Nota a Trib. Foggia, Sez. II, 5 giugno 2025, n. 1109.
Massima redazionale
In via preliminare, il giudice foggiano rigetta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto bancario. Trattasi di inadempimento contrattuale, il cui termine di prescrizione è quello di dieci e non cinque anni, perché le doglianze attoree attengono alle omesse informazioni relative all’ordine di acquisto, delle azioni e delle obbligazioni oggetto di causa, impartito dopo che l’attore aveva già precedentemente sottoscritto il contratto-quadro con la convenuta. Devesi, inoltre, sottolineare che la prescrizione, in tema di risarcimento danni, non decorre dal giorno dell’evento illecito, ma da giorno in cui il danneggiato lo avrebbe potuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza[1]. Diversamente da quanto sostenuto dalla banca convenuta, quindi, il dies a quo non può essere individuato nel momento in cui sono stati eseguiti gli investimenti oggetto del presente giudizio, sicché la banca non ha nemmeno fornito adeguata prova del dies a quo della prescrizione[2]. Il diritto al risarcimento del danno, quindi, non può ritenersi prescritto, dovendosene indagare la fondatezza.
Ciò posto, secondo parte attrice si tratterebbe di azioni illiquide, sicché sarebbero state violate le informazioni prescritte per i prodotti illiquidi dalla Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009; mentre secondo l’istituto bancario le azioni, al momento della vendita, avrebbero dovuto considerarsi liquide.
Ebbene, va premesso che, in virtù del principio della “vicinanza della prova” ed anche in virtù del riparto dell’onere della prova delineato dalla giurisprudenza di legittimità[3] – secondo cui il creditore è tenuto a provare solo il titolo e ad allegare l’inadempimento, spettando invece al debitore la prova di aver correttamente adempiuto – costituisce preciso onere dell’intermediario fornire la dimostrazione della circostanza che, alla data dell’operazione di investimento contestata, esisteva la asserita condizione di liquidità dei titoli.
Nel caso in esame, la banca convenuta ha ritenuto di aver provato il carattere liquido delle azioni, siccome:
- nell’anno 2013, le azioni BPB erano regolarmente negoziate con tempistiche medie di smobilizzo di circa 50 giorni, come peraltro comunicato agli investitori mediante il prospetto informativo relativo all’aumento di capitale deliberato nel 2014;
- negli anni 2011 e 2012, le aste di titoli BPB determinavano volumi di scambio di tutto riguardo, come peraltro comunicato all’attore;
- i dati delle aste, tuttora consultabili sul sito, all’asta del 17.7.2015, dimostrano che venivano ancora negoziati titoli azionari BPB per un controvalore pari a circa € 600.000,00.
Il Tribunale, tuttavia, ritiene che tali dati non siano idonei a valutare il prodotto come “liquido”. Invero, secondo la Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009, “Per prodotti illiquidi si intendono quelli che determinano per l’investitore ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, a condizioni di prezzo significative, ossia tali da riflettere, direttamente o indirettamente, una pluralità di interessi in acquisto e in vendita. Al fine di verificare che tali condizioni siano soddisfatte potranno valutarsi indicatori quali ad esempio l’ampiezza dello spread denaro/lettera, l’ampiezza e la profondità del book di negoziazione con particolare riguardo alla numerosità dei contributori, la frequenza ed il volume di transazioni, la disponibilità di informativa sulle condizioni delle transazioni”. In particolare:
- l’ampiezza dello spread denaro-lettera, o bid-ask spread, rappresenta la differenza tra il prezzo più alto che un acquirente è disposto a pagare per un titolo (denaro) e il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo (lettera); un’ampiezza ridotta indica un mercato più liquido, mentre un’ampiezza maggiore suggerisce un mercato meno liquido: lo spread ridotto indica, infatti, che c’è una grande domanda e offerta per il titolo, con molti acquirenti e venditori pronti a negoziare a prezzi molto vicini tra loro; uno spread ampio, invece indica che si assiste ad un basso tasso di incontro tra domanda e offerta, con conseguente maggiore illiquidità del titolo; ̵
- l’ampiezza del book di negoziazione (o market depth) si riferisce alla quantità di ordini di acquisto e vendita a diversi livelli di prezzo, mentre la profondità (o depth of the market) indica la quantità di ordini di acquisto e vendita a un determinato prezzo: un book di negoziazione profondo riduce la presenza di vuoti di domanda/offerta e attenua il rischio di eccessive variazioni di prezzo, mentre l’ampiezza limita il market impact derivante da un singolo ordine con elevate quantità.
