché distingue la semplice operazione di cessione del credito dalla vera e propria prestazione di servizi di finanziamento, solo al cospetto della quale sorge l’obbligo di iscrizione all’albo degli intermediari finanziari.
Ora, nella vicenda oggetto dell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, se vi sono plurime cessioni del medesimo credito ipotecario, nondimeno nessun cessionario ha elargito alcun servizio di finanziamento nei confronti dei mutuatari, essendosi, ciascuno, limitato ad acquisire la titolarità del credito per procedere al suo incasso, direttamente o a mezzo di una diversa società mandataria. Soccorre altro recentissimo pronunciamento della Terza Sezione Civile[5], la quale ha stabilito che il conferimento dell’incarico di recupero dei crediti cartolarizzati ad un soggetto non iscritto nell’albo di cui all’art. 106 TUB e i conseguenti atti di riscossione da questo compiuti non sono affetti da invalidità, in quanto l’art. 2, comma 6, della legge n. 130/1999 non ha immediata valenza civilistica, ma attiene, piuttosto, alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e finanziario, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri, anche sanzionatori, facenti capo all’autorità di vigilanza e presidiati da norme penali, con la conseguenza che l’omessa iscrizione nel menzionato albo può assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con la predetta autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici. Nella pronuncia de qua, la Terza Sezione ha affermato che dall’omessa iscrizione nell’albo ai sensi dell’art. 106 TUB del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriva alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l’autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici.
Ne discende la conclusione secondo cui, ai fini della validità del controricorso, non rileva che la società (rappresentante sostanziale di altra società, a sua volta mandataria della società veicolo, cessionaria di credito bancario), sia iscritta, oppure no, nell’albo degli intermediari finanziari.
La Corte Suprema di Cassazione si è, pertanto, pronunciata in materia di iscrizione all’albo degli intermediari finanziari autorizzati, ex art. 106 TUB, da parte dello special servicer che agisce per il recupero di un credito cartolarizzato, in qualità di mandatario del creditore procedente. Nel caso di specie era stato eccepito il difetto di rappresentanza dello special servicer resistente, nel giudizio dinanzi alla Corte, con controricorso, in quanto non risultava iscritto all’albo di cui all’art. 106 TUB: in sostanza, non avrebbe avuto la legittimazione a contraddire al ricorso per cassazione in quanto tale attività rilevava proprio quale attività tesa al recupero del credito. Secondo la Corte, il mero riferimento alla rilevanza economica delle attività bancarie non vale di per sé a qualificare in termini imperativi tutta l’indefinita serie di disposizioni contenute nel TUB: tali norme, prive di valenza civilistica, ma attengono alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e, più in generale, delle attività finanziarie, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all’autorità di vigilanza e presidiati anche da norme penali. Conseguentemente, non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale, o sugli atti di riscossione compiuti, le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un’invalidità “derivata”.
Le due richiamate decisioni delineano un quadro convergente e forniscono, nel quadro di una nomofilachia circolare, precise indicazioni, utilizzabili dal giudice di merito ai fini della risoluzione del caso sottoposto al suo esame, concernendo, l’una, i presupposti per l’applicazione dell’art. 106 TUB (obbligo di iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari), e, l’altra, l’esclusione di tale obbligo per le società incaricate della riscossione, anche coattiva, del credito.
Di tal guisa, ai sensi dell’art. 363bis c.p.c., quando il dubbio ermeneutico sollevato è in realtà risolvibile senza gravi difficoltà, non vi è spazio per l’intervento preventivo della Corte di cassazione[6]. Per converso, l’ordinanza di rimessione palesa di voler porre in discussione l’approdo cui è giunta la Corte di Cassazione[7]. In realtà, il rinvio pregiudiziale non può trasformarsi in un improprio meccanismo rivolto a riconsiderare o a censurare, sotto questo o quel profilo, decisioni già adottate in sede di legittimità. Esso non può essere incentrato sul dissenso da un precedente di legittimità. Il che porta a ritenere, in conclusione, che la novità della quaestio iuris è esclusa dalla presenza di pronunce suscettibili di rappresentare una guida orientativa per il giudice di merito nella soluzione dei casi concreti, non rilevando che il giudice a quo abbia manifestato di non condividere tali pronunce. L’istituto della nomofilachia preventiva non può trasformarsi in un mezzo rivolto a sollecitare impropriamente una riconsiderazione della giurisprudenza di legittimità.
