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Nota a Cass. Civ., Sez. III, 24 luglio 2024, n. 20648.

Massima redazionale

Nella specie, la Corte territoriale ha riconosciuto che l’articolo 1957 c.c.tende a far sì che il creditore … prenda sollecite iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa”, e altresì che, quando fallisce il debitore principale, il termine di scadenza delle obbligazioni del debitore principale si identifica con la data di pubblicazione della sentenza dichiaratrice del fallimento e che la decadenza ex art. 1957 c.c. non viene espunta “dall’apertura, a carico del debitore principale, di una procedura concorsuale”, la quale “comporta soltanto che la diligenza del creditore sia valutata in relazione alle possibilità concesse dall’ordinamento … consistenti nella richiesta di insinuazione del credito al passivo”.

Si osserva che la giurisprudenza insegna che l’iniziativa ex art. 1957 c.c. deve essere giudiziaria, e non quindi consistere una mera diffida stragiudiziale. La Banca, nel caso in esame, non ha esercitato alcuna azione giudiziaria nei confronti della debitrice principale, né, tantomeno, nei confronti dell’attuale ricorrente (il creditore potendo scegliere se escutere il debitore principale o il fideiussore, se non è pattuito il beneficio di escussione ex art. 1944 c.c., come la Corte territoriale riconosce) e al fideiussore ha inviato soltanto una raccomandata per chiedere il pagamento. Quindi, non deducendo da questo la nullità parziale ex art.1419, comma 1, c.c., la Corte avrebbe errato, violando tale norma e l’articolo 1957 c.c.

Il giudice d’appello ha, altresì, ritenuto che la pattuizione, avvenuta nel contratto fideiussorio de quo, dell’obbligo di pagare “a semplice richiesta scritta” esonerasse dall’onere di proporre domanda giudiziale entro sei mesi pena decadenza, perché deroga convenzionalmente rispetto all’articolo 1957 c.c.[1]. Inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, si era perpetrata una violazione dell’art. 1175 c.c., in quanto il creditore era fondamentalmente stato esonerato dall’obbligo di correttezza/buona fede: nel caso in esame, infatti, la Banca non ha compiuto azioni giudiziarie bensì ha soltanto inviato una richiesta mediante raccomandata.

Ebbene, le doglianze, per come rappresentate, sono fondate. Invero, l’art. 1957 c.c., effettivamente, è una norma protettiva del fideiussore, e la clausola n. 6 del negozio fideiussorio è nulla, come dichiarato dal ben noto intervento (ben anteriore al contratto di fideiussione omnibus in esame, stipulato nel 2011) della Banca d’Italia nel 2005. L’interpretazione del giudice d’appello ictu oculi finisce per neutralizzare la disposizione codicistica de qua. nel considerare nella specie, applicabile una clausola riconducibile all’art. 6 del modulo ABI, ormai da tempo riconosciuta come illecita. La censura veicolata nei motivi va pertanto accolta, con assorbimento del primo motivo.

 

 

 

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[1] Sul punto, Cass. n. 5598/2020, che nega la possibilità di derogare l’art. 1957 c.c. implicitamente con una siffatta clausola “di pagamento prima richiesta o altra equivalente”, in quanto espressivo di “un’esigenza di protezione del fideiussore”.

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