I prodotti illiquidi sono, quindi, prodotti che presentano specifico “rischio di liquidità”, determinato dall’impossibilità giuridica o dalla limitazione fattuale al disinvestimento. “A titolo esemplificativo, ma non esaustivo”, la Comunicazione fa riferimento alle “obbligazioni bancarie, alle polizze assicurative ed ai derivati negoziati over the counter”. Si legge, poi, che la “condizione di liquidità, presunta ma non assicurata di diritto dalla quotazione del titolo in mercati regolamentati o in MTF, potrebbe essere garantita anche dall’impegno dello stesso intermediario al riacquisto secondo criteri e meccanismi prefissati e coerenti con quelli che hanno condotto al pricing del prodotto nel mercato primario”.
Nel caso in esame, la banca non ha fornito prova della liquidità del titolo. Il solo tempo di smobilizzo del titolo, relativo a determinati anni, non rappresenta nulla in merito alla varietà, quantità, pluralità, differenziazione e idoneità delle caratteristiche tra domanda e offerta al quale il titolo può essere negoziato, ben potendo – invece – dipendere da situazioni meramente contingenti che non afferiscono affatto ai caratteri tipici e strutturali della negoziazione del titolo, né alla concentrazione e adeguatezza tra il numero ed il tipo delle domande e il numero ed il tipo delle offerte. Il tempo di smobilizzo può, infatti, dipendere anche da situazioni relative a determinati anni, caratterizzati da un elevato numero di domande da parte di pochi singoli investitori, il che non mette affatto il titolo a riparo da rischi di illiquidità. Del resto, è pacifico che le azioni sono state acquistate nel 2013 ed al momento dell’acquisto non erano collocate su nessun mercato. Solo a far data dal 2017 è stato istituito il mercato HI-MTF, che – tuttavia – nemmeno assicura, secondo la Comunicazione Consob, la liquidità dell’azione, dovendosi sempre accertare le caratteristiche tra domanda e offerta ed i livelli di liquidità e trasparenza e non potendosi altrimenti escludere l’assenza, sul mercato, di acquirenti disposti ad acquistare le azioni.
Sotto tale profilo, l’attore ha dedotto che con decorrenza dal 4 dicembre 2019 la piattaforma multilaterale di negoziazione Hi-Mtf ha deliberato di sospendere gli scambi delle azioni dell’intermediario. Una misura, questa, a cui ha poi fatto seguito la determinazione della CONSOB che, con la delibera n. 21190 del 17 dicembre 2019, ha disposto la sospensione temporanea delle negoziazioni su tutti i mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione italiani di titoli emessi o garantiti dall’intermediari. In assenza di un mercato dove negoziare i titoli le azioni oggi non sono più commercializzabili, pertanto, il valore è pari a 0. Ciò che, ad ogni modo, è un dato assolutamente significativo e pacifico è che, alla data dell’acquisto, le azioni non erano collocate su nessun mercato. In sostanza, la liquidità del titolo è data dalla possibilità di trasformare nuovamente lo stesso in denaro liquido ed è del tutto evidente che azioni emesse da banche non quotate presentino delle difficoltà di smobilizzo, visto che la loro vendita è possibile solamente a seguito del riacquisto da parte della società o, al limite, di altri soci o di terzi che devono essere però ricercati con trattative negoziali non tipiche del processo di vendita azionario. Le azioni, oggetto del presente giudizio, erano, infatti, titoli non quotati nei mercati, quindi, non avevano un mercato (se non in un sistema interno) né un parametro di confronto (in relazione al loro valore) ed è del tutto consequenziale che vi potessero essere ostacoli o limitazioni -difficoltà in genere- al loro smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole, ciò che si è puntualmente verificato.
Il Tribunale foggiano rileva, oltretutto, che ciò che contribuisce a rendere ancor più difficoltoso il loro smobilizzo è che il prezzo in definitiva è stabilito dall’emittente e non è connotato da intrinseca trasparenza, come per i titoli che sono quotati in mercati regolamentati, dove la quotazione è l’effetto del meccanismo bid/ask spread. In definitiva, le azioni BPB, oggetto di contestazione, erano e sono da considerare titoli illiquidi per il fatto di non essere quotati su mercati regolamentati, né su mercati alternativi per i quali vi è prova della adeguatezza rispetto al carattere liquido delle azioni.
