Nota a App. Perugia, 18 settembre 2024.
Massima redazionale
La Corte territoriale perugina ritiene che l’applicazione del regime di capitalizzazione composita rispetto a quella semplice non costituisca un costo occulto a carico del mutuatario ai fini del calcolo del TAEG, non comporti anatocismo né rilevi ai fini della verifica del superamento della soglia anti usura. Invero, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione, con la nota sentenza n. 15130/2024, pur trattando espressamente una ipotesi di mutuo a tasso fisso, hanno affermato che il maggior carico di interessi derivante dalla tipologia di ammortamento in questione (ammortamento alla francese) «non deriva da un fenomeno di moltiplicazione in senso tecnico degli interessi, che non maturano su altri interessi (infatti ogni volta che il pagamento avviene nel termine convenuto, il debito per interessi si estingue; l’interesse è calcolato sul capitale di volta in volta residuo e non ha alla sua base alcun interesse capitalizzato, di modo che, non essendovi contaminazione di interessi capitalizzati, il calcolo degli interessi non integra una violazione dell’art. 1283 c.c. )”; né tale sistema genera per definizione ed in via generale un’incertezza sull’interesse applicato, dal momento che gli interessi vengono calcolati sulla somma concessa in prestito e in ciascuna delle rate successive la quota di interessi viene computata sul debito residuo del periodo precedente (senza alcuna discordanza tra il tasso pattuito e quello in concreto applicato); né esso si traduce in una maggiore voce di costo, prezzo o esborso da esplicitare nel contratto, non incidendo sul TAN e sul TAEG, ma costituisce “il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante (inizialmente calmierata) e non decrescente».
Questi tre principi enunciati dalla Suprema Corte sono sicuramente mutuabili anche per il mutuo a tasso variabile, sotto il profilo dell’assenza sia di anatocismo che di costi occulti, con conseguente insussistenza di incertezza dei tassi.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha escluso che l’opacità del contratto, la sua scarsa trasparenza per la presenza di un costo o “prezzo” occulto -per mancata esplicitazione in contratto del maggior costo come effetto del sistema composto di capitalizzazione degli interessi – integri un problema di assenza di determinatezza dell’oggetto del contratto (Cass. SS.UU. 15130/24 cit.), né l’indagine sulla determinatezza va compiuta con riferimento alla convenienza del contratto.
Quanto al motivo inerente alla nullità parziale per mancata, espressa pattuizione del sistema di capitalizzazione composta, il mutuo ipotecario attenzionato comprende il piano di ammortamento c.d. “alla francese”, allegato al contratto e sottoscritto dalle parti. Dal piano di ammortamento la parte era perfettamente in grado di comprendere le modalità di composizione della rata, nonché il costo complessivo dell’operazione. Di talché, le censure formulate dall’appellante sono infondate alla luce del recente arresto della Corte a Sezioni Unite summenzionato, che ha escluso la sussistenza di violazione della regola di cui all’art. 117 TUB.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che il piano di ammortamento “alla francese” è definito come il «più diffuso in Italia» nelle disposizioni della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 in tema di «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari» e si caratterizza per il fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito a «rate costanti», cioè il mutuatario è obbligato a pagare rate di importo sempre identico comprensive di una quota capitale crescente e di una quota interessi decrescente; il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota interessi, deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa: per ciascuna rata gli interessi vengono calcolati inizialmente sull’intero capitale erogato e successivamente sul capitale residuo, il capitale è in misura pari alla differenza tra l’importo concordato della rata costante e l’ammontare della quota interessi.
Un piano a rata costante può essere formulato anche con riferimento alla previsione di un tasso variabile, con la differenza che il piano di ammortamento, calcolato con la stessa formula di matematica finanziaria della rata costante, viene generalmente simulato in via indicativa applicando il tasso vigente alla data della stipula, così da individuare, per ciascuna rata, la quota di capitale che viene restituita, potendosi poi conteggiare la quota di interessi in base al tasso variabile sul capitale via via residuo al netto delle restituzioni effettuate con le rate precedenti; in questo caso, l’indicazione “a rata costante” indica il metodo di calcolo dell’ammortamento, e non il dato effettivo di una rata costante (esclusa dal variare del tasso).
