Nota a ABF, Collegio di Bologna, 16 maggio 2024, n. 5909.
«Non vi è nulla da temere dalla ricerca di una prova:
il problema è come arriviamo a valutare questa prova
e cosa scegliamo di fare con essa.»
(John Waters)
Quale sia il percorso logico-argomentativo che conduce alla prova dei fatti e come tale prova, una volta conseguita, debba essere valutata. In altri termini, per dirla con lo scrittore e giornalista irlandese citato in epigrafe, cosa scegliamo di fare con essa[1].
Questi i quesiti su cui ci pare di poter dire che sia incentrata la Decisione n. 5909 del 16 maggio 2024 del Collegio di Bologna dell’Arbitro Bancario Finanziario. La questione, da cui la pronuncia trae origine, è la richiesta, da parte di clientela, di vedersi integralmente rimborsato un prelevamento effettuato presso un apparato ATM dell’intermediario, conclusosi con il furto della somma prelevata (furto, consumato nell’immediatezza del prelevamento medesimo).
Ebbene, sottolinea il Collegio decidente, che “l’operazione contestata è stata posta in essere sotto il vigore del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11[2], come modificato dal d.lgs. 15 dicembre 2017, n. 218[3] di recepimento della direttiva (UE) 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (c.d. PSD 2)”. Pertanto, la fattispecie “comporta l’esame di due distinti profili, di cui il primo riveste carattere assorbente rispetto al secondo: ossia, se l’intermediario abbia dato la prova prescritta dall’art. 10, 1° co., d.lgs 11/2010, in base al quale «Qualora l’utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento già eseguita o sostenga che questa non sia stata correttamente eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l’operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti»”.
Di tutta evidenza, nel caso di specie, si assiste a un’inversione dell’onere della prova compendiato nel celebre brocardo “onus probandi ei incubit qui dicit, non qui negat”. È l’utente dei servizi di pagamento a negare di aver autorizzato un’operazione. Pertanto, a norma dell’art. 2697 cod. civ[4], all’utente spetterebbe dimostrare che l’operazione non sia stata autorizzata. Tuttavia, in siffatto caso, il legislatore – in ossequio a un superiore principio di allocazione del rischio in capo alla parte “più forte” del rapporto (l’intermediario) – ha ritenuto di “spostare” l’onere della prova sul soggetto che potrebbe, ove si applicasse la regola generale, limitarsi a tacere attendendo che sia chi avanza la richiesta (il cliente) a dover dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa. “Il principio in esame – ed è il medesimo Collegio bolognese a sottolinearlo – presuppone infatti una inversione dell’onere della prova a carico dell’intermediario, il quale deve anzitutto dimostrare la correttezza formale di ogni operazione contestata per poter andare indenne da colpa (e, pertanto, evitare di essere condannato alla restituzione delle somme). Si tratta, evidentemente, di una tendenziale (ma non assoluta) allocazione del rischio a carico della parte contrattualmente più forte. Solo in caso tale prova venga puntualmente fornita viene dunque in rilievo il secondo profilo, consistente nella prova della negligenza e colpa grave del cliente”. Il Collegio di coordinamento dell’ABF con propria Decisione n. 22745 del 10 ottobre 2019 ha, del pari, evidenziato che “la nuova disposizione sull’onere probatorio di cui al comma 2 dell’art.10 va a potenziare la tutela dell’utente il quale, nell’utilizzo degli strumenti di pagamento, può restare vittima di attività fraudolente che, allo stato delle conoscenze tecnologiche, possono prevalere sui presidi di sicurezza approntati dal PSP, senza che al comportamento dell’utilizzatore possa riconoscersi alcuna efficienza causale (o quanto meno non determinante) nella produzione del fatto illecito”. Ed ancora che “l’utente può disconoscere un’operazione anche quando il processo di pagamento si sia svolto in modo formalmente regolare. E in effetti, ad esempio, la corretta validazione delle “credenziali utente” non accerta se queste siano state apposte da un hacker o effettivamente dal cliente. Il che consente di concludere, in conformità all’attuale disposto dell’art. 10 del d. lgs. n.11/2010, che la semplice produzione in giudizio del “log informatico” relativo all’operazione contestata non è sufficiente perché possa considerarsi assolto l’onere probatorio posto a carico dell’intermediario ai sensi del comma 2 della norma, richiedendosi che il PSP alleghi specifiche deduzioni su fatti e circostanze riguardanti la fase esecutiva dell’operazione stessa in modo da consentire al Collegio di accertare l’eventuale responsabilità dell’utente nel compimento dell’operazione contestata […] Si osserva che l’onere probatorio previsto nei commi 1 e 2 dell’art.10 del decreto deve necessariamente essere assolto dal PSP con riguardo ad ambedue i profili (autenticazione ed esecuzione delle operazioni di pagamento, nonché colpa grave dell’utilizzatore), da ritenersi necessari e complementari. Pertanto, in base alle considerazioni sopra illustrate, il Collegio giudicante non potrebbe desumere la sussistenza della frode, del dolo o della colpa grave dell’utente soltanto dalla prova della “regolarità formale” dell’operazione. Ne consegue che, nel caso in cui l’intermediario si limiti a produrre semplicemente il “log informatico” relativo all’operazione contestata, senza altra allegazione diretta a comprovare, in via presuntiva, l’apporto causale del ricorrente nel compimento dell’operazione stessa, senza condizionamenti, interferenze, deviazioni, hacker o altre anomalie risultanti dai sistemi antifrode o comunque dai dati conoscitivi in suo possesso, il Collegio dovrà ritenere non assolto l’onere probatorio ai sensi dell’art. 10, comma 2 del decreto e conseguentemente accogliere il ricorso”.