La banca convenuta, ad ogni modo, ritiene che, quand’anche le azioni si volessero ritenere illiquide, la stessa avrebbe comunque adeguatamente fornito l’informativa rafforzata di cui alla citata Comunicazione Consob, avendo reso edotto l’attore, prima dell’ordine di investimento:
- del valore di smobilizzo dei predetti titoli azionari che, essendo strumenti finanziari non quotati, risultano alienabili al prezzo determinato dall’assemblea dei soci BPB in sede di approvazione del bilancio, in conformità a quanto previsto dall’art. 6 dello Statuto sociale BPB;
- delle difficoltà di liquidazione connesse al funzionamento del mercato interno di scambio e dei conseguenti effetti in termini di tempi di esecuzione della vendita;
- delle modalità di smobilizzo delle azioni BPB, mediante ampia documentazione informativa circa l’implementazione del mercato interno denominato “Sistema di negoziazione interno” e, successivamente, del sistema di negoziazione Hi-MTF.
Secondo la banca convenuta, più in particolare, il cliente sarebbe stato correttamente e adeguatamente informato del carattere illiquido delle azioni perché: con la scheda di adesione all’aumento di capitale, alla quale era allegata la scheda di prodotto azioni e obbligazioni, l’attore avrebbe dichiarato di aver ricevuto il prospetto informativo e il regolamento di prestito obbligazionario.
Va dato atto che, la Comunicazione della Consob invita a comunicare al cliente: (i) la scomposizione delle voci che concorrevano all’esborso complessivo (c.d. unbundling), distinguendo tra fair value e costi che gravavano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente; (ii) informazioni in merito alle modalità di smobilizzo, con evidenza delle eventuali difficoltà di liquidazione e conseguenti effetti in termini di costi e tempistiche; (iii) l’avvertenza, se del caso, che l’unica fonte di mercato era rappresentata dall’emittente stesso o da una società ad esso riconducibile, specificando le regole di pricing applicate; (iv) confronti con prodotti semplici, noti, a basso rischio e di durata analoga; (v) scenari di rendimento dello strumento da condurre mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive; (vi) rendicontazione periodica, l’esplicitazione del fair value del prodotto e il presumibile valore di realizzo, determinato sulla base delle condizioni applicate in caso di smobilizzo.
La comunicazione, inoltre, raccomanda maggiori accortezze nelle valutazioni di adeguatezza e/o di appropriatezza, per verificare l’effettiva rispondenza dei prodotti al profilo del cliente. Nel doc. n. 5 in atti (scheda di ordine prodotto), si legge solo che il cliente dichiara di essere a conoscenza che è stato pubblicato il “Prospetto” e il “Regolamento di Prestito”, messi a disposizione sul sito internet della banca; di aver esaminato i rischi tipici all’Emittente e al settore nel quale opera, all’investimento e alla modalità di sottoscrizione mediante Compensazione. Il Tribunale ritiene che la documentazione in atti non possa ritenersi idonea a provare che la abbia assolto all’obbligo di fornire una informazione adeguata “in concreto” e tale da consentire, dunque, al cliente di compiere consapevoli scelte di investimento, in particolare con riferimento alla natura illiquida delle proprie azioni. L’informativa preventiva risulta fornita, infatti, in modo essenzialmente formalistico, tramite la consegna di documenti informativi sui rischi generali di investimenti, al momento della sottoscrizione del contratto quadro. Inoltre, con riferimento all’informativa specifica sui titoli, le schede di adesione si limitano a dare atto del fatto che il cliente era a conoscenza del Prospetto reso disponibile sul sito internet della banca e “di aver esaminato i rischi tipici relativi all’emittente e al Settore nel quale questi opera, all’investimento nelle Azioni e nelle Obbligazioni Convertibili”. Si tratta di rinvii meramente generici a documenti formati per la generalità degli investitori, non calibrati sulle specifiche caratteristiche del cliente. Inoltre, la scheda prodotto in atti, classifica le azioni oggetto di causa come azioni a “rischio medio”, nonostante queste non fossero quotate e si legge anche che l’ordine di smobilizzo è “sempre” inferiore a 90 giorni. Tuttavia, va rilevato che le azioni illiquide presentano un grado di rischio alto, o comunque medio-alto, ciò anche in considerazione del fatto che, proprio per tale ragione, la Consob ha predisposto un’informativa rafforzata per la loro vendita, analogamente a quanto accade in materia di derivati. Inoltre, comunicare al cliente che l’ordine di smobilizzo è “sempre” nell’ordine inferiore a 90 giorni induce lo stesso in errore, non evidenziando il carattere illiquido del titolo e conducendolo a ritenere che egli potrà godere “sempre” dello smobilizzo dell’azione in massimo 90 giorni. L’informazione è del tutto deviante perché da un lato si enuncia la comunicazione tecnica, di difficile comprensione, della non quotazione delle azioni ma, dall’altro, si induce il cliente in errore, facendogli ritenere configurabile un facile smobilizzo. Ne deriva, quindi, l’inadeguatezza dell’informativa fornita al cliente per l’acquisto di azioni illiquide poiché non conferme rispetto al grado di conoscenza rafforzato richiesto dalla Comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009.
