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Nota a Cass. Civ., Sez. VI, 29 novembre 2019, n. 31300.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

La responsabilità ascrivibile in capo alla negoziatrice per il pagamento a un soggetto non legittimato di un assegno non trasferibile è di natura contrattuale (e, segnatamente, da contatto sociale qualificato). Ne consegue che la stessa, ove venga chiamata a rispondere del danno derivato, sia ammessa a provare che l’inadempimento non le sia imputabile, per aver assolto, con la diligenza normativamente richiesta, alla propria obbligazione.  

 

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Breve ricostruzione del fatto.

Odierna ricorrente aveva proposto appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma, di accoglimento della domanda risarcitoria proposta dalla Società resistente. Nello specifico, il giudice di prime cure aveva ritenuto che l’allora convenuta avesse negoziato un assegno non trasferibile senza attenersi alla circolare ABI del 7 maggio 2001, che imponeva, in sede di identificazione del presentatore del titolo, di richiedere almeno un altro documento munito di fotografia, oltre la carta d’identità o la patente, notoriamente soggette a contraffazione; nel caso di specie, il prenditore era stato identificato unicamente mediante patente di guida.

Il Tribunale di Roma aveva rigettato l’appello e avverso tale ultimo pronunciamento la Società negoziatrice proponeva ricorso per cassazione.

 

I motivi di ricorso.

Con il primo motivo, la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 R.D. n. 1736/1933 in riferimento agli artt. 1218, 1176, secondo comma, e 1992 c.c., e della legge n. 445/2000, per la mancata adesione del Tribunale al principio statuito dalle Sezioni Unite[1], in ordine alla responsabilità per il pagamento di un assegno non trasferibile. Più nello specifico, a giudizio della ricorrente, il giudice di prime cure aveva erroneamente ritenuto che la sussistenza della responsabilità, ai sensi dell’art. 43 legge assegni potesse prescindere dalla valutazione della prova liberatoria, ex art. 1218 c.c., e che, quindi, potesse risiedere solo ed esclusivamente nell’obbligo legale di pagare l’assegno non trasferibile al prenditore effettivo.

La stessa ricorrente sosteneva, peraltro, che, contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale, la propria diligenza nell’esecuzione dell’operazione fosse stata comprovata per tabulas, poiché l’annotazione degli estremi identificativi sul retro del titolo avrebbero concorso a dimostrare che il versamento fosse stato eseguito dall’operatore di sportello solo dopo un’accurata e attenta verifica del titolo, della sua autenticità e dell’assenza di segni di contraffazione, di irregolarità e/o di alterazioni. La somma portata dal titolo sul rapporto al medesimo intestato era stata, peraltro, resa disponibile solo dopo la ricezione dell’incasso e dell’autorizzazione al pagamento da parte della Banca trattaria – emittente, a seguito di scambio mediante procedura di check truncation.

Deduceva, altresì, che, sempre ai fini della valutazione della necessaria diligenza, l’irrilevanza della circostanza per cui fosse stato consentito a un soggetto munito unicamente di un solo documento identificativo di aprire un libretto, rientrando tale dinamica nella normale e usuale gestione dei rapporti con la clientela, anche se sconosciuta.

In conclusione, la sentenza gravata sarebbe dovuta essere riformata, perché il Tribunale, avendo omesso di valutare la diligenza tenuta nella negoziazione del titolo contestato, si sarebbe evidentemente disallineato rispetto alla prefata normativa settoriale, nonché alle richiamate disposizioni codicistiche; la motivazione adottata era, peraltro, non conforme alla legge nella parte in cui veniva genericamente affermato che la ricorrente si fosse limitata ad addurre di aver indicato la prenditrice dell’assegno a mezzo patente di guida, con ciò incorrendo nella responsabilità sancita dall’art. 43 legge assegni: in relazione alle modalità di identificazione del cliente, difatti, la legge n. 445/2000, tra i documenti di riconoscimento aventi corso legale di validità, includeva la patente di guida e, al contempo, nessuna norma imponeva l’acquisizione di due documenti di riconoscimento per l’identificazione della clientela in ambito bancario, sì come nessuna disposizione normativa era impositiva di un alcun obbligo in capo all’operatore di sportello nell’indagare se un assegno posto all’incasso fosse collegato (o meno) a un’accertata attività economica o di risparmio del presentatore.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 83 D.p.r. n. 156/73 e del D.M. 26 febbraio 2004 (c.d. “Carta della qualità del servizio pubblico postale”), in riferimento all’art. 1227, primo comma, c.c. e art. 43 legge assegni. Nello specifico, si censurava la motivazione della sentenza gravata nella parte in cui il Tribunale aveva escluso il concorso di colpa del danneggiato, affermando, a tal riguardo, che l’evento dannoso non fosse dipeso dalla spedizione del plico postale (circostanza dalla quale sarebbe potuta al più derivare la sola conseguenza dell’appropriazione del titolo da parte del soggetto non legittimato), ma esclusivamente dalla condotta dell’Ente giratario per l’incasso, responsabile del pagamento in favore di un soggetto diverso dal beneficiario.

La natura dell’assegno di traenza avrebbe dovuto, per converso, imporre la massima cautela anche da parte della Banca e della Compagnia assicuratrice. In tal guisa, avrebbe dovuto riscontrarsi una responsabilità ai sensi del primo comma dell’art. 1227 c.c. della controricorrente, che non avrebbe negato di aver spedito il titolo al beneficiario con posta ordinaria, senza fornire alcuna prova che l’assegno in questione [fosse] entrato nel circuito postale, ove, per converso, la spedizione del titolo a mezzo posta assicurata avrebbe costituito un comportamento diligente dell’attrice, conforme a quanto previsto dall’art. 1182, ultimo comma, c.c., quale forma di cautela finalizzata ad evitare o quanto meno ridurre il danno.

