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Nota a ACF, 5 marzo 2021, n. 3516.

di Antonio Zurlo 

 

 

 

 

Con la recentissima decisione in oggetto, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) riafferma alcuni principi in tema di titoli illiquidi, violazione degli oneri informativi e valutazione di adeguatezza.

Nel caso di specie, l’Intermediario ha versato in atti due questionari MiFID, sottoscritti congiuntamente dalla ricorrente e da un altro soggetto cointestatario, che, in quanto tali, secondo consolidato orientamento arbitrale, non possono ritenersi idonei a fornire informazioni circa l’esperienza, la conoscenza e gli obiettivi di investimento dei singoli sottoscrittori, stante l’intrinseca inidoneità a registrare le differenze in termini di conoscenze, esperienze e obiettivi di investimento che con tutta probabilità esistono fra soggetti diversi.

Peraltro, anche con riferimento al contenuto, entrambi i questionari presentano elementi di incoerenza. Difatti, la risposta attinente alle acquisite competenze specifiche in ambito finanziario in forza degli studi e della professione della ricorrente collide sia con il basso titolo di studio, che con l’attività lavorativa svolta dalla medesima. Inoltre, l’analisi degli estratti del dossier titoli versati in atti dall’Intermediario permette di rilevare che la dichiarata conoscenza di strumenti finanziari complessi (quali obbligazioni convertibili, strutturate e subordinate) non risulta in alcun modo supportata da una concreta operatività posta in essere sui mercati finanziari al tempo dei fatti qui in esame.

L’Intermediario non ha, inoltre, fornito elementi atti a dimostrare di aver assolto i propri obblighi informativi, se non in modo meramente formalistico. In casi analoghi, l’ACF ha ritenuto che la mera sottoscrizione di dichiarazioni attestanti la presa visione di documentazione informativa relativa allo strumento finanziario sottoscritto sia di per sé insufficiente a far ritenere adeguatamente assolti gli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore[1].

Anche quanto alla profilatura delle azioni, l’Arbitro ritiene che l’Intermediario abbia violato i propri obblighi informativi. Infatti, parte resistente ha qualificato come a rischio “basso” l’investimento in propri titoli, che, data la natura di capitale di rischio e, soprattutto, le difficoltà di smobilizzo, presentava già a quel tempo caratteristiche di rischio sicuramente non basse. Ad avvalorare ciò rileva la circostanza che, dopo la sottoscrizione dell’investimento, il profilo di rischio di tali strumenti finanziari è variato, arrivando a essere “medio”. In casi analoghi, il Collegio ha già avuto modo di rilevare come una siffatta valutazione “non può che suscitare quantomeno forti perplessità in termini di ragionevolezza, non solo in considerazione del fatto che trattavasi, comunque, di capitale di rischio ma, e soprattutto, per la loro natura di strumenti illiquidi[2].

Da ultimo, le operazioni di investimento contestate devono considerarsi inadeguate anche in ragione dell’eccesso di concentrazione di strumenti finanziari emessi dall’Intermediario nel dossier titoli della ricorrente. Sul punto si è già avuto modo di rilevare come sia “di chiara evidenza che un dossier titoli composto per la sua interezza di titoli illiquidi è – potrebbe dirsi – di per sé strutturalmente inadeguato[3].

 

 

Qui la decisione.


[1] Cfr. ex multis ACF, 6 ottobre 2017, n. 71.

[2] V. ACF, 6 agosto 2019, n. 1797.

[3] V. ACF, 6 novembre 2020, n. 3079.