Il richiamato Collegio di coordinamento enuncia, quindi, il seguente principio di diritto: “la previsione di cui all’art. 10, comma 2, del d. lgs. n.11/2010 in ordine all’onere posto a carico del PSP della prova della frode, del dolo o della colpa grave dell’utilizzatore, va interpretato nel senso che la produzione documentale volta a provare l’”autenticazione” e la formale regolarità dell’operazione contestata non soddisfa, di per sé, l’onere probatorio, essendo necessario che l’intermediario provveda specificamente a indicare una serie di elementi di fatto che caratterizzano le modalità esecutive dell’operazione dai quali possa trarsi la prova, in via presuntiva, della colpa grave dell’utente”.
Pertanto, nei casi della specie, l’onere probatorio che incombe sull’intermediario va assolto sotto un duplice profilo:
- l’uno di carattere formale consistente nella prova che l’operazione di pagamento sia stata regolarmente autorizzata (restando alla fattispecie esaminata, con utilizzo dello strumento di pagamento e corretta spendita delle credenziali ovvero con la digitazione del PIN);
- l’altro (che finisce per essere assorbente rispetto al primo) di natura sostanziale relativo alle modalità di concreta esecuzione dell’operazione medesima da cui, e sia pure presuntivamente, possa desumersi il convincimento della colpa grave dell’utente.
Facendo governo di tali principi, il Collegio bolognese perviene alla conclusione che il ricorso della cliente non possa essere accolto. L’intermediario, difatti, ha fornito la prova che l’operazione di prelevamento sia stata correttamente eseguita con digitazione del PIN e che, solo successivamente, all’esecuzione dell’operazione medesima si sia consumato l’evento dannoso consistente nel furto con destrezza della somma prelevata di cui la clientela è rimasta vittima. Se va dunque, considerato assolto l’onere probatorio da parte dell’intermediario rispetto al primo dei due aspetti sopra evidenziati (quello di natura formale, per l’appunto), non di meno va valutato (sotto il secondo profilo di natura sostanziale) che “risulta particolarmente significativo il fatto che la ricorrente abbia sin dal primo momento rilevato la presenza di un estraneo presumibilmente malintenzionato mentre effettuava l’operazione, ma nonostante ciò abbia proceduto con la stessa, esponendosi al furto. In altri termini, ove avesse diligentemente e prudentemente operato, la ricorrente avrebbe dovuto uscire immediatamente dai locali, una volta avvedutasi di essere stata fatta oggetto di un palese tentativo di compimento di un reato”.
La pronuncia del Collegio felsineo ha l’indubbio pregio di affrontare la questione, posta al suo giudizio, operando una rigorosa ricostruzione della normativa regolante la fattispecie concreta e dei principi su di essa elaborati dalla giurisprudenza arbitrale. Una puntuale disamina che ha il merito di ridurre a sistema, in maniera quasi didascalica (verrebbe fatto di dire), norme e principi.
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[1] Le opinioni e i pareri contenuti nel presente scritto sono da attribuirsi esclusivamente all’autore e non rappresentano, in alcun modo, posizione e convincimenti dell’Istituto di appartenenza.
[2] Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 11. Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE. (GU n.36 del 13-02-2010 – Suppl. Ordinario n. 29).
[3] Decreto Legislativo 15 dicembre 2017, n. 18. Recepimento della direttiva (UE) 2015/2366 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE, nonché adeguamento delle disposizioni interne al regolamento (UE) n. 751/2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta. (GU n.10 del 13-01-2018).
[4] Art. 2697 cod. civ. “Onere della prova”: 1. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. 2. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.
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