Trib. Milano, Sez. XIV, 19 gennaio 2022.
di Antonio Zurlo
Con la recentissima sentenza in oggetto, resa in esito al pronunciamento delle Sezioni Unite n. 41994/2021, il Tribunale di Milano evidenzia come la Suprema Corte, proprio con tale ultima statuizione, nell’ammettere la c.d. tutela reale (ovverosia, la sanzione della nullità), accanto a quella meramente risarcitoria per equivalente, abbia ritenuto che si configuri la mera nullità parziale, limitata, quindi, alle sole clausole contrattuali illecite, in ossequio del principio generale di conservazione del negozio giuridico. Sempre secondo tale pronunciamento, l’estensione della nullità all’intero contratto ha portata eccezionale ed è a carico di chi abbia interesse a caducare tutto l’assetto programmato, con la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola invalida (restando, del pari, precluso al giudice rilevare d’ufficio siffatto effetto estensivo).
Più nello specifico, tale prova consisterebbe nella dimostrazione che la porzione colpita da invalidità non abbia un’esistenza autonoma, né, tantomeno, sia atta a perseguire un risultato distinto, essendo, per contro, in correlazione inscindibile con il resto (nel senso che i soggetti contraenti non avrebbero concluso il contratto in assenza di quella parte di contenuto colpito da nullità). Nella specie, il fideiussore, a giudizio del Tribunale milanese, avrebbe, in ogni caso, prestato la garanzia, anche senza le clausole caducate, in quanto portatore di un interesse economico al finanziamento bancario, giustificativo, in maniera assorbente, del consenso alla prestazione.
Ciò premesso, il giudice milanese rileva come il contratto di fideiussione attenzionato fosse stato stipulato nel dicembre 2010, «cioè a distanza di oltre cinque anni dal provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, che costituisce prova privilegiata solo in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso»; da tale assunto, consegue che, per converso, «il provvedimento anzidetto non costituisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo alla fideiussione in parola, stipulata in un periodo rispetto al quale nessuna indagine risulta essere stata svolta dall’autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha – com’è noto – coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005».
Da ciò, secondo il Tribunale meneghino, deriva che parte attrice debba essere onerata dall’allegazione e dalla dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d’illecito concorrenziale dedotto in giudizio, di cui all’art. 2 della legge n. 287/1990. Nel caso di specie, l’attore non ha depositato alcun documento o articolato mezzi di prova, finalizzati a comprovare che, nel 2010, un numero significativo di Istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, avrebbe coordinato la propria azione, per sottoporre (rectius, continuare a sottoporre) alla propria clientela modelli uniformi di fideiussione, atti a privare del diritto a una scelta effettiva (e non unicamente apparente) tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza. Mancando la prova dell’intesa, anteriore o coeva alla stipulazione del contratto fideiussorio, la domanda deve, consequenzialmente, essere respinta.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento.