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Nota a Trib. Verona, Sez. III, 14 dicembre 2021.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

 

Con la recentissima sentenza in oggetto, il Tribunale veronese si esprime sulla inveterata questione della legittimità della cessionaria, ex art. 58 TUB, e sulla prova della cessione, nonché sulla nullità di un’apertura di credito revolving, poiché promossa da un concessionario non autorizzato all’attività finanziaria.

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Sulla titolarità della cessionaria e sulla prova della cessione.

L’eccezione, per come formulata, è ritenuta infondata dal giudice veronese, che, sul punto, osserva come sia indubbio che l’effetto traslativo della cessione di credito si abbia con la conclusione del contratto di cessione (in virtù del principio del consenso traslativo, ai sensi dell’art. 1376 c.c.), mentre la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, prevista dall’art. 58 TUB per le cessioni in blocco, abbia solo funzione di rendere (in deroga all’art. 1264 c.c.) noto ai debitori ceduti la cessione (e, quindi, inopponibile al cessionario, il pagamento eventualmente fatto dal debitore ceduto, dopo la pubblicazione dell’informativa della cessione, al cedente). Ciò premesso, la pubblicazione dell’estratto della cessione in Gazzetta Ufficiale non è, quindi, configurabile alla stregua di un atto traslativo, né, tantomeno, di un adempimento produttivo dell’effetto traslativo e, pertanto, non può essere il titolo fondativo del diritto del cessionario del credito. È, per contro, soltanto un adempimento pubblicitario, previsto dalla norma speciale, con la chiara finalità di semplificare le modalità di comunicazione agli interessati dell’operazione bancaria di cessione dei crediti.

Poiché il contratto di cessione dei crediti in blocco non è sottoposto ad alcun requisito formale a pena di invalidità dell’atto, l’esistenza può essere comprovata in giudizio con qualunque mezzo, inclusa la produzione dell’estratto della Gazzetta Ufficiale, che, come evidenziato, ha la precipua funzione di rendere nota (alla collettività e, segnatamente, ai debitori ceduti) l’esistenza del negozio di cessione e il suo oggetto (onde informare il debitore dell’intervenuta novazione soggettiva dal lato attivo del rapporto obbligatorio e, consequenzialmente, impedire pagamenti a chi, essendosi spogliato del credito, non sia più legittimato a riceverli).

Se dall’informativa in Gazzetta Ufficiale sono chiaramente evincibili non soltanto l’esistenza del contratto di cessione e le parti contraenti, ma anche i crediti ricompresi nella cessione (e, dunque, l’oggetto dello stesso contratto), la produzione di tale avviso deve reputarsi idonea a comprovare la legittimazione attiva di colui che agisce in giudizio in veste di cessionario del credito, essendo superflua, in quanto eccedente rispetto al fine, la produzione del contratto di cessione.

È, poi, del tutto connaturato all’oggetto del contratto di cessione di crediti, ex art. 58 TUB, che il suo contenuto (e, dunque, il perimetro dei crediti ricompresi nell’atto traslativo) possa essere individuato non soltanto nominativamente (elencando, cioè, i rapporti ceduti dal cedente al cessionario uno per uno eventualmente tramite riferimento ai codici identificativi del rapporto), ma anche per relationem, con una serie di crediti che abbiano caratteristiche omogenee sufficientemente precise e univoche, tali da poter essere considerati come rientranti nell’oggetto del contratto. Tali conclusioni sono state avallate da quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, per cui «va comunque osservato – con diretto e immediato riferimento alla dimostrazione della legittimazione del soggetto istante per la partecipazione al passivo fallimentare – che la norma dell’art. 58, comma 2 TUB, se non impone che un contenuto informativo minimo, consente tuttavia che la comunicazione relativa alla cessio[1]ne da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie. Con la conseguenza, assunta questa diversa prospettiva, che – qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell’oggetto e contenuto contrattuali ex art. 1346 c.c.), sui crediti inclusi/esclusi dall’ambito della cessione – detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il “prudente apprezzamento” del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito (per questa linea si confronti, in particolare, la pronuncia di Cass., 13 giugno 2019, n. 15884).»[1]. Ciò che rileva al fine di comprovare la titolarità del credito in capo al cessionario è soltanto che l’oggetto del contratto sia individuato nel testo del negozio giuridico, o nel suo estratto per sintesi pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in modo determinato o anche solo univocamente determinabile.