La Cassazione sottolinea che, come chiarito dai matematici finanziari, il rimborso delle frazioni di capitale incluse nella rata costante produce una riduzione del capitale (debito) residuo e una diminuzione del “montante” sul quale sono calcolati gli interessi maturati nell’anno e questo meccanismo determina una progressiva diminuzione della quota della rata successiva ascrivibile agli interessi e un corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale, per cui nelle prime fasi del piano di ammortamento, la quota della rata destinata agli interessi è maggiore, mentre la quota destinata al capitale è minore. L’abbattimento progressivo più lento del capitale residuo, la cui frazione nella “rata costante” iniziale è più bassa e man mano aumenta, è pienamente legittima ai sensi dell’art. 821 c.c., in quanto nel contratto di mutuo gli interessi maturano e divengono esigibili giorno per giorno, sin dalla dazione del capitale (ovvero dall’erogazione del finanziamento), a partire dal quale si realizza la situazione di godimento altrui della somma oggetto di prestito e ai sensi dell’art. 1194 c.c. a norma del quale i pagamenti mensili operati dal mutuatario a titolo di rate del finanziamento dovranno essere imputati, in via preliminare, al pagamento degli interessi e, per la parte residua, al rimborso del capitale; sicché la quota interessi è pari al totale degli interessi maturati (giorno per giorno) nel corso del periodo di riferimento della rata, e certamente esigibili alla scadenza mensile pattuita[1] e devono calcolarsi moltiplicando il tasso d’interesse pattuito fra le parti per il capitale complessivamente erogato e goduto, in rapporto al periodo di riferimento della rata; la quota capitale, di conseguenza, è pari a tutto ciò che della rata residua dopo il preliminare pagamento della quota interessi, che viene imputato al rimborso del capitale.
Ed è evidente che ciò determini complessivamente un maggior costo finale dell’operazione in quanto la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario, il che comporta in conclusione la debenza di più interessi corrispettivi da parte del mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell’equivalente del capitale ricevuto.
Nel caso di specie, il contratto di mutuo contestato risulta conforme ai requisiti legali previsti dagli artt. 1813 ss. c.c., in quanto contiene l’indicazione di:
- importo erogato;
- durata del prestito;
- periodicità del rimborso;
- tasso di interesse;
- indicazione del pagamento del debito a rate costanti.
Il fatto che il mutuatario non possa calcolare agevolmente l’importo totale del rimborso con una semplice sommatoria deriva già solo dalla scelta di un mutuo a tasso variabile, che non consente di avere chiara contezza del costo finale della operazione.
Fornita un’informazione chiara su tutti gli elementi essenziali del tipo contrattuale (importo e durata prestito, TAN e periodicità rate) e il modo in cui sono formate le rate del piano mediante pagamento “a rata costante”, non può sussistere né un problema di indeterminatezza, né, tantomeno, di violazione di forma scritta perché sono presenti gli elementi tipici del contratto e il cliente ha gli elementi per una decisione informata: il maggior carico di interessi del prestito non dipende da un fenomeno di “interessi su interessi” (ovverosia, di anatocismo), ma dal fatto che il piano concordato ritarda la restituzione del capitale per mantenere la rata costante. Questo comporta la debenza di più interessi compensativi da parte del mutuatario, poiché il termine per la restituzione del capitale viene differito (senza che ciò influisca sul TAN e sul TAEG, come esplicitati nel contratto), mentre nell’ammortamento “all’italiana” il capitale viene abbattuto più velocemente, con il pagamento di rate iniziali più alte, e quindi gli interessi sul capitale residuo inferiore sono inevitabilmente più bassi. Di talché, come specifica la Corte, «il maggior carico di interessi del prestito [dipende] dal fatto che nel piano concordato tra le parti la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario».
Sotto il profilo della trasparenza e chiarezza in contratto, il mutuatario non può ragionevolmente presumere, in assenza della relativa pattuizione, che la rata periodica sia a capitale decrescente o costante, perché ciò è escluso dalla indicazione del rimborso a rate costanti; tanto meno sulla scorta delle previsioni contrattuali può ritenere che in ciascuna rata non siano liquidati tutti gli interessi generati dal capitale residuo entro la data di scadenza di essa ma solo quelli maturati sulla quota di capitale inserita nella rata in scadenza, perché come sopra detto ciò è in contrasto con la previsione degli artt. 820-821, 1194, 1499 c.c.., senza considerare, inoltre, che l’art. 117 TUB non richiede l’esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto, tanto meno a pena di nullità.
Concludendo, presupposta e convenuta la periodicità del rimborso “a rate costanti”, il maggior costo finale del rimborso rappresenta conseguenza necessaria dell’applicazione della normativa codicistica che governa la produzione e il pagamento degli interessi, senza possibilità di rilevare l’impiego di condizioni non pattuite (regime di capitalizzazione composta) né la produzione di interessi su interessi in violazione dell’art. 1283 c.c., né la presenza di costi occulti che incidano sul Tan o sul TAEG.
In conclusione, devono escludersi tutti i profili di nullità invocati dagli appellanti, così come la violazione di regole di trasparenza e correttezza.
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[1] Gli interessi compensativi, come spiegato dalla sentenza Cassazione Sezioni Unite 20 maggio 2024, n. 15130, decorrono sul capitale anche se questo non è ancora o non interamente esigibile in conformità con l’art. 1499 c.c. stante la natura onerosa del mutuo di denaro, dove l’interesse rappresenta il corrispettivo per la disponibilità temporanea della somma mutuata, o più precisamente della parte non ancora rimborsata, ossia del debito residuo.
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