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Nota a ACF, 4 agosto 2023, n. 6714.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Nel caso di specie, quanto al rispetto degli obblighi informativi, l’Intermediario ha sostenuto di aver reso informativa per il tramite di un link presente nella piattaforma, che riportava al sito di Borsa Italiana, nella sezione dedicata agli strumenti finanziari scambiati sul segmento interessato; a tal riguardo, la resistente ha esibito un file relativo al “flusso informatico” della procedura di sottoscrizione, dal quale, pur tuttavia, non si evince chiaramente la presenza o l’eventuale consultazione del citato link nel corso dell’operatività online del cliente, non specificando che tipo di dati sarebbero stati resi disponibili, né, tantomeno, versando in atti riproduzioni delle citate informazioni con riferimento allo strumento in lite.

Pertanto, anche assumendo che il collegamento fosse effettivamente consultabile dal cliente nel corso dell’operazione, non può dirsi che l’Intermediario abbia effettivamente dimostrato in questa sede di aver compiutamente assolto i propri obblighi informativi. Del pari, non possono considerarsi esaustive le informazioni presenti nella documentazione sui rischi generali degli investimenti, che il ricorrente dichiarava di aver ricevuto in occasione della stipula/rinnovo del contratto, posto che, al di là della genericità delle nozioni in essa contenute, la loro somministrazione avveniva in epoca molto risalente rispetto all’operazione impugnata.

Il Collegio rileva ulteriormente, con riguardo alle profilature, che i documenti disponibili in atti confermano l’assenza di questionari in prossimità dell’investimento in lite. In ogni caso, sulla base dei dati contenuti nel questionario disponibile e regolarmente sottoscritto dal cliente, il medesimo (all’epoca quarantanovenne, diplomato ed impiegato nel settore pubblico con reddito annuo complessivo tra 15.000 e 30.000 euro) aveva dichiarato di avere “familiarità” con strumenti a reddito fisso (sui quali aveva operato nell’anno in corso con periodicità mensile e 10.000 euro di importo complessivo) e su azioni e derivati (in ordine ai quali risultava aver operato nell’anno precedente sempre con periodicità mensile ma importi di 5.000 euro); non risultava, per converso, avere la stessa “familiarità” con vendite allo scoperto, prestiti e investimenti in strumenti non ammessi alle negoziazioni in mercati regolamentati. Quanto agli obiettivi di investimento, il ricorrente dichiarava una propensione al rischio “Alta” ed un orizzonte temporale di investimento principalmente di lungo periodo, corrispondente a circa un anno (a scalare indicava un holding period medio, circa tre mesi, e, infine, breve, circa 1 mese). Inoltre, anche nel questionario successivo all’acquisto attenzionato, era confermato l’utilizzo di strumenti quali certificati di deposito, pronti contro termine, obbligazioni di varie tipologie (tra cui anche corporate strutturate e subordinate), azioni e warrant, derivati e certificates, contratti futures e forward, fondi, Sicav, ETF ed ETC con un numero di operazioni annue tra 2 e 10 e per controvalore complessivo negli ultimi 12 mesi superiore ai 100.000 euro.

In relazione alla valutazione dell’investimento, si rileva che dalla documentazione disponibile trova conferma quanto dichiarato dall’intermediario in merito alla previsione contrattuale dell’assenza della valutazione di appropriatezza in occasione di operazioni disposte dal cliente su strumenti non complessi (segnatamente, l’art. E9 al comma 4 del contratto recitava: «Nella prestazione dei servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti e/o di ricezione e trasmissione di ordini aventi ad oggetto strumenti finanziari non complessi (azioni, obbligazioni non strutturate) effettuata dalla Banca su iniziativa esclusiva del Cliente, la Banca medesima non valuta l’appropriatezza dell’operazione richiesta. Il Cliente dà atto che la Banca lo ha informato prima di prestare il servizio che, nella situazione disciplinata in questo comma, egli non beneficia della protezione offerta dalle disposizioni in materia di appropriatezza di cui al precedente comma 3»). Al riguardo, al Collegio preme notare che una simile clausola contrattuale non pare rispondere ai canoni di chiarezza informativa richiesti dalla disciplina dell’art. 43 del Regolamento 16190/2007 in materia di mera esecuzione di ordini, in special modo se l’avvertenza non viene reiterata al momento dell’operazione, come non sembra essere accaduto nel caso di specie.

A fronte di ciò, non può, tuttavia, non considerarsi che, malgrado l’Intermediario non abbia dato prova di aver effettivamente assicurato al cliente un set informativo idoneo, l’esame dei dossier titoli del ricorrente, sulla base delle rendicontazioni periodiche prodotte dalla Banca, non conferma la ricostruzione di soggetto inesperto addotta dal medesimo nel ricorso, tanto da portare a ritenere che le Obbligazioni fossero, in concreto, strumenti critici per il cliente in termini di appropriatezza. Difatti, dalle menzionate rendicontazioni disponibili si evince che il ricorrente era solito investire, oltre che in BTP, in obbligazioni corporate e governative, con tassi anche superiori a quello delle obbligazioni contestate. Le operazioni rendicontate, unitariamente considerate, denotano una spiccata propensione anche per investimenti rischiosi, con finalità fortemente speculative.

In altri termini, «vulpes pilum mutat, non mores».

Ciò posto, gli elementi appena rilevati portano fondatamente a ritenere che il cliente si sarebbe comunque determinato all’acquisto qui contestato in forza dell’abitudine ad investire in strumenti similari, circostanza che può condurre a ritenere poco plausibile che l’operazione in esame sia avvenuta nell’inconsapevolezza delle caratteristiche e del livello di rischiosità effettivo delle Obbligazioni, come invece dal medesimo rappresentato nel ricorso, il che finisce con lo scindere il nesso causale tra inadempimento e danno lamentato.

Invero, la giurisprudenza arbitrale ha già ritenuto di non ravvisare un tale nesso, ove gli elementi in atti davano (come nel caso di specie) conto di un’operatività piuttosto frequente, in epoca precedente e in alcuni casi anche successiva alle operazioni contestate, nei medesimi prodotti oggetto del ricorso o in strumenti finanziari con caratteristiche analoghe.

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