Nel caso di specie, a giudizio del Tribunale veronese, tali presupposti sono fattivamente rinvenibili. Invero, nell’estratto della Gazzetta Ufficiale prodotto dalla convenuta, i crediti oggetto dell’atto di trasferimento erano stati individuati sulla base di precisi criteri; segnatamente:

a) che traessero origine da rapporti di credito al consumo finalizzati all’acquisto di determinati beni e/o servizi oppure rapporti di credito personale oppure ancora rapporti di credito di tipo revolving (con o senza emissione di carta di credito ad essi accessoria), in ciascun caso sottoscritti dal Cedente;

b) fossero vantati nei confronti di almeno una persona fisica residente in Italia oppure nella Repubblica di San Marino al momento della sottoscrizione dei relativi contratti di credito;

c) fosse stata dichiarata da parte del Cedente la decadenza del debitore dei Crediti dal beneficio del termine, ovvero il relativo debitore fosse stato costituito in mora per il mancato pagamento dei crediti medesimi prima del 30 novembre 2013;

d) fossero stati denominati in Euro;

e) i relativi contratti di credito fossero stati regolati dalla legge italiana;

f) i relativi contratti di credito non richiedessero la prestazione del consenso, da parte del debitore, alla cessione dei crediti da essi derivanti.

Non pare esservi dubbio che il credito della società finanziatrice avesse tutte le predette caratteristiche.

 

Sulla nullità dell’apertura di credito revolving.

Il giudice veronese reputa fondato il rilievo di nullità della clausola che aveva previsto il rilascio della carta revolving a favore dell’attore e integrante un autonomo e distinto contratto rispetto a quello di finanziamento, per contrasto con le norme sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari (art. 3, comma 1, d.lgs. 374/1999, vigente alla data della stipula del finanziamento).

Nella specie, parte convenuta non ha contestato che il contratto di finanziamento, in cui tale clausola era stata inserita, fosse stato stipulato tramite il concessionario dal quale l’attore aveva acquistato l’autovettura. È evidente, quindi, che era stato lo stesso concessionario a promuovere la conclusione della apertura di credito, mediante rilascio di carta revolving e a raccogliere l’adesione a quella proposta sul modulo; tale attività contrasta con il disposto dell’art. art. 3, comma 1, d.lgs. 374/1999, vigente all’epoca dei fatti, che riservava l’esercizio professionale nei confronti del pubblico dell’agenzia in attività finanziaria, indicata nell’articolo 1, comma 1, lettera n), ai soggetti iscritti in un elenco istituito presso l’UIC. Tale disposizione vietava proprio l’attività di promozione da parte di soggetti non autorizzati, cosicché è del tutto irrilevante che il contratto fosse stato, poi, concluso con un soggetto abilitato all’esecuzione dell’attività di finanziamento.

È premura del Tribunale evidenziare che la Comunicazione di Banca d’Italia, n. 313116 del 20 aprile 2010, sebbene successiva alla data della conclusione del contratto per cui è causa, vale tuttavia a confermare la predetta interpretazione, poiché ha chiarito che la suddetta regola può essere derogata solo per la promozione e la conclusione, da parte di fornitori di beni e servizi, di contratti di finanziamento unicamente per l’acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con intermediari finanziari (credito finalizzato), nel cui ambito non è ricompresa l’attività di promozione e conclusione di contratti di credito revolving poiché esso non configura un credito finalizzato.

Poiché il contratto attenzionato è stato concluso a seguito di un’attività di promozione vietata al concessionario d’auto, deve ritenersi nullo per contrarietà a una norma imperativa, in applicazione del medesimo principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con riguardo ai contratti d’intermediazione mobiliare, posti in essere da un soggetto non autorizzato[2].

In punto di conseguenze dell’accertata nullità del finanziamento revolving, parte attrice ha ammesso che, per effetto di essa, sarebbe tenuto a restituire l’importo ricevuto a titolo di capitale; su questo, alla convenuta spetterebbero anche gli interessi, non già al tasso d’interesse previsto in un contratto dichiarato nullo, bensì al tasso legale, ex art. 1284, comma 3, c.c. (quale corrispettivo minimo, ex lege, per aver goduto delle somme ricevute a far data dal primo utilizzo della linea di credito). Al contempo, nel ricalcolo dei rapporti di dare/avere tra le parti, deve essere esclusa la capitalizzazione degli interessi, stante il divieto di cui all’art. 1283 c.c.

 

 

Qui la sentenza.


[1] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 28.02.2020, n. 5617.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 15.03.2001, n. 3753; Cass. 28.02.2018, n. 4760.

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