Nota a Trib. Catanzaro, Sez. II, 5 settembre 2024, n. 1695.
Massima redazionale
È noto, in base ai consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che, qualora il correntista intenda contestare le risultanze del saldo di conto corrente e domandare l’accertamento negativo del credito – o, eventualmente, la ripetizione dell’indebito – gravi sullo stesso l’onere di provare i fatti posti alla base della sua domanda.
Da ciò discende che il medesimo correntista sarà tenuto a produrre non solo il contratto – che rappresenta il titolo del rapporto dedotto in lite – ma anche tutti gli estratti conto periodici dalla data di avvio del rapporto, per verificare sia il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente nulle, sia l’effettiva applicazione delle poste indicate come indebite, non rappresentando una circostanza ostativa il fatto che si tratti di un’ azione di accertamento negativo in quanto “l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto (…) non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo ha carattere costitutivo”[1].
È, anzitutto, necessaria la produzione del contratto, fondamentale “per accertare, tra le altre cose, il rispetto dei requisiti fissati dall’art. 117 t.u.b. (il quale prevede che i contratti bancari devono essere redatti in forma scritta e che, in caso di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo); la data della stipulazione, anche al fine di individuare la disciplina legislativa applicabile al caso concreto; le condizioni del rapporto bancario (tassi di interesse attivi e passivi, anatocismo, spese, valute, commissioni massimo scoperto); l’ammontare della somma capitale eventualmente affidata al correntista”[2].
Ebbene, nella specie, l’attrice non ha fornito a questo giudicante elementi idonei a dimostrate la fondatezza delle proprie ragioni. In primis, la generica allegazione sull’aver acceso un contratto di conto corrente, verosimilmente nel IV trimestre del 1989, senza fornire più precisi riscontri, osta all’individuazione della normativa ratione temporis applicabile ed all’accertamento in ordine alla violazione dei requisiti formali e sostanziali prescritti, cui far discendere una eventuale declaratoria di invalidità. Inoltre, non ha fornito prova della causa debendi non avendo prodotto nessuno dei contratti di conto corrente, né delle aperture di credito iniziali, senza, tuttavia, allegare l’inesistenza degli stessi, ma anzi riconoscendo espressamente l’esistenza dei rapporti intercorsi con la banca e la stipulazione dei sottostanti accordi, per come si desume chiaramente dal tenore degli scritti difensivi e dalla prospettazione ivi contenuta. Né, tantomeno, possono ritenersi rilevanti o esimenti rispetto ai precisi obblighi probatori incombenti su parte attrice, le circostanze dalla stessa addotte in merito al parziale riscontro ottenuto dall’istituto bancario rispetto alla richiesta formulata ai sensi dell’art. 119 T.U.B. ed al successivo procedimento monitorio, considerando il limite temporale dell’obbligo di conservazione gravante sugli istituti bancari.
Inoltre, il dovere di rilievo officioso del giudice in tema di nullità può sostituirsi all’onere probatorio gravante sulle parti. Sul punto, anche la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che “Il correntista che agisca per l’accertamento del saldo di c/c deve provare la natura indebita degli addebiti effettuati dalla banca, producendo in giudizio il contratto, nonché tutti gli estratti conto da cui possano ricavarsi i movimenti contabili e le relative causali. L’assenza di documentazione contrattuale o la carenza degli estratti conto rende impossibile accertare, per i periodi non documentati, l’esistenza delle clausole illegittime e la consistenza degli addebiti non dovuti, così comportando il rigetto (integrale o parziale) della relativa domanda: non ha senso, infatti, parlare di usurarietà, anatocismo, spese e commissioni non pattuite, illegittimo ius variandi se manca il titolo contrattuale da cui evincere le condizioni stipulate dalle parti.”[3].
Le evidenziate carenze in termini di allegazione e prova non possono ritenersi colmate dalla ulteriore documentazione versata in atti, né dalla consulenza tecnica di parte, in quanto, essa rappresenta una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio[4]. Peraltro, lo stesso consulente di parte, in entrambe le perizie allegate in atti e relative ai rapporti controversi, testualmente afferma: “Va preliminarmente evidenziato che tra i documenti consegnati allo scrivente, risultano assenti il contratto di apertura del conto corrente ed il contratto di apertura di credito iniziale, sono invece presenti, alcuni contratti di apertura credito, successivi a quello iniziale, che di seguito si elencano….dall’analisi di questi ultimi non sono emerse rilevanti particolarità”. Lo stesso dicasi per l’espletata consulenza tecnica d’ufficio, posto che la mancata allegazione dei già richiamati contratti originari, è confermata anche dal consulente incaricato, il quale evidenzia altresì ulteriori carenze. Pertanto, l’indagine dallo stesso svolta, appare non dirimente ai fini della decisione della presente controversia, in quanto le conclusioni in essa rassegnate, per un verso attengono all’eccezione sollevata dalla banca convenuta, ritenuta inammissibile per le ragioni già esplicitate e per l’altro sono frutto di un’indagine peritale che non può essere ritenuta sufficiente a orientare il convincimento del giudice nel senso dell’accoglimento della domanda proposta, in quanto limitata all’indagine sulla documentazione allegata, che per come già evidenziato risulta carente ed incompleta. Venendo quindi allo scrutinio della domanda risarcitoria, anch’essa si appalesa infondata, posto che le generiche circostanze addotte a fondamento della pretesa azionata, non risultano adeguatamente supportate in termini probatori, difettando riscontri tali da consentire all’odierno giudicante di collegare casualmente la condotta dell’istituto bancario, consistita nella riduzione degli affidamenti, ai pregiudizi patrimoniale lamentati da parte attrice, nonostante venga fatta valere una responsabilità contrattuale, posto che “In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, la previsione dell’art. 1218 c.c. esonera il creditore dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e l’inadempimento, fonte del danno di cui si chiede il risarcimento, atteso che il cosiddetto “assorbimento” del nesso eziologico nell’inadempimento non deve essere inteso come sua irrilevanza tanto sul piano sostanziale quanto in punto di ricadute di carattere processuale e di distribuzione dell’onere probatorio, bensì come prova “evidenziale” della sua esistenza, giustificata dal fatto che quel nesso, di norma, non è funzionalmente scindibile dall’inadempimento, in quanto quest’ultimo si sostanzia nella lesione dell’interesse del creditore che a sua volta identifica l’evento di danno”.
_______________________________________________________________________
[1] V. Cass. n. 9201/2015, per cui “l’onere della prova di produrre la documentazione necessaria alla ricostruzione del rapporto e all’accertamento dell’indebito compete ex art. 2697 cod. civ. al correntista, allorché agisce giudizialmente per l’accertamento del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito”.
[2] V. Trib. Catanzaro n. 1147/2022; Trib. Catanzaro, 29.11.2019.
[3] V. Trib. Teramo, Sez. I, 31.03.2022, n. 337.
[4] V. Cass. Civ., Sez. II, 30.11.2020, n. 27297.
Seguici sui social:
Info sull'autore