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Nota a Trib. Terni, 30 ottobre 2024, n. 844.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

«[…] così percossa, attonita

       la terra al nunzio sta […]»

(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, vv. 5-6)

 

Il dies a quo del termine prescrizionale decennale per la risoluzione per inadempimento e conseguente risarcimento danni decorre a far data dall’acquisto dei titoli o, più correttamente, dalla data certa del declassamento o minusvalenza di valore dei titoli che, nel caso della ex Banca Popolare di Bari, va collocata alla data di approvazione del bilancio 2015 (segnatamente, 24.04.2016), ovverosia al momento in cui è avvenuto il declassamento delle azioni BPB per il 20% circa del loro valore. Il giudice ternano, in buona sostanza, sdogana la “lungolatenza” dei danni da responsabilità contrattuale anche con riferimento agli ordini di acquisto di azioni emesse da una Banca Popolare, stante l’accertata rilevanza delle violazioni informative nella loro negoziazione.

Il principio, invero, non è nuovo. La Corte Suprema di Cassazione si era già pronunciata in ambito contrattuale e, più nello specifico, in tema di responsabilità professionale, legittimando il criterio della oggettiva percepibilità e riconoscibilità del danno; segnatamente, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale del notaio è da reputarsi assoggettata all’ordinario termine di prescrizione decennale, che «non decorre dalla data della stipula del rogito, bensì dal momento in cui il danno risarcibile sia divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato»[1]. Senza soluzione di continuità, «Nel caso della stipula di una compravendita immobiliare, in cui il notaio rogante l’atto pubblico di trasferimento abbia erroneamente asseverato l’inesistenza di pesi o vincoli sul bene immobile oggetto del negozio, ai fini della individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, non assume rilievo dirimente il momento della stipulazione dell’atto, dovendosi invece aver riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno, siccome percepibile dallo stesso danneggiato alla stregua del parametro dell’ordinaria diligenza»[2].

È di tutta evidenza la mutuabilità del rassegnato criterio della oggettiva percepibilità anche alla compravendita di azioni illiquide, emesse da una Banca Popolare, laddove il cliente-investitore ha compiutamente la percezione del danno solo al momento della cristallizzazione del depauperamento del proprio portafoglio titoli e, dunque, successivamente al periodo di “lungolatenza”, intercorrente tra l’acquisto e l’avvenuto declassamento/minusvalenza.

Nella recentissima pronuncia in commento, il giudice umbro evidenzia la peculiare natura dei titoli attenzionati, trattandosi di azioni illiquide, assimilabili ad altri prodotti finanziari più complessi, disallineati (nel caso di specie) rispetto al profilo di rischio e all’operatività pregressa dell’attore. Difatti, quest’ultimo aveva effettuato sempre investimenti “a basso rischio”, con prospettiva di disinvestimento rapido, anche in precipua considerazione dell’età anagrafica e della situazione familiare.

Per di più, in punto di obblighi informativi, la dichiarazione del cliente, nella quale si affermi di aver ricevuto un’informazione completa sulle caratteristiche e sui rischi dei medesimi prodotti, non può essere considerata confessione stragiudiziale, ex art. 2375 c.c., poiché finalizzata alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo e, in ogni caso, intrinsecamente inidonea ad accertare quali concrete informazioni siano state fornite al cliente in ordine allo specifico prodotto finanziario[3]. Nel caso di specie, i prospetti informativi dei vari aumenti di capitale BPB «erano composti da moltissime pagine e contenevano informazioni strettamente tecniche e certamente non comprensibili per una persona di una certa età». In altri termini, erano evidentemente viziati da una sorta di inadeguatezza in concreto.

Da ultimo, riproponendo una censura ormai abbastanza consolidata nel panorama giurisprudenziale di merito e arbitrale, la profilatura delle azioni BPB appariva «assolutamente non congrua» (segnatamente: basso, sino al 2012; medio, sino al 31.12.2015; medio-alto, post 2015): ciò in considerazione delle significative difficoltà di smobilizzo entro un lasso temporale congruo e della contestuale esposizione del sottoscrittore-risparmiatore al rischio della perdita dell’intero capitale. Sul punto, dalla documentazione informativa, si poteva evincere esclusivamente che «gli azionisti potrebbero incontrare difficoltà in futuro, ove vogliano vendere, in tutto o anche solo in parte, le proprie azioni. Essi potrebbero, infatti, non trovare controparti disponibili all’acquisto in tempi ragionevolmente brevi o a prezzi in linea con le proprie aspettative»: una sorta di caveat ritenuto, del tutto condivisibilmente, non idoneo ad assolvere compiutamente gli oneri informativi gravanti sull’intermediario, stante la particolarità del prodotto negoziato. Difatti, non viene espresso alcun avvertimento circa la possibile illiquidità totale delle azioni, né, tantomeno, il rischio di default della emittente, circostanze che avrebbero potuto ingenerare la perdita totale del risparmio.

Si concretizza, in definitiva, una diffusa violazione dei doveri di correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi. Opacità diradatasi solo con l’oggettiva percepibilità del danno.

 

 

 

 

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[1] Cfr. Cass. n. 3176/2016.

[2] Cfr. Cass. n. 8703/2016.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 5 agosto 2019, n. 29899.

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