Nota a ACF, 3 marzo 2023, n. 6367.
La controversia in esame concerne le inadempienze dell’Intermediario finanziario nella prestazione dei servizi di investimento, sotto il profilo della non corretta informazione circa le caratteristiche degli strumenti finanziari raccomandati e dell’omessa rilevazione del carattere non adeguato degli investimenti, in violazione degli artt. 21 TUF e 27 e ss. e 39 e ss. del Regolamento Intermediari n. 16190/2007, nell’ambito di un’operazione cd. di self-placement[1] ove l’Istituto di credito raccomandava ai ricorrenti la sottoscrizione di azioni emesse dalla stessa.
Occorre in via preliminare ricordare come, a mente dell’art. 21 TUF, l’Intermediario debba improntare la propria attività a regole di condotta il cui fine consiste nel permettere ai propri clienti di effettuare scelte di investimento informate, consapevoli e rispondenti alle loro esigenze. Ne deriva che, nella dinamica negoziale delle operazioni di investimento, gravano sugli Intermediari i seguenti obblighi: di diligenza, ossia di garantire una veritiera, completa e costante informazione; di correttezza, vale a dire di comportarsi senza secondi fini oltre quello dell’interesse del cliente; di trasparenza, di rendere cioè l’investitore edotto di tutte le informazioni salienti relative al servizio prestato e agli strumenti finanziari offerti.
Ai sensi del Regolamento n. 16190/2007, spetta infatti all’Intermediario valutare che l’investimento proposto sia, a prescindere dal servizio di investimento prestato, appropriato al suo profilo, cioè che il cliente sia in grado, in base alla propria conoscenza ed esperienza, di comprenderne i rischi; nel caso dei servizi di consulenza in materia di investimenti e di gestione di portafogli[2], che lo stesso sia adeguato, vale a dire che il prodotto finanziario prescelto corrisponda agli obiettivi finanziari del cliente e non ponga a suo carico rischi che non sia in grado di sopportare. L’art. 39, comma 1 del Regolamento Intermediari, impone all’Intermediario che presta il servizio di consulenza di acquisire le informazioni[3] che l’investitore è chiamato a fornirgli tramite la compilazione del questionario MIFID, in merito alle sue: conoscenza ed esperienza nello specifico tipo di strumento finanziario oggetto della raccomandazione d’investimento; situazione finanziaria; obiettivi di investimento parametrati ad un preciso orizzonte temporale; propensione al rischio; finalità per cui investe. L’operazione può pertanto considerarsi adeguata soltanto se, in base alle informazioni fornite, il cliente si dimostri capace di comprendere e di tollerare i rischi relativi al tipo di prodotto raccomandato; orbene, se l’operazione risulta troppo rischiosa in relazione ai mezzi dell’investitore, essa deve considerarsi inadeguata ed incombe sull’Intermediario il dovere di astenersi dalla prestazione del servizio di investimento che altrimenti verrebbe erogato in assenza della dovuta base informativa e, dunque, con caratteri di casualità.
Il caso in analisi investe, tra l’altro, la tematica della non adeguatezza delle operazioni c.d. per dimensioni che è strettamene collegata alla regola della diversificazione del portafoglio di investimento, in ragione del fatto che la cura degli interessi del cliente non si limita ad una singola operazione di investimento, richiedendo la gestione dell’intero portafoglio un giudizio complessivo di congruità di tutti gli strumenti finanziari in esso contenuti. Secondo il consolidato orientamento dell’Arbitro, l’Intermediario è tenuto a valutare non soltanto l’adeguatezza delle singole operazioni, ma anche degli investimenti complessivamente effettuati dal cliente, al fine di evitare l’eccesso di concentrazione del dossier titoli in strumenti di un unico emittente nel portafoglio del cliente[4].
L’importanza di un’adeguata informativa alla clientela che, a cura dell’Intermediario, deve essere messa nelle condizioni di valutare durante il processo che conduce alla decisione di investimento, viene ancora più in rilievo nelle operazioni c.d. di self-placement che inevitabilmente prevedono l’applicazione di norme di comportamento più rigorose[5] le quali impongono all’Intermediario massima attenzione nella valutazione della situazione personale dell’investitore. Nei casi in cui gli strumenti vengono offerti dall’intermediario nel suo doppio ruolo di fornitore del servizio di investimento e di emittente, infatti, le asimmetrie informative che connotano il rapporto tra il cliente e l’Istituto di credito rendono ardua per l’investitore la comprensione delle caratteristiche e dei rischi delle operazioni, con la conseguente compressione del summenzionato principio del perseguimento del miglior interesse del cliente.