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[1] Il riferimento è a Trib. Brindisi, 16 aprile 2024, già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Cessione crediti, iscrizione all’albo ex art. 106 TUB e possibile “anticomunitarietà” del contratto: il Tribunale di Brindisi rimette alla Corte Suprema di Cassazione, 18 aprile 2024, Cessione crediti, iscrizione all’albo ex art. 106 TUB e possibile “anticomunitarietà” del contratto: il Tribunale di Brindisi rimette alla Corte Suprema di Cassazione. – Diritto del Risparmio.
[2] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 20 febbraio 2024, n. 4427.
[3] Segnatamente, la Corte, pronunciandosi in una fattispecie di cessione del credito spettante, nei confronti della compagnia aerea, al trasportato ex art. 7 del Regolamento CE n. 261 del 2004, ha confermato la sentenza impugnata che aveva disatteso l’eccezione di nullità della cessione di credito ai sensi dell’art. 106 TUB.
[4] Relativa ad una cessione del credito spettante, nei confronti di una compagnia aerea, al trasportato, ex art. 7 del regolamento CE n. 261 del 2004.
[5] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. III, 18 marzo 2024, n. 7243, già annotata su questo Portale, con nota di A. Zurlo, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità, 19 marzo 2024, Il diavolo è nei dettagli e anche nelle eccezioni “artificiose”: dall’omessa iscrizione nell’albo ex art. 106 TUB non consegue alcuna invalidità. – Diritto del Risparmio.
[6] Infatti, la ratio del rinvio pregiudiziale consiste nell’affrontare questioni giuridiche di rilevante complessità che, per il loro carattere di novità, richiedano l’intervento nomofilattico preventivo della Corte al fine di orientare, fin da subito, i giudici di merito. L’istituto è stato disegnato dal legislatore al fine di rendere con tempestività un indirizzo di legittimità in settori di interesse generale, senza che si debba attendere che la questione dibattuta giunga, dopo anni, all’attenzione della Corte attraverso la trafila degli ordinari mezzi di impugnazione. Se ogni questione interpretativa fosse passibile di essere sottoposta, tramite l’istituto di cui all’art. 363-bis cod. proc. civ., alla decisione della Corte di cassazione, si finirebbe con l’inaridire il compito di interpretare la legge, che è dovere indeclinabile di ogni giudice, anche di merito.
[7] Segnatamente, il Tribunale di Brindisi relega la pronuncia della Corte n. 7243/2024 a un mero inciso espresso incidenter tantum, affermando che essa si è pronunciata sulla validità del mandato con procura, concesso ad una società terza e senza che alla stessa fosse posto anche il problema della coerenza della soluzione, poi prescelta, con la normativa antiriciclaggio nazionale e, soprattutto, di rango comunitario. Secondo il giudice a quo, in particolare, la fattispecie ineriva alla legittimazione del soggetto, incaricato della riscossione e, dunque, del materiale incameramento del credito, non anche del cessionario (in blocco) e, perciò, non atteneva alla validità della cessione quale vicenda traslativa del credito. Per l’altro verso, secondo il rimettente, la pronuncia della Corte non avrebbe considerato “come il contratto di mandato o il negozio unilaterale di procura, sottesi a tale fattispecie, potrebbero avere la finalità di eludere i controlli amministrativi e penali, specie in materia di contrasto alle operazioni di riciclaggio. Dunque, in applicazione della teorica della causa in concreto, quale sintesi degli interessi perseguiti dalle parti, a mezzo dell’operazione economica nel suo complesso, l’uno o l’altro dovrebbero considerarsi affetti da nullità”.
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