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Nota a ACF, 18 luglio 2023, n.6707.

La decisione dell’ACF (Arbitro per le controversie finanziarie) in esame concerne la sottoscrizione di obbligazioni subordinate emesse e collocate dall’intermediario resistente.

In particolare, la ricorrente contesta al convenuto di aver violato gli obblighi informativi in fase genetica, le disposizioni in tema di profilatura della clientela e in materia di valutazione di appropriatezza.

L’arbitro, nel motivare l’accoglimento del ricorso solo relativamente alla fase genetica dell’investimento, affronta analiticamente tutte le questioni.

  • Preliminarmente, il Collegio non ravvisa la ricorrenza di elementi sufficienti a provare il disconoscimento della firma della ricorrente sulla documentazione riguardante il rapporto con l’intermediario. A sostegno di tale posizione, l’Arbitro ricorda che le esigenze di celerità e di speditezza del procedimento dinanzi all’ACF impongono una cognizione sommaria dei fatti, fondata sui soli documenti prodotti dalle parti. Il Collegio, infatti, non può promuovere direttamente iniziative per l’acquisizione di perizie o consulenze grafologiche e procedere a giudizi di verificazione di sottoscrizioni o di scritture private, ovvero ad accertamenti di altro genere (cfr., tra le molte, le decisioni ACF n. 2127, 3098 e 4868).

Nel caso di specie, non avendo la cliente prodotto perizie grafologiche o altra documentazione a supporto, l’Arbitro non può pronunciarsi sull’eventuale apografia delle firme.

  • Con riferimento invece alla contestata violazione degli obblighi informativi in fase genetica, l’ACF ha sposato il proprio orientamento per cui gli intermediari sono tenuti a dimostrare “in concreto” di aver reso tutte le informazioni dovute. In tale prospettiva, la dichiarazione del cliente, apposta in calce all’ordine, “di aver ricevuto informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni del presente ordine e di aver preso nota delle clausole che lo contraddistinguono”, non “può far ritenere di per sé assolto il complesso degli obblighi di informazione che gravano sull’Intermediario” (cfr. anche decisioni ACF n. 5258, 5595 e 5578).

In particolare, il cliente deve essere edotto delle specifiche caratteristiche dello strumento finanziario, come la presenza di una clausola di subordinazione (cfr., ex multis, la decisione ACF n. 3128).

L’obbligazione subordinata, in quanto titolo il cui rimborso nel caso di liquidazione o fallimento dell’emittente avviene successivamente a quello dei creditori ordinari, è uno strumento finanziario che contiene un livello di rischio evidentemente più elevato e ben diverso da quello di un’obbligazione ordinaria; pertanto, tale caratteristica deve essere fin da subito resa nota al cliente al fine di addivenire ad una scelta di investimento consapevole.

Nel caso di specie, la documentazione consegnata alla ricorrente è stata ritenuta insufficiente. Infatti le obbligazioni, oltre a non dare conto del vincolo di subordinazione, risultavano prive anche solo del suffisso “SUB” e perfino definite come obbligazioni “ordinarie”.

  • Anche in relazione alle contestazioni sulla profilatura della cliente, l’Arbitro richiama delle proprie decisioni. In esse era già stato chiarito che la profilatura non può dirsi svolta correttamente, e comunque non può essere ritenuto attendibile il profilo che ne emerge, in caso di incoerenza del quadro informativo desumibile dai diversi questionari compilati nel tempo (decisione ACF n. 777). Il Collegio ha altresì ritenuto strumentale all’esecuzione degli investimenti il susseguirsi, anche in un breve arco temporale, di plurime profilature con assegnazione di profili di rischio progressivamente più elevati, pur restando immutate le caratteristiche personali e finanziarie del cliente (v. già decisione n. 873)

Ebbene, ciò è quanto risulta accaduto nel caso in esame, essendo stati sottoposti alla ricorrente, addirittura nella medesima giornata, ben tre questionari, oltretutto riportanti finalità d’investimento e livelli di rischio diversificati gli uni dagli altri.

  • In relazione invece alla adeguatezza/appropriatezza dell’investimento, la ricorrente sostiene che l’investimento è stato realizzato a sua insaputa, circostanza di cui, invero, non fornisce alcuna prova.

L’Arbitro ha stabilito che, nelle ipotesi in cui il contratto quadro sottoscritto tra le parti non preveda la prestazione del servizio di consulenza, è onere del ricorrente fornire la prova della prestazione, in via di fatto, di un’attività consulenziale sullo specifico acquisto (decisione ACF n. 4483). L’effettiva attività di consulenza atterrebbe alla dinamica dei rapporti tra cliente e personale dell’intermediario, vertendo quindi su circostanze al di fuori della regola dell’art. 23, co.6 TUF, con la conseguenza che il relativo onere probatorio incombe sul ricorrente (decisioni ACF n. 4384, 4523, 4528 e 4547).

Constatata la mancanza di una prova in tal senso, l’Intermediario era, pertanto, tenuto a svolgere la mera verifica di appropriatezza dell’investimento.

Come noto, essa deve essere parametrata sulla sola conoscenza/esperienza del cliente.

Secondo il Collegio, l’investimento in contestazione risulta essere appropriato alle caratteristiche della cliente. Difatti nonostante che, per le ragioni sopra esposte, i questionari di profilatura della ricorrente in atti debbono ritenersi non attendibili, in ogni caso, dall’estratto conto titoli emerge una consistente operatività su strumenti finanziari analoghi o, comunque, aventi classe di rischio elevato.

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