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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 2 settembre 2024, n. 23533.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Nella specie, il Collegio ritiene che vada condivisa la soluzione adottata dal Tribunale, tenendo conto, per un soggetto, della pregressa titolarità della società conferitaria e, per l’altro, del coinvolgimento nell’attività imprenditoriale paterna; in definitiva, è stato ravvisato che, prestando la fideiussione, hanno agito non come consumatori, ma come soggetti interessati all’attività sociale e, dunque, nella sostanza come professionisti. Mette conto di rilevare che l’interessamento all’attività sociale, data l’esistenza del rapporto familiare, bene è stato ritenuto sussistente a prescindere dalla partecipazione societaria attuale e dalla limitata partecipazione.

Occorre, in proposito, considerare che è stato registrato dalle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione[1] il principio per cui: «La Corte di giustizia UE, intervenuta sulla nozione di consumatore ai fini dell’applicazione della direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori, ha esaminato la qualifica del fideiussore. Superando l’automatismo precedentemente affermato fra qualifica del debitore principale e qualifica del garante, la Corte afferma che «nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata». Onde, alla luce di tali premesse, la Corte ha stabilito che «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società»[2].

Nella motivazione della citata pronuncia, la CGUE contempla due fattispecie di esclusione della qualità consumeristica. Ciò emerge dal seguente passo: «nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata». La prima è l’agire nell’ambito della sua attività professionale. La seconda è quella che viene indicata con l’espressione “sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale.

Nella specie, poiché la madre era stata imprenditrice e, dunque, professionista, e il conferimento della sua società in quella garantita, pur non accompagnato dall’attribuzione della qualità di amministratore o di socio, comunque sottende – per la relazione familiare – una interessenza all’attività della società, può essere senza dubbio considerata come giustificativa dell’assunzione della garanzia come professionista. Analoga considerazione va fatta per la figlia: era coinvolta nell’attività imprenditoriale paterna e dunque di fatto agiva come professionista. La relazione formale instaurata con la minima quota societaria, se accompagnata allo svolgimento di quell’attività, induce a considerarla professionista.

Applicazioni dei principi della ricordata giurisprudenza comunitaria in fattispecie simili a quella di cui è processo si rinvengono nei seguenti precedenti:

  • Civ., Sez. VI, 24.01.2020, n. 1666: «In tema di contratti stipulati dal “consumatore”, i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica, in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo – alla stregua della giurisprudenza comunitaria (CGUE, sentenza 19 novembre 2005, in causa C-74/15 Tarcau) – all’entità della partecipazione al capitale sociale, nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore. (Nella specie, è stata ravvisata la qualità di consumatore in capo al fideiussore in ragione della sua qualità di professoressa di lettere collocata a riposo e in assenza di prova circa la sua partecipazione all’attività d’impresa del garantito)»;
  • Cass. Civ., Sez. VI, 16.01.2020, n. 742: «Nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C 74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio). (Nella specie, è stata ritenuta operante l’esclusività del foro del consumatore con riferimento al contenzioso tra banca e fideiussore non professionista, ancorché l’obbligato principale avesse assunto il debito garantito per lo svolgimento di attività d’impresa)»;
  • Civ., Sez. VI, 03.12.2020, n. 27618: «Si è tradizionalmente ritenuto, anche se non in modo univoco, che la persona fisica che presta fideiussione per garantire un debito contratto da un professionista, non assume lo status di consumatore, ma per riflesso, anche egli quello di professionista, con conseguenza ovviamente di rilievo sulla disciplina di riferimento (Cass. n. 314/2001; Cass. 202017/2005; Cass. 13643/2006; Cass. 24846/2016). Tuttavia, almeno a partire da Cass. n. 32225/2018 si è cominciato a prendere atto delle due decisioni della Corte di Giustizia Europea (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras), che anche esse hanno innovato rispetto alla giurisprudenza precedente di quella corte, ed hanno affermato il principio per cui l’oggetto del contratto è irrilevante ai fini della applicazione della disciplina del consumatore, essendo invece determinante la qualità dei contraenti, poiché la direttiva 93/13 definisce l’ambito di applicazione della disciplina “consumeristica” non con riferimento all’oggetto del contratto (tantomeno di quello garantito) ma con riferimento alla condizione che i contraenti non agiscano nell’ambito della loro attività professionale”. Questo orientamento è stato di recente accolto da questa Corte, con una decisione che merita di essere seguita, proprio in ragione del riferimento al revirement fatto dalla Corte di Giustizia ed agli argomenti che quel ripensamento supportano. Decisione la quale ha dunque ritenuto che nel contratto di fideiussione i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza della Unione europea (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio) (Cass. n. 742 del 2020)»;
  • Civ., Sez. III, 13.12.2018, n. 32225: «I requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), dando rilievo -alla stregua della giurisprudenza comunitaria- all’entità della partecipazione al capitale sociale nonché all’eventuale qualità di amministratore della società garantita assunto dal fideiussore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la qualità di consumatore in capo al fideiussore detentore del 70% del patrimonio sociale della società garantita, ancorché non amministratore della stessa, ed in assenza di prove idonee ad escludere il collegamento tra la fideiussione e lo svolgimento dell’attività professionale)».

Ferme le svolte considerazioni, il primo motivo di ricorso deve essere disatteso e, consequenzialmente, deve ritenersi operante il foro esclusivo convenuto tra le parti alla lett. p) delle condizioni generali di fideiussione, specificatamente approvate ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., con conseguente competenza del Tribunale di Milano a conoscere la presente controversia.

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 27.02.2023, n. 5868.

[2] Cfr. CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15; CGUE, 14 settembre 2016, C-534/15.

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