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Nota a ACF, 14 settembre 2022, n. 5833.

di Alessio Buontempo

Laureando Giurisprudenza – Indirizzo d’impresa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Nella controversia in esame il Ricorrente, cliente della banca dei cui servizi di investimento al tempo del fatto si avvaleva, afferma la violazione degli obblighi di informazione gravanti sull’Intermediario, nonché le regole sulla adeguatezza e appropriatezza dell’investimento nell’ambito dell’investimento in n. 300 azioni emesse e collocate dalla suddetta Banca.

In particolare il Ricorrente contesta in riferimento al momento genetico dell’investimento che l’attribuzione di una propensione al rischio medio-bassa a seguito della compilazione del questionario Mifid non sia compatibile con l’acquisto di titoli azionari ad alto rischio, anche in considerazione che la concentrazione del patrimonio investito sulle azioni della vecchia Banca (in quanto la stessa è stata, a seguito della attivazione del meccanismo di risoluzione della crisi di enti creditizi, incorporata dalla attuale Banca resistente) è stata sempre superiore al 40%. Si paventa la mancanza osservanza degli obblighi informativi in quanto secondo il Ricorrente la Banca, secondo un contratto di consulenza risalente al 2009 avrebbe dovuto valutare periodicamente l’adeguatezza del portafogli e l’opportunità di diversificare il rischio. In secondo luogo si contesta la mancata consegna di tutti gli ordini relativi alle operazioni effettuate nonostante la richiesta ai sensi degli artt. 117 e 119 TUB, affermando che una tale grave carenza abbia impedito la verifica delle modalità con cui siano stati impartiti gli ordini e se effettivamente impartivi e di conseguenza se la banca abbia adempiuto agli obblighi informativi. In terzo luogo il Ricorrente richiamando un orientamento dello stesso Arbitro e della giurisprudenza di merito afferma la necessità che l’Intermediario provi di aver informato adeguatamente il cliente sull’operazione posta in essere e che l’obbligo raccogliere informazioni sul cliente e di informarlo sulla adeguatezza dell’investimento grava sull’Intermediario anche in corso di rapporto.

L’intermediario resistente ha presentato una serie di eccezioni, tra cui quella di inammissibilità ex art. 12 del Regolamento ACF, in quanto il ricorso non rientra interamente nell’ambito di operatività dell’Arbitro, come definito all’art.4 del summenzionato Regolamento; e in via pregiudiziale sostiene il difetto assoluto di legittimazione passiva sul presupposto che esso non sarebbe succeduto nel debito risarcitorio vantato dal ricorrente.

Nel merito invece, preliminarmente, il Resistente precisa che le azioni della vecchia Banca sono state scaricate e cancellate dal deposito titoli del Ricorrente nel 2017 e che la richiamata attestazione di possesso è stata predisposta ai fini della presentazione di richiesta di indennizzo al FIR. Inoltre, il Resistente fa presente che n. 217 azioni delle 300 azioni della vecchia Banca risultavano presenti nel rendiconto titoli del Ricorrente già alla data del 31 dicembre 2009. L’Intermediario formula così la sua richiesta finale: in via preliminare, in quanto: (i) inammissibile ai sensi dell’art. 12 del Regolamento di attuazione; (ii) totalmente irricevibile ai sensi della Legge n. 145/2018 istitutiva del Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR), che ha posto a carico dello Stato gli oneri connessi alle negoziazioni degli strumenti finanziari emessi dalle banche in LCA. Nel merito: in via principale, in quanto inammissibile per assoluta carenza di legittimazione passiva, al riguardo, l’Intermediario sottolinea come sia fondamentale garantire il rispetto di quanto stabilito dalla Magistratura in via definitiva, allo stato in sede penale, ma comunque in ambito di responsabilità civile, sul tema della carenza di legittimazione passiva dell’Ente ponte.

L’Arbitro ha ritenuto del tutto insussistente l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Ricorrente[1]; allo stesso modo ritenuta infondata è la eccezione di irricevibilità del ricorso motivata dall’Intermediario in ragione della intervenuta istituzione del Fondo Indennizzo Risparmiatori, in quanto la legge di riferimento non precluse la possibilità di accedere agli indennizzi ivi previsti nella ipotesi in cui sia previamente presentato ricorso all’ACF[2].

Con riguardo al difetto di legittimazione passiva l’Arbitro richiama quanto affermato in precedenti pronunce che hanno affermato la legittimazione passiva in capo agli Intermediari, in qualità di incorporanti della nuova Banca, a stare in giudizio nei procedimenti ACF aventi ad oggetto la violazione di regole di condotta nella vendita di azioni della vecchia Banca.

Risulta, ad ogni modo, fondata l’eccezione di intervenuta prescrizione decennale di ogni pretesa risarcitoria e restitutoria da parte del Ricorrente per gli acquisti effettuati in data antecedente al 5 agosto 2010, ovverosia dieci prima dell’invio del reclamo datato 5 agosto 2020, primo atto interruttivo; Risulta parimenti infondata la domanda di risoluzione della sottoscrizione di 42 azioni nel 2011 per grave inadempimento, peraltro formulata solo nella richiesta finale, in quanti gli inadempimenti posti in essere dall’Intermediario in fase di sottoscrizione di strumenti finanziari, collocandosi in un momento antecedente alle singole operazioni di acquisto, non possono operare come causa di risoluzione delle stesse ai sensi dell’art. 1453 c.c.; risulta, invece, fondata la contestazione relativa alle carenze informative in sede di esecuzione dell’operatività di che trattasi non avendo parte resistente dimostrato di aver fornito informazioni specifiche sull’investimento in titoli della vecchia Banca, avendo fatto riferimento alle informazioni generali e standardizzate contenute nel contratto quadro sottoscritto nel 2007, al riguardo, va richiamato il consolidato orientamento del Collegio per cui l’intermediario è tenuto a dimostrare di aver assolto agli obblighi informativi “in concreto” e non solo in modo meramente formalistico.

Deve poi ritenersi fondata la domanda di risarcimento del danno “sotto lassorbente profilo della mancata informativa sulle caratteristiche e sulla rischiosità delle azioni acquistate”, nonché della mancata prova della valutazione di appropriatezza e del suo esito positivo da parte dell’Intermediario onerato. Infondata è invece la doglianza di violazione degli obblighi informativi in corso di rapporto, non risultando contrattualizzato un obbligo informativo successivo all’investimento.

In conclusione si ritiene che l’inadempimento dell’Intermediario agli specifici obblighi informativi e di valutazione di appropriatezza su di esso gravanti nella prestazione dei servizi di investimento abbia impedito a Parte Ricorrente di porre in essere scelte di investimento consapevoli, inducendola a sottoscrivere i prodotti in questione sulla base di informazioni e valutazioni di appropriatezza caratterizzate dalle predette carenze, il che fonda il suo diritto a vedersi risarcire il danno subìto. Applicando il criterio utilizzato in casi analoghi[3], il Ricorrente ha diritto al risarcimento del 70% del capitale investito, avendo lo stesso ha già ottenuto un ristoro parziale a valere sull’apposito fondo pubblico FIR, pari al 30% del capitale complessivamente investito e perduto dall’investitore.

[1] Sul punto si richiama quanto già affermato dallo stesso Arbitro in precedenti decisioni, ex multis ACF, 22.02.2020, n. 2287.

[2] Ex multis, ACF, 06.10.2021, n. 4299.

[3] Cfr. ACF, 05.11.2021, n. 4515.

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