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Nota a Cass. Civ., Sez. I, 4 giugno 2025, n. 14945.

di Giulia Turato

Avvocato

La pronuncia della Suprema Corte qui in commento, arriva al termine di un iter giudiziario complesso che così si può brevemente riassumere. Una società conveniva in giudizio la banca per ottenere la condanna alla restituzione degli importi illegittimamente addebitati per anatocismo, interessi ultralegali, c.s.m. e spese non pattuiti in relazione ai conti correnti di corrispondenza. Si costituiva l’istituto di credito con domanda riconvenzionale del pagamento del saldo dei rapporti intrattenuti e ottenendo l’autorizzazione alla chiamata in causa del fideiussore.

Chiaramente, in primo grado, veniva disposta la ctu. Il primo grado vedeva vittorioso il correntista ma la sentenza veniva prontamente impugnata dalla banca e la Corte d’Appello ribaltava completamente il risultato. Infatti, la questione principale verteva sulla mancanza della sottoscrizione della banca nei contratti prodotti ed era controversa l’avvenuta consegna al correntista che li disconosceva .

Ricorreva, dunque, il soccombente per Cassazione per i motivi che così si riassumono.

In primo luogo, il ricorrente, riteneva che i documenti non sarebbero dovuti entrare nel perimetro valutativo del giudice e nel thema decidendum perché in primis tempestivamente e correttamente disconosciuti e, nel caso, avrebbe dovuto essere dichiarata la nullità per mancata consegna e mancata prova della consegna.

La Suprema Corte ha ritenuto che il ricorrente non aveva allegato di aver contestato in appello specifiche difformità della copia, non aveva indicato gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale e non aveva proposto nemmeno la querela di falso, che sarebbe stata necessaria in ordine alla negazione dell’esistenza degli originali dei contratti bancari (cd. diniego di originale). Inoltre, risultava agli atti accertata l’esistenza di accordo scritto sottoscritto dal solo cliente. Pertanto, sempre secondo la Suprema Corte, una volta accertata l’avvenuta consegna del contratto mediante la dichiarazione di ricezione, sarebbe stato onere del cliente smentire la circostanza della consegna. Nel caso di specie, però, emergeva che il correntista si era limitato a disconoscere la conformità delle copie agli originali e pacificamente vi era in atti la prova dell’esecuzione del rapporto. Ad ogni modo, proseguiva, poi, la Corte, richiamando anche le Sezioni Unite (Cass., n. 9187/2021; SU, n. 898/2018), specificando che il requisito della forma scritta ad substantiam è da ritenersi assolto con la sola sottoscrizione del cliente ben potendosi intendere il consenso della banca acquisito mediante comportamenti concludenti[1]1.

In secondo luogo, il ricorrente, riteneva la sentenza carente di motivazione o con motivazione apparente in quanto la Corte d’appello non avrebbe spiegato, in maniera puntuale e dettagliata, le ragioni dell’adesione alla tesi del c.t.u. La Suprema Corte, sul punto, ha ritenuto che il giudice del merito può limitarsi a recepire la stessa c.t.u. ove questa confuti le osservazioni del c.t.p.; dunque, secondo il principio di diritto espresso (e che appare ormai pacifico in giurisprudenza) il Giudice può limitarsi a fare proprio il conteggio della c.t.u. senza illustrare il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione (vedasi ad esempio Cass. Civ. sentenza n. 12195 del 6 maggio 2024). Viceversa, il giudice è tenuto a motivare specificatamente “le ragioni che lo conducono ad ignorare o sminuire i dati risultanti dalla relazione del c.t.u.” (vedasi Cass. Civ. sentenza n. 1294 del 2017).

Infine, la Corte, pur chiaramente non esprimendosi sugli accertamenti di merito relativi alla questione della qualificazione del negozio del chiamato in causa quale fideiussione o contratto autonomo di garanzia, precisava che la presenza nell’accordo di una clausola “a prima richiesta” non può avere carattere decisivo essendo in ogni caso necessario l’accertamento della relazione causale mediante gli ordinari strumenti interpretativi nella disponibilità del giudice (Cass., n. 31105/2024). Ciò perché non essendo la clausola di pagamento “a prima richiesta” incompatibile con l’applicazione dell’art. 1957 c.c.[2]2, non può che spettare al giudice di merito l’onere di ricerca dell’effettiva volontà in concreto manifestata dalle parti (Cass., n. 16825/2016).

 

 

 

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[1] Vedasi le richiamate Cass., n. 14646/2018; n. 28500/2023.

[2] La giurisprudenza ha infatti precisato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola “a prima richiesta e senza eccezioni” è generalmente idonea a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, ad eccezione delle ipotesi in cui vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale. Pertanto, pur in presenza della suddetta clausola, il giudice è tenuto in ogni caso alla valutazione del contratto nella sua interezza (Cass. civ. Sent. n. 4717/19).

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