Nota a ACF, 7 aprile 2023, n. 6479.
Massima redazionale
Il Collegio osserva, nella specie, che il questionario di profilatura risulta essere stato sottoscritto congiuntamente dal ricorrente e da soggetto terzo (in qualità di cointestatario del contratto-quadro), con la conseguente inidoneità dello stesso a raccogliere le specifiche caratteristiche di ogni singolo investitore. Invero, la giurisprudenza arbitrale ha già avuto modo di rilevare, in presenza di fattispecie analoghe, come l’attività di somministrazione del questionario deve svolgersi, tra l’altro, nel rispetto delle “Guidelines on certain aspects of the MiFID suitability requirements”, pubblicate dall’ESMA il 6 luglio 2012; in particolare, secondo tali Orientamenti, viene consentito agli intermediari di “concordare con le persone interessate chi dovrebbe essere oggetto di profilatura”, il che va inteso nel senso che un tale accordo non possa che essere il risultato di una specifica negoziazione condotta tra le parti. Ciò «…comporta che esso non può dirsi sic et simpliciter raggiunto tramite il modulo contenente le condizioni generali di contratto sottoposto ai clienti e da questi accettato con la sottoscrizione, senza che sia data loro la possibilità di cogliere le implicazioni scaturenti ed eventualmente condurre una reale negoziazione sul punto. Inoltre, ogni negoziazione tra le parti non può, ad avviso di questo Collegio, prescindere dal fatto che l’intermediario abbia predisposto a monte delle procedure che garantiscano che la scelta di uno solo dei soggetti cointestatari come soggetto di riferimento della profilatura sia compiuta su basi oggettive e razionalmente giustificabili. Pertanto, in mancanza di un accordo e di procedure che presentino i suindicati connotati, l’intermediario non può che essere chiamato a profilare tutti i cointestatari ed a svolgere la relativa valutazione di adeguatezza/appropriatezza, tenendo conto comunque del profilo “più conservativo”»[1].
Quanto alla contestata violazione della Comunicazione Consob 9019104/2009, deve rilevarsi come l’Intermediario, non considerando illiquidi i propri titoli, abbia implicitamente riconosciuto di non aver rispettato i più stringenti obblighi ivi presenti. Più in generale, il resistente non ha fornito elementi atti a dimostrare di aver assolto i propri obblighi informativi, se non in modo meramente formalistico. In casi analoghi, l’ACF ha ritenuto che la formale sottoscrizione di dichiarazioni attestanti la presa visione di documentazione informativa sia insufficiente a far ritenere adeguatamente assolti gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario prestatore di servizi d’investimento. Peraltro, è d’obbligo sottolineare che parte resistente ha richiamato precedenti decisioni di questo Collegio per sostenere che la pregressa operatività del ricorrente avrebbe reso ininfluente un corretto adempimento degli obblighi informativi ai fini della conclusione delle operazioni d’investimento oggetto di contestazione. In merito, è sufficiente richiamare che: «Né coglie nel segno l’eccezione del resistente laddove ritiene non configurabile nel caso di specie il nesso di causalità, stante l’intensa operatività nel tempo del ricorrente sui titoli di che trattasi, all’uopo richiamando anche talune decisioni di questo tenore assunte dal Collegio. A questo proposito, va, infatti, osservato che il caso oggi in esame si discosta significativamente dai precedenti evocati, per il fatto che quel che è l’elemento centrale delle doglianze di parte attorea in questo caso è il non aver potuto contare su un set informativo veritiero e corretto, che desse conto della situazione dei titoli di che trattasi, anzitutto per quanto attiene al loro grado di liquidabilità effettiva nel tempo, il che ha generato un affidamento da parte del cliente in ordine alla possibilità di porre in essere eventuali dismissioni, parziali o totali, che si è rivelato ex post irrealistico e che ha prodotto, anzi, l’immobilizzazione di parte cospicua degli investimenti del cliente. E questo è profilo tutt’altro che secondario ove si consideri anche l’ulteriore effetto di concentrazione del portafoglio del cliente in titoli dello stesso intermediario/emittente, per un controvalore per l’appunto estremamente significativo»[2].
Le operazioni di investimento in esame devono, altresì, considerarsi complessivamente inadeguate anche in ragione dell’eccesso di concentrazione di azioni del resistente nel dossier titoli del ricorrente, come confermato dall’analisi dello stesso.
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[1] V. ex multis ACF, 27.02.2020, n. 2285.
[2] V. ACF, 29.04.2021, n. 3690.
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