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Nota a Trib. Santa Maria Capua Vetere, 30 marzo 2022.

di Valerio Maria Pennetta

 

 

 

 

«Il piano di ammortamento “alla francese”, si caratterizza per un regime di pagamento secondo il criterio cd. della rata in regime composto, nel quale non si verifica alcun fenomeno anatocistico, con conseguente esclusione dell’applicazione dell’art. 1283c.c.»

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Con sentenza del 30 marzo, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha dato seguito all’orientamento giurisprudenziale maggioritario che ritiene il piano di ammortamento c.d. “alla francese” compatibile con la disposizione prevista dall’art. 1283 c.c. in tema di (divieto di) anatocismo.

Il piano di ammortamento alla francese, vista la larga diffusione sul mercato creditizio italiano, ha da sempre suscitato l’interesse dei giuristi, i quali ravvisavano la possibilità (rectius il pericolo) che una simile pattuizione potesse costituire un modo per “aggirare” il divieto di anatocismo previsto dall’art. 1283 c.c.

Come è ben noto, infatti, il piano di ammortamento[1], nella sua formulazione “alla francese”, prevede che il debitore rientri dalla propria esposizione debitoria mediante la corresponsione periodica di una rata costante (in ciò si differenzia dal piano di ammortamento c.d. alla italiana, che invece è a rata variabile), comprensiva di quota capitale (la cui incidenza rispetto al totale della singola rata aumenta nel tempo) e quota di interessi (che, al contrario, si riduce a seguito del rimborso del capitale).

Tale meccanismo, secondo la giurisprudenza minoritaria[2], determinerebbe anatocismo in quanto gli interessi riferiti alla singola rata sarebbero calcolati sia sul capitale che sugli interessi dei periodi precedenti (c.d. interesse “composto”; questo giustificherebbe l’incidenza ascendente degli interessi sulla singola rata), rendendo peraltro la pattuizione sulla remunerazione del professionista nulla in quanto indeterminata, con conseguente applicazione dell’art. 120, comma 7, TUB.

Senonché, come ribadito dalla pronuncia in commento, l’orientamento sopra brevemente richiamato trae origine dal non condivisibile assunto secondo cui la quota di interesse addebitata al Cliente con la singola rata sarebbe calcolata (anche, ma non solo) sugli interessi da questi già corrisposti con i versamenti precedenti, così facendo maturare, su questi ultimi, ulteriori interessi (anatocistici).

A ben vedere, infatti, nel piano di ammortamento alla francese gli interessi del periodo sono calcolati sul solo capitale residuo (i.e. il debito non ancora restituito).

In definitiva, è condivisibile la posizione assunta dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere nella parte in cui afferma che «l’interesse [non produce mai] altro interesse, non venendo accumulato al capitale ma, tramite pagamenti periodici, viene scisso dal capitale, quest’ultimo solo, per sua natura, produttivo di interessi» (così la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere[3]).

Altro aspetto affrontato dalla sentenza in commento è quello relativo alla inclusione, o meno, della commissione di estinzione anticipata del mutuo dal calcolo della eventuale usurarietà del tasso di interesse applicato dall’istituto di credito.

In proposito, è opportuno rilevare che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere esclude la commissione di estinzione anticipata dal calcolo del TEG in quanto «le penali a carico del cliente previste in caso di estinzione anticipata del rapporto […] laddove consentite, sono da ritenersi meramente eventuali».

Al di là della decisione in sé[4], è opportuno rilevare che la motivazione addotta dal Tribunale fa da eco all’orientamento giurisprudenziale (invero soggetto a numerose critiche) che escludeva la rilevanza degli interessi moratori ai fini della valutazione dell’usurarietà contrattuale proprio in quanto questi (così come, si aggiunge, la commissione di estinzione anticipata) sono dovuti dal mutuatario solo al verificarsi di un determinato evento, riconducibile esclusivamente a quest’ultimo: nell’un caso l’inadempimento, nell’altro la decisione di estinguere anticipatamente il mutuo.

Conseguenza dell’applicazione del principio di cui sopra, è che «In ogni caso, anche qualora la si ritenesse rilevante ai fini dell’art. 1815 c.c., la sua mera promessa è insufficiente per valutarne l’usurarietà e potrebbe assumere rilevanza solo se realmente applicata. In tal senso, sarebbe perciò onere del cliente provare che è stato pattuito un tasso effettivo globale inferiore al limite legale (art. 2 L. 7.3.1996 n. 108) si è evoluto in usurario per l’applicazione della penale».

Sebbene sugli interessi di mora la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 19597/2020[5]) ha assunto una posizione definitiva[6], è interessante osservare come la ratio dalla base del precedente e (apparentemente) superato orientamento “serpeggi” ancora tra i Giudici di merito, sebbene in contesti differenti (ma non troppo).

 

 

Qui la sentenza. 

[1] Che consiste, in sostanza, in un programma di restituzione rateale di un debito.

[2] Cfr., da ultimo Trib. Cremona, sentenza n. 8/2022.

[3] In senso conforme: Trib. Frosinone 30 marzo 2021; Trib. Roma 8 febbraio 2021; Trib. Padova 7 settembre 2021. Inoltre: ABF Bari n. 12533/2020.

[4] Il tema è fortemente discusso in giurisprudenza. In senso contrario alla sentenza in commento, si v. Tribunale di Chieti n. 58 del 4 febbraio 2022.

[5] V. A. Zurlo, Sezioni Unite Civili – Interessi moratori e usura, in questa Rivista: https://www.dirittodelrisparmio.it/2020/09/18/sezioni-unite-civili-interessi-moratori-e-usura/

[6] Per un approfondimento sul punto, si v. M. Lecci, Disciplina civilistica dell’usura bancari tra normativa e giurisprudenza, in F. Greco (a cura di), Manuale di Diritto del Risparmio, Lecce, Pensa Multimedia, 2021, seconda edizione.

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