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Nota a Trib. Brindisi, 16 aprile 2024.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

In esito a un monografico approfondimento, il Tribunale brindisino evidenzia come il sempre più articolato apparato rimediale in materia di contrasto del riciclaggio (specie di provenienza sovranazionale)  ponga il problema della sorte del contratto di cessione di grandi quantità di crediti, a fronte di corrispettivi di particolare entità, specie, quando intervenga fra due soggetti, entrambi non iscritti nell’albo ex art. 106 TUB e, dunque, non qualificati, né vigilati, né, tantomeno, conformati nel proprio assetto organizzativo.

Peraltro, la prospettiva di una violazione (rectius, di una elusione) della disciplina unionale appare aggravata dall’assenza, in materia di cessioni in blocco, della previsione di un obbligo di forma scritta (anche solo ad probationem), né, tantomeno, del ricorso al rogito notarile, presidiato dalle garanzie che contornano l’atto pubblico, in particolare, sotto il profilo dei controlli antiriciclaggio.

Questione tal ultima non incisa dalla già ritenuta piena validità del contratto con cui un terzo soggetto, quale adiectus solutioni causa o, meglio, quale procuratore all’incassosia incaricato della materiale riscossione dei crediti stessi.

Il principio di effettività del diritto comunitario dovrebbe imporre la più radicale delle sanzioni, ovvero la nullità o, comunque, la neutralizzazione degli effetti del contratto, mediante l’istituto della disapplicazione degli effetti prodotti dallo stesso.

Diversamente, l’effetto utile del diritto unionale, che si estrinseca in materia anche tramite regolamenti e principi generali (come quello di trasparenza), sarebbe totalmente frustrato.

Il Giudice brindisino ritiene che ad abbisognare di un necessitato chiarimento non sia la normativa interna e unionale (fin troppo cristallina), ma, per converso, le conseguenze giuridiche che discendano sulle cessioni in blocco dal predetto quadro regolatorio, ogniqualvolta lo stesso, per effetto, delle modalità soggettive dei negozi traslativi, violino o, meglio, eludino le predette norme. 

Del tutto condivisibilmente, il monolitico apparato argomentativo dell’ordinanza approda alla formulazione di alcuni quesiti, che alludono a una sorta di revirement, in odor di “comunitarietà”; segnatamente:

«Voglia  il Supremo Consesso:

1. pronunciarsi  sulla validità o meno del contratto di cessione, stipulato con soggetto non iscritto al registro ex art. 106 tub alla luce della normativa antiriciclaggio di fonte interna e comunitaria, cosi come del generale principio di trasparenza (che è ipotesi diversa da quella già affrontata dalla Corte, per quanto in un mero obiter dictum, della sorte giuridica del mandato o della procura conferite per l’incasso dei correlati crediti).

In particolare, in quanto afferente al caso di specie, si chiede la pronuncia dell’Autorevole consesso in relazione all’ipotesi in cui la cessione intervenga fra due soggetti entrambi non iscritti e non qualificati, dunque né vigilati, né conformati nel proprio assetto organizzativo;

2. qualora lo ritenga opportuno, chiarire quali rimedi l’ordinamento appresti a fronte dell’eventuale invalidità (nullità o inefficacia o rilievo solo amministrativo della violazione) del predetto negozio;

3. premessa la vigenza del livello comunitario della disciplina antiriclaggio e la sua univocità, nell’ipotesi di ritenuto contrasto con la stessa, chiarire se il contratto di cessione possa ritenersi invalido e, nell’ipotesi affermativa, se lo stesso sia da ritenersi nullo o inefficace o disapplicabile, nei suoi effetti,  come concluso dalla univoca giurisprudenza di legittimità con riguardo alle norma interna anticomunitaria;

4. in subordine, ove il Supremo Collegio ritenga che la normativa comunitaria in materia di riciclaggio non sia univoca, anche alla luce della giurisprudenza della Cgue, valutare la possibilità di un  rinvio pregiudiziale all’organo della giurisdizione comunitaria, per una compiuta interpretazione della normativa sovranazionale.»

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