Per quanto concerne la doglianza della supposta omissione di un’adeguata informativa da parte della Banca ai ricorrenti – la quale avrebbe permesso loro di valutare in modo obiettivo la natura dello strumento finanziario e i rischi connessi all’operazione in modo da assumere una consapevole decisione di investimento -, il Collegio ha riscontrato la violazione della normativa di settore sovra illustrata, in quanto ha ritenuto non sufficiente ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di informativa incombente sull’Intermediario la dichiarazione del ricorrente di aver preso visione del Prospetto informativo relativo all’aumento di capitale sottoscritto. Sulla scorta dell’orientamento sul punto assunto dalla giurisprudenza di merito e arbitrale[6], è possibile affermare come tale attestazione, resa dal cliente su un modulo predisposto dalla Banca e dallo stesso sottoscritto, non abbia valore di confessione stragiudiziale e pertanto non liberi l’intermediario dall’onere di provare di aver adeguatamente informato il cliente circa i rischi del prodotto finanziario, dovendo l’Intermediario per contro curare l’adeguatezza obiettiva e soggettiva dei prodotti e servizi somministrati al cliente e la comprensione effettiva da parte del medesimo delle relative caratteristiche.
Diverse pronunce dell’ACF[7] hanno precisato come il prospetto consista in un documento predisposto dal soggetto che in qualità di emittente intende offrire al pubblico indistinto i propri strumenti finanziari, al fine di consentire scelte di investimento consapevoli da parte di una generalità di interessati; questo tuttavia non implica che egli sia anche tenuto a servire al meglio l’interesse degli oblati. Per contro, gli obblighi informativi dell’Intermediario verso i propri clienti si inseriscono in un quadro normativo differente, la cui pietra angolare risiede proprio nella capacità di servire al meglio l’interesse del cliente, adattando il servizio d’investimento erogato in ragione delle specifiche caratteristiche del contraente (esperienza, conoscenza, obiettivi di investimento, situazione patrimoniale). Le dichiarazioni riportate sul modulo di adesione ad un’offerta al pubblico di “accettare integralmente il contenuto del Prospetto” e “di aver preso visione dei fattori di rischio”, pertanto, possono al più costituire indici presuntivi del corretto operato dell’Istituto di Creduto.
Quanto al profilo della non corretta valutazione di adeguatezza con riferimento all’operazione di adesione all’aumento di capitale, secondo il Collegio, il giudizio positivo fornito dalla Banca – tenuto conto che l’investimento in questione aveva ad oggetto un titolo che lo stesso Istituto di Credito nella scheda prodotto contrassegnava con un profilo di rischio “alto” – è da considerarsi non coerente con gli obiettivi di investimento effettivi dagli investitori, ben diversi da quelli dichiarati nel questionario MIFID. Come[8] ha d’altronde più volte affermato l’Arbitro, deve rilevarsi che, in presenza di clienti di età avanzata[9], l’attività di raccolta delle informazioni deve essere svolta con particolare prudenza, se del caso anche adottando presidi particolari; nella fattispecie considerata è evidente come la modalità di profilatura dei ricorrenti impiegata dall’intermediario non possa dirsi idonea a tracciare l’effettivo profilo finanziario dei sottoscrittori del questionario i quali, proprio in virtù della propria situazione personale, avrebbero dovuto ricevere raccomandazioni in merito ad investimenti alternativi con orizzonte temporale notevolmente inferiore rispetto a quello dello strumento prescelto.
Il Collegio ha infatti constatato come l’interesse della Banca a far acquistare o vendere le proprie azioni ai ricorrenti abbia nel caso di specie prevalso sulla corretta esecuzione del contratto-quadro e sul rispetto della normativa di settore, dovendosi riscontrare la mancanza di una preventiva comunicazione sulla situazione di potenziale conflitto d’interesse[10] nella quale il resistente è venuto a trovarsi in ordine alla tipologia d’investimenti di cui nella decisione in esame. In tal senso, è stato evidenziato da più decisioni arbitrali come la mancata diversificazione del portafoglio titoli costituisca indice sintomatico di una strategia d’investimento “suggerita” dall’Intermediario per favorire il collocamento di strumenti da esso stesso emessi, in evidente contrasto con l’interesse del cliente[11].