Quanto all’eccepita inadeguatezza/inappropriatezza degli investimenti il Tribunale osserva quanto segue. In particolare, la normativa prevede che l’intermediario debba raccogliere tutte le informazioni necessarie sul cliente per definirne il profilo di rischio, attraverso strumenti come il questionario di profilatura previsto dal Regolamento Consob n. 16190/2007. Questo processo di profilatura permette di valutare la situazione finanziaria del cliente, la sua propensione al rischio e i suoi obiettivi di investimento, con l’obiettivo di proporre prodotti finanziari adeguati alle sue caratteristiche. Il Regolamento Consob n. 16190/2007, emanato in attuazione della direttiva MiFID, introduce ulteriori obblighi per gli intermediari, tra cui la necessità di assicurarsi che le operazioni effettuate siano appropriate e, quando necessario, di avvertire il cliente se un’operazione è ritenuta non adeguata. Prima dell’introduzione della MiFID e, quindi, dell’art. 39 Reg. Consob 2007, vigeva la normativa di cui dell’art. 29 del Regolamento Consob del 1998. In vigenza della normativa di inadeguatezza di cui all’art. 29 del vecchio Regolamento Consob del 1998, gli istituti di credito non quotati per vendere le azioni anche a soggetti con profilo di rischio basso o medio-basso, procedevano in via generalizzata a segnalare l’inadeguatezza ed a far sottoscrivere l’espressa autorizzazione ad eseguire comunque l’operazione. In base a tale previgente normativa, se l’intermediario finanziario riteneva che un’operazione fosse inadeguata rispetto al profilo del risparmiatore per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione, era obbligato a segnalarlo per iscritto al cliente, indicando specificatamente le ragioni dell’inadeguatezza, e poteva eseguire l’operazione solo se otteneva dall’investitore una seconda sottoscrizione per autorizzazione a dar corso, comunque, alla negoziazione. In tal modo l’intermediario finanziario era esente da ogni responsabilità, se l’operazione si fosse rivelata dannosa per l’investitore. Con l’art. 39 del Regolamento Consob 24 febbraio 1998, n. 58, che ha recepito la MiFID, l’operazione reputata non adeguata non può in alcun modo essere eseguita dall’intermediario, a differenza di ciò che avveniva in passato.
Con riferimento al caso in esame, va osservato che vi è in atti un questionario MiFid, risalente all’anno 2010, dal quale non si evince il grado di istruzione del cliente, né l’attività professionale svolta dallo stesso; si legge che egli è disposto a perdere, al massimo, una parte media del capitale investito e che ha dichiarato di essere a conoscenza di tutti gli strumenti finanziari, esclusi solamente i derivati, e di aver avuto pregresse esperienze tali da consentigli di acquisire specifiche competenze in ambito finanziario. La banca ha ritenuto “affidabili” tali dichiarazioni. Ai sensi dell’art. 38 Reg. Consob, comma quinto, 24 febbraio 1998, n. 58, “Gli intermediari possono fare affidamento sulle informazioni fornite dai clienti o potenziali clienti a meno che esse non siano manifestamente superate, inesatte o incomplete”. Non si comprende, allora, dinnanzi alla palese incompletezza e manifesta genericità delle informazioni rilasciate, come la banca abbia creduto di ritenere affidabili tali dichiarazioni se: a) non risulta dichiarata nemmeno la professione o il grado di istruzione del cliente; b) lo stesso ha affermato di compiere meno di un’operazione finanziaria a trimestre; c) non si comprende esattamente quali esperienze pregresse gli abbiano consentito di acquisire “conoscenza specifica in ambito finanziario” e sotto quale profilo di conoscenza; d) la conoscenza sugli strumenti finanziari è del tutto generica, siccome il cliente ha dichiarato di conoscere le azioni e le obbligazioni ma di non conoscere i derivati, per cui non si capisce se egli conosce o non conosce le azioni, che però sono illiquide. In sostanza, non si ha contezza del livello di istruzione del cliente, del suo impiego, di quali pregresse esperienze in ambito finanziario lo abbiano condotto a “conoscere” gli strumenti finanziari e, infine, non risulta nemmeno chiaro cosa di intenda per “conoscenza” degli strumenti finanziari, posto che le domande sono formulate con un’alternativa di risposta biunivoca “si/no”, non idonea a cogliere l’effettiva conoscenza degli strumenti finanziari elencati, che potrebbe ricavarsi, invece, ad esempio, con una risposta multipla sul significato stesso degli strumenti o sul loro grado di rischiosità. Una domanda posta in tale maniera renderebbe formale e non sostanziale la verifica delle conoscenze in campo finanziario dell’investitore.
