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Nota a Corte Cost., 22 dicembre 2022, n. 263.

Massima redazionale

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’ art. 117, primo comma, Cost., l’art. 11-octies, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106, limitatamente alle parole «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia», rinvio attraverso il quale è preclusa l’applicazione retroattiva della giurisprudenza comunitaria che riconosce al consumatore, in caso di rimborso anticipato dei contratti bancari, il diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi in quello totale del credito, escluse le imposte.

La vicenda normativa che sta all’origine della sentenza è emblematica del difficile rapporto tra legislatore italiano e giustizia comunitaria.

Vanno prese le mosse dall’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, che aveva dato attuazione all’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 23 aprile 2008 n. 2008/48/CE (che disciplina i contratti di credito ai consumatori) ed era stato interpretato nel senso che il consumatore potesse ripetere i soli costi dipendenti dalla durata del contratto (i cosiddetti costi recurring) non maturati al momento del rimborso del capitale e che tale ricostruzione era stata condivisa dalla normativa secondaria della Banca d’Italia. Ma la Corte di giustizia, con la sentenza Lexitor, aveva poi interpretato il citato art. 16 in senso «più favorevole al consumatore», considerando la durata residua del contratto, ai fini del calcolo della misura della riduzione, che deve riguardare «il costo totale del credito» e non solo i costi recurring.

Ma il legislatore, pur dando seguito alla sentenza della Corte di giustizia con un emendamento contenuto nella legge di conversione del decreto legge Sostegni-bis», che ha recepito il principio espresso dalla sentenza citata, ma ne ha limitato l’efficacia nel tempo ai soli contratti successivi all’entrata in vigore della legge (25 luglio 2021),  mantenendo al contempo fermo lo status quo ante – e quindi la ripetibilità dei soli costi recurring non maturati – per i contratti anteriori al 25 luglio 2021. Tale risultato era ottenuto mediante il richiamo alle norme secondarie della Banca d’Italia che avallano l’interpretazione in base alla quale i costi soggetti a riduzione sarebbero i costi recurring e valorizzano, correlativamente, i doveri di trasparenza.

Nel giudizio a quo il ricorrente aveva contratto un prestito personale contro cessione del quinto dello stipendio, e poi aveva rimborsato anticipatamente e integralmente il debito residuo, ma, nel conteggio delle restituzioni spettanti all’esito dell’estinzione anticipata, l’intermediario non aveva calcolato la riduzione, in via proporzionale, degli oneri sostenuti al momento della conclusione del contratto di mutuo. Pertanto, il consumatore aveva proposto reclamo, contestando che il calcolo della riduzione non rispettasse la sentenza Lexitor. A seguito del riscontro negativo al reclamo, il consumatore aveva presentato ricorso al Collegio di Milano dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) che, con decisione del 5 giugno 2020, lo aveva accolto, attenendosi ai criteri dettati dalla sentenza Lexitor. A seguito del rifiuto, da parte dell’intermediario, di dare volontaria esecuzione alla decisione dell’ABF, il consumatore ha proposto ricorso ex art. 702-bis c.p.c. al remittente Tribunale di Torino, chiedendo la liquidazione delle maggiori somme dovute in forza della citata sentenza della Corte di giustizia.

La sentenza ricorda come l’interpretazione dell’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, accolta dalla giurisprudenza di merito e dall’ABF, ha visto riferire il diritto alla riduzione dei costi, conseguente al rimborso anticipato, alle sole voci soggette a maturazione nel tempo (costi cosiddetti recurring), con esclusione di quelle relative alle attività finalizzate alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (costi cosiddetti up-front). Con la citata sentenza la Corte di giustizia ha fornito dell’16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE una più ampia interpretazione, orientata a una elevata tutela del consumatore – che previene il rischio di abusi, a beneficio anche della concorrenza –, in presenza di contrappesi ritenuti adeguati a favore dei creditori.

Il punto focale della sentenza è il fattore diacronico. Infatti “ le sentenze adottate in via pregiudiziale compongono il quadro dei parametri sovranazionali che, attraverso il filtro degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., consentono a questa Corte di esercitare il vaglio di costituzionalità, è la stessa Corte di giustizia, nel suo ruolo di interprete qualificato del diritto dell’Unione europea, a chiarire che la «sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata»…. secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la modulazione degli effetti temporali di una sentenza che decide su un rinvio pregiudiziale può essere disposta esclusivamente dalla medesima Corte e solo nell’ambito della stessa pronuncia.” Ne consegue che “poiché…..la Corte di giustizia ritiene di non poter limitare a posteriori l’efficacia temporale di una propria pregressa interpretazione, a fortiori, sempre secondo la citata Corte, non è consentita una modulazione temporale dei suoi effetti da parte dei singoli Stati membri, tanto più in presenza di una direttiva che dà luogo, salvo espresse deroghe, a una armonizzazione piena.”

Ma il legislatore, con la norma impugnata, ha operato appunto tale modulazione temporale, limitando l’applicazione della nuova disposizione ai contratti conclusi dopo l’entrata in vigore della legge n. 106 del 2021, mentre per quelli conclusi precedentemente ha stabilito che «continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti». E quindi, osserva la Corte costituzionale “risulta univoco l’intento del legislatore di fissare per il passato un contenuto della norma circoscritto alla interpretazione antecedente alla sentenza Lexitor e che si discosta dai contenuti della citata pronuncia.” Ne consegue che la cristallizzazione del contenuto normativo dell’originaria formulazione dell’art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, in senso difforme rispetto al contenuto della sentenza Lexitor, preclude un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea,  integrando un inadempimento agli obblighi «derivanti dall’ordinamento comunitario» (art. 117, primo comma, Cost.).

Poiché è proprio mediante il completamento prescrittivo della norma primaria,  e cioè il rinvio alle  norme secondarie della Banca d’Italia, contenuto nella norma impugnata,  che si realizza la violazione del citato parametro costituzionale, è sufficiente espungere questo per rimuovere l’impedimento alla retroattività della norme stessa .

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