Ne è prova, a detta dell’Arbitro, la forte discordanza tra le caratteristiche dai restanti titoli presenti nel portafoglio dei ricorrenti, di natura conservativa e non finanziaria (trattandosi nel particolare di una polizza vita e di un time deposit) e quelle degli strumenti finanziari oggetto della controversia, quali sono le azioni emesse della Banca; queste, come è noto, hanno come scopo primario quello di ottenere un incremento del capitale senza effetto di diversificazione, nonché di avere come obiettivo di investimento privilegiato la preferenza di una immediata disponibilità del capitale[12]. Il Collegio ha poi sottolineato come la mancata rilevazione dell’incoerenza tra la propensione al rischio dei ricorrenti -con riguardo allo specifico tipo di strumento finanziario oggetto di consulenza- dichiarata nel questionario MIFID e le loro reali caratteristiche personali abbia portato la Banca a non desistere dal raccomandare ai ricorrenti la sottoscrizione di un prodotto palesemente inadeguato, in spregio dell’art. 21 TUF, inducendo i clienti, in modo del tutto irragionevole, a compiere operazioni non in linea con il proprio profilo di rischio prudente e ad innalzare i rischi di perdita associati ad un portafoglio poco diversificato.
Relativamente alla domanda di restituzione del valore investito, il Collegio rimanda all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte[13] (fatto proprio dall’ACF) in base al quale dalla violazione delle regole sugli obblighi di condotta gravanti sull’Intermediario non discende nullità del contratto[14], bensì la responsabilità risarcitoria a carico dell’Intermediario medesimo[15]: la violazione del dovere di raccolta d’informazioni, infatti, implica che la consulenza venga resa senza la dovuta base informativa, comportando per l’Intermediario l’obbligo di risarcire il danno che ne fosse derivato. Orbene, quanto ai criteri da adottare per la liquidazione del danno, il Collegio, facendo applicazione del principio individuato dalla decisione n. 1857 del 25 settembre 2019, ha statuito che il danno va determinato in misura pari alla differenza tra il controvalore investito nei titoli, detratti i dividendi netti percepiti negli anni e il valore corrente delle azioni ancora presenti in portafoglio, come risultante dalle quotazioni disponibili sul mercato.
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[1] L’entrata in vigore dell’art. 25-bis del TUF il 12 gennaio 2006 ha permesso l’applicazione, agli investimenti effettuati da tale data in poi, della disciplina del TUF in tema di prestazione dei servizi di investimento e dei conseguenti obblighi per l’intermediario.
[2] Questa disparità di trattamento trova giustificazione nel fatto che la consulenza e la gestione di portafogli sono servizi di investimento nei quali emerge maggiormente la discrezionalità dell’intermediario finanziario, da cui deriva l’esigenza di una particolare tutela preventiva del cliente che trova espressione nel principio di adeguatezza.
[3] Sulla base delle informazioni raccolte dal cliente, infatti, l’Intermediario deve garantire che l’investimento soddisfi determinati criteri stabiliti dall’art. 40, Reg. n. 16190/2007.
[4] V. ACF, 27 maggio 2022, n. 5462.
[5] V. ESMA, «Placement of financial instruments with depositors, retail investors and policy holders (“Self placement”», cfr. pag. 7 ss.
[6] V. Cass. 22147/2010, 6142/2012, 20178/2014; Corte di Appello di Torino, 2 marzo-2 aprile 2015, n. 12351; ACF, 7 luglio 2017, n. 11; ACF, 14 dicembre 2017, n. 147; 16 novembre 2017, n. 111; 3 agosto 2017, n. 34.
[7] V. ACF, 1 ottobre 2019, n. 1884; ACF, 29 settembre 2021, n. 4275; ACF, 12 gennaio 2022, n. 4935: queste decisioni hanno affermato che: “l’Intermediario è tenuto a dimostrare “in concreto” di aver fornito tutte le informazioni dovute, provando di aver assolto gli obblighi d’informazione preventiva in modo non meramente formalistico”.
[8] ACF, 21 dicembre 2020, n. 3275; ACF, 10 marzo 2022, n. 6397.
[9] In punto di corretta profilatura degli orizzonti temporali, da rapportarsi (anche) all’età dell’investitore, questo Collegio già ha avuto occasione di pronunciarsi in numerosi casi; tra questi, meritevoli di segnalazione sono almeno le decisioni ACF: 5 giugno 2017, n.2; 18 luglio 2017, n. 21; 31 luglio 2017, n. 24; 16 novembre 2017; 12 gennaio 2018, n. 184; 18
aprile 2018, n. 389.
[10] L’art. 17 TUF, lettera c) del comma 1, impone ai soggetti de quibus di “organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”.
[11] V. ACF, 9 febbraio 2018, n. 262.
[12] V. ACF, 9 marzo 2020, n. 2322.
[13] Cass., S.U., n.n. 26724 e 26725 del 2007.
[14] evento cui consegue l’obbligo di restituzione del valore investito da parte dell’Intermediario e, corrispettivamente, dei titoli da parte del cliente.
[15] ACF, 18 aprile 2018, n. 389; ACF, 10 luglio 2019, n. 1723; ACF, 12 maggio 2021, n. 3739.
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