App. Napoli, Sez. III, 30 settembre 2023, n. 4317.
Esclusa la nullità totale della fideiussione, la rilevabilità d’ufficio della nullità relativa, che la parte appellante ha sollecitato con il terzo motivo di gravame, è subordinata alla circostanza che essa emerga dai fatti allegati e provati o, comunque, dagli atti di causa.
Ebbene, sotto tale profilo, la Corte territoriale napoletana rileva come la produzione del noto provvedimento di Banca d’Italia n. 55/2005, con il quale si è acclarata la natura anticoncorrenziale dello schema ABI, risulta nel caso di specie priva di decisività; invero, la produzione in giudizio del documento de quo non fornisce di per sé prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza, dal momento che la stipulazione della garanzia fideiussoria è intervenuta a distanza di anni da quel provvedimento, relativo a una fase temporale conclusasi nel maggio del 2005.
La specifica vicenda contrattuale dà, consequenzialmente, origine a un giudizio, nel quale l’attore, chiamato a comprovare i fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, perché un simile accertamento o manca del tutto o, alternativamente, pur essendoci, riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica dell’attore. Parte attrice è, infatti, onerata dell’allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra i quali rientra quello della perdurante esistenza di un’intesa illecita all’epoca della sottoscrizione del contratto di fideiussione per cui è causa.
In tal senso, la Suprema Corte ha ritenuto coperte dell’accertamento antitrust le condotte precedenti al maggio 2005[1], secondo gli ordinari criteri di giudizio, giacché l’istruttoria e le conseguenti determinazioni della Banca d’Italia hanno coperto l’arco temporale precedente al provvedimento finale n. 55 del 22 maggio 2005. Al contempo, è stato ritenuto, altresì, che la presunzione circa la sussistenza dell’illecito operasse anche per condotte di poco successive all’adozione del provvedimento dell’Autorità[2].
Il caso di specie si disallinea, per contro, rispetto a questi orientamenti precedenti, dal momento che la sottoscrizione è avvenuta a oltre quattro anni di distanza dall’accertamento della Banca d’Italia: circostanza che imporrebbe di effettuare in concreto un’attività istruttoria circa la persistenza dell’illecita intesa, lesiva della concorrenza, nel mercato nazionale. In altri termini, l’opponente ha omesso di fornire riscontro probatorio idoneo a dimostrare che nel 2009 un numero significativo di istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, ha coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione omnibus, in modo da privare quella stessa clientela del diritto a una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza.
Del resto, conformemente al disposto dell’art. 1419 c.c., «la nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende, pertanto, all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo ove l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità»[3]. L’estensione della nullità all’intero contratto ha portata eccezionale ed è a carico di chi ha interesse a far cadere del tutto l’assetto di interessi programmato fornire la prova dell’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla.
Nel caso concreto, si può ritenere, in mancanza di rigorosa allegazione e prova del contrario, che il fideiussore avrebbe in ogni caso prestato la garanzia, anche senza le clausole anzidette, dovendosi ritenere portatore di un interesse economico al finanziamento bancario, che spiega, appunto, il consenso alla prestazione di garanzia. L’opponente, infatti, ha precisato le proprie conclusioni, insistendo nella richiesta di declaratoria di nullità del contratto di fideiussione, denunciando, tuttavia, il vizio che avrebbe attinto le sole clausole di sopravvivenza, reviviscenza e deroga al 1957 c.c., con l’ulteriore precisazione che il Giudice avrebbe l’obbligo di rilevare d’ufficio l’esistenza di una causa di nullità negoziale di natura speciale o di protezione.
Al riguardo, la Suprema Corte[4] ha affermato che «il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale. E tuttavia, qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo». Ciò posto, il Collegio non potrebbe dichiarare d’ufficio la parziale nullità del contratto, andando al di là dei limiti della domanda formulata dalla parte; tanto più che, nel caso di specie, non è neppure evincibile dal tenore delle difese dell’appellante, anche solo a livello di allegazione, la circostanza che egli abbia interesse a una pronuncia che dichiari il contratto parzialmente nullo, non avendo lo stesso speso alcun argomento al riguardo.
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[1] Cfr. Cass. n. 29810/2017.
[2] Cfr. Cass. n. 21978/2019, con riferimento a contratto sottoscritto nel dicembre 2005.
[3] Cfr. Cass. n. 2314/2016.
[4] Il riferimento è a Cass. Civ., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994.
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Info sull'autore
Associato dello Studio Legale "Greco Gigante & Partners" (https://studiolegalegrecogigante.it/). Cultore della materia di Diritto Privato e di Diritto del Risparmio, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento. Contatti: 0832305597 - a.zurlo@studiolegalegrecogigante.it