La ricorrente deduceva, altresì, di non condividere l’iter argomentativo adottato dal giudice di prime cure, in quanto il nesso di causalità tra la pacifica spedizione incauta dell’assegno e il danno conseguente (pagamento a mani di soggetto diverso dal beneficiario) non poteva scientemente ritenersi interrotto dal “fatto sopravvenuto” (ovverosia, la negoziazione effettuata da Poste), in quanto tale accadimento ne era conseguenza logica.

La Sesta Sezione Civile giudica infondati entrambi i motivi di ricorso.

 

La decisione della Corte.

Come puntualmente richiamato nell’ordinanza qui annotata, le Sezioni Unite, con il pronunciamento summenzionato, si sono pronunciate sulla questione di diritto attinente all’interpretazione dell’art. 43, secondo comma, legge assegni, che stabilisce che «colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento», previsione estendibile anche a quelle ipotesi in cui siano pagati a persona diversa dal prenditore un assegno circolare o un assegno bancario libero della Banca d’Italia non trasferibili, nonché un assegno di traenza[2] (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità.

Il Massimo Consesso ha avuto modo di statuire il principio di diritto per cui «ai sensi dell’art. 43, 2° comma, legge assegni (r. d. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, 2° comma, c.c.».

In particolare, le Sezioni Unite, hanno ribadito il principio secondo cui «la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (r. d. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso»[3].

Ricondotta la responsabilità della Banca negoziatrice all’archetipo di quella contrattuale, derivante da contatto qualificato (inteso alla stregua di un fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c.), non appare consequenzialmente condivisibile la tesi per cui la Banca possa rispondere del pagamento dell’assegno non trasferibile, effettuato in favore di chi non è legittimato a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore. Di tal guisa, le Sezioni Unite hanno evidenziato che «una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno» e che «è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il criterio che presiede alla valutazione della responsabilità da contatto sociale qualificato è quello delineato dagli artt. 1176, 2118 c.c.».

Ne consegue che, nell’azione promossa dal danneggiato, la Banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile, a persona diversa dall’effettivo prenditore, sia ammessa a provare che l’inadempimento non le sia imputabile, per aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c.

A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale risulta essersi correttamente attenuto ai rassegnati principi. Difatti, pur avendo espressamente precisato di aderire all’orientamento giurisprudenziale che «sembra … configurare una forma di responsabilità oggettiva a carico della banca, sussistente ogniqualvolta la persona fisica del prenditore non corrisponda al legittimato cartolare, a prescindere dalla valutazione del coefficiente di colpa della banca nella procedura di identificazione del prenditore», il giudice di primo grado ha valutato il comportamento della ricorrente, ritenendo, in base a un accertamento fattuale, insindacabile in sede di legittimità, che quest’ultima si fosse limitata ad addurre di aver identificato la prenditrice dell’assegno, incorrendo nella responsabilità di cui all’art. 43 legge assegni, e ha reputato, in conseguenza, irrilevante che la Banca negoziatrice non avesse ricevuto alcun messaggio di impagato, atteso che la procedura di check truncation, relativa all’incasso del titolo, non consenta la materiale verifica del pagamento dell’assegno al legittimo prenditore. Il Tribunale ha, in sostanza, ritenuto che la Società ricorrente non avesse ragionevolmente dimostrato che l’inadempimento non le fosse imputabile, per aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, secondo comma, c.c.

Relativamente al secondo motivo di ricorso, la Sesta Sezione richiama il principio per cui «in materia di spedizione, per via postale ordinaria, di un titolo di credito pagabile all’ordine, munito della clausola di non trasferibilità, ove il pagamento a soggetto non legittimato sia attribuibile a negligenza della banca negoziatrice, ai fini della valutazione comparativa dell’incidenza o meno della colpa del creditore – emittente nella determinazione del danno, da accertare in concreto e alla luce del principio di “causalità adeguata”, non rilevano né il rischio generico assunto dall’emittente nell’affidarsi al servizio postale ordinario, né le modalità con le quali è stato spedito il plico postale»[4].

 

Qui il testo integrale dell’ordinanza.


[1] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 21 maggio 2018, nn. 12477 e 12478, con nota di U. Accordini, Nullun malum praeter culpam: considerazioni sulla responsabilità contrattuale della banca negoziatrice per erronea identificazione del legittimo portatore del titolo di credito, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 6, 2018, 1893. V. anche A. Lucia, Responsabilità della banca per il pagamento di assegno non trasferibile ed onere della prova, in GiustiziaCivile.com, fasc., 1° luglio 2019; A. Ricci, Circolazione titoli e pagamento dell’assegno a soggetto non legittimato. Il tramonto della responsabilità oggettiva., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 3, 2019, 318; D. Spagnuolo, La responsabilità della banca per l’errata identificazione del prenditore di assegno non trasferibile., in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 3, 2019, 305.

[2] V. Cass. Civ., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712, con nota di N. Muccioli, La disciplina dell’assegno non trasferibile tra responsabilità e indebito, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 1, 2009, 0161B.

[3] V. Cass. Civ., Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712. Vedi supra nota 2.

[4] V. Cass. Civ., Sez. III, 17 gennaio 2019, n. 1049, con nota di R. Bencini, Spedizione di assegno via posta ordinaria: il concorso di colpa dell’emittente, in Diritto & Giustizia, fasc. 11, 2019, 7.