La banca non ha, quindi, nemmeno assolto al suo “obbligo di informazione passiva” perché la profilatura del cliente non è stata effettuata correttamente, dato che non sono state acquisite informazioni chiare sul livello di conoscenza in ambito finanziario dell’investitore, sicché non vi è prova del fatto che il cliente possedeva “la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio” (art. 40 Reg. Consob).
Da tutto ciò si evince che le operazioni, considerate singolarmente, di acquisto di azioni ed obbligazioni convertibili non negoziate in un mercato regolamentato, e quindi con una congenita caratteristica di scarsa liquidità, allocabili in un profilo di rischio alto e/o medio-alto non sono adeguate ad un profilo di un semplice investitore, per il quale non vi nemmeno certezza di inquadramento, stante la carenza della profilatura, nel profilo di “rischio medio”. In definitiva, il mancato rispetto degli obblighi di informazione e trasparenza da parte della banca, unitamente alla proposta di investimenti non adeguati al profilo di rischio del cliente, è sufficiente a giustificare l’accoglimento della domanda attorea e la condanna dell’istituto bancario al risarcimento dei danni pari alla somma versata per l’acquisto dei titoli. Difatti, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, salva prova contraria che, tuttavia, non caso in esame, la banca convenuta non ha offerto[4]. Alla luce di ciò, quindi, deve ritenersi provato anche il nesso di causalità da parte dell’attore. La banca convenuta va, quindi, condannata al risarcimento, in favore dell’attore, della somma di € 23.684,50, a titolo di valore[5] e, quindi, oltre rivalutazione ed interessi compensativi, secondo un saggio fissato in via equitativa al tasso legale[6], voci possono essere riconosciute anche d’ufficio, senza che occorra alcuna specifica richiesta della parte interessata, a far data dalla sottoscrizione delle obbligazioni (quale momento in cui la banca ha violato gli obblighi informativi del TUF e del Regolamento Intermediari), per la somma così maggiorata pari ad € 32.729,35 (di cui € 28.871,41 a titolo di capitale rivalutato ed € 3.857,94 a titolo di interessi). Gli interessi compensativi, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, devono essere liquidati in considerazione del fatto che risulta provato, proprio per l’utilizzo del denaro in investimenti, che l‘attore, qualora avessero avuto l’immediata disponibilità di tale somma, l’avrebbe impiegata in modo da conseguire un guadagno superiore a quanto già liquidato a titolo di rivalutazione monetaria[7].
__________________________________________________________
[1] Cfr. ex multis Cass. n. 4683/2020.
[2] Cfr. Cass. n. 14662/2016.
[3] Cfr. Cass. n. 13533/2001.
[4] Cfr. Cass. n. 3914/2018; Cass. n. 24142/2018; Cass. n. 5265/2018; Cass. n. 19417/2017; Cass. n. 20617/2017; Cass. n. 12544/2017; Cass. n. 23417/2016; Cass. n. 14166/2017; Cass. n. 6920/2018.
[5] Cfr. Cass. n. 26202/2022.
[6] Cfr. Cass. n. 25817/2017.
[7] Cfr. Cass. n. 1712/1995; Cass. n. 12452/2003; Cass. n. 22347/2007; Cass. n. 3268/2008; Cass. n. 22347/2010; Cass. n. 32794/2019; Cass. n. 1111/2020; Cass. n. 33600/2021; Cass. n. 9612/2022; Cass. n. 37475/2022; Cass. n. 4938/2023.
Seguici sui social:
Info sull'autore