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Nota a Cass. Civ., Sez. II, 27 gennaio 2023, n. 2558.

Massima redazionale

Nella specie, la sentenza della Corte territoriale è incorsa in una manifesta violazione degli artt. 33 e 34 cod. cons., che prevedono la vessatorietà delle clausole del contratto concluso tra il consumatore e il professionista che «malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto». Peraltro, il carattere vessatorio si presume fino a prova contraria quando, come nel caso di specie, siano previste a carico del consumatore «decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi».

La giurisprudenza di legittimità, in relazione al carattere vessatorio delle clausole dei contratti intercorsi tra professionista e consumatore, ha, peraltro, già avuto occasione di statuire che «nel contratto predisposto unilateralmente dal professionista l’efficacia della deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, in favore di quella degli arbitri ex art. 33, comma 2, lett. t), del d.lgs. n. 206/2005, al pari della deroga della competenza del foro del consumatore, è subordinata non solo alla specifica approvazione per iscritto prevista dall’art. 1341 c.c., ma anche – a norma dell’art. 34, comma 4, d.lgs. n. 206 del 2005 – allo svolgimento di una trattativa individuale con il consumatore sulla clausola stessa, la cui prova è posta a carico del medesimo professionista dal comma 5 del citato art. 34»[1]. In particolare, si è detto che «la prova di tale circostanza “costituisce onere preliminare a carico del professionista che intenda avvalersi della clausola”, ponendosi l’esistenza della trattativa come un antecedente logico rispetto alla dimostrazione della natura non vessatoria di siffatta clausola»[2].

Ciò premesso, la Corte perugina, nel confermare la sentenza di primo grado che, a sua volta, ha confermato il decreto ingiuntivo opposto e affermato la competenza arbitrale in ordine alle domande proposte dai ricorrenti (allora opponenti), ha fatto erronea applicazione dei suddetti principi, in violazione degli artt. 33 e 34 del D.lgs. n. 206/2005. In particolare, ha omesso del tutto di esaminare la potenziale natura vessatoria, ex art. 33 e 34 del codice del consumo, delle clausole di cui agli artt. 12 e 15 del contratto e non ha verificato se le suddette clausole fossero state oggetto di una specifica trattativa tra le parti nonostante la rilevabilità di ufficio di tali aspetti, peraltro, oggetto anche di motivo di appello da parte dei ricorrenti e nonostante lo specifico onere probatorio ex art. 2697 c.c. posto a carico della società circa la sussistenza della specifica trattativa tra le parti.

 

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[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. VI, n. 8268/2020.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. VI, n. 3744/2017.

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