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Nota a ACF, 7 settembre 2020, n. 2865.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Con l’odierna decisione in oggetto, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) ha riaffermato:

  • l’inadeguatezza della profilatura unica, nel caso di più cointestatari del rapporto. Nel caso di specie, risultava versato in atti un unico questionario MiFID, compilato al momento del rinnovo del contratto – quadro, riferito a entrambi i titolari del rapporto, che attribuiva a questi ultimi un profilo di rischio medio e un’esperienza finanziaria media. Le risposte ivi fornite denotavano un obiettivo di investimento prudente, segnatamente volto a “Proteggere nel tempo il capitale investito e ricevere flussi di cassa periodici (cedole dividendi) anche contenuti costanti e prevedibili”, nonché una disponibilità a sopportare perdite riguardanti “solo una piccola parte del mio/nostro capitale investito”: circostanze ambedue incompatibili con investimenti (oltretutto, plurimi) di tipo azionario. Il Collegio rileva, peraltro, come la stessa metodologia di profilatura, seguita nel caso di specie, fosse evidentemente affetta da criticità, in quanto contestualmente riferita a due soggetti ed essendo, quindi, inidonea a rilevare, in modo specifico, le caratteristiche e le esigenze di ciascuno degli investitori. In tal guisa, viene richiamato l’orientamento arbitrale, ormai consolidato, per cui, in linea con quanto previsto dagli orientamenti ESMA del 15 giugno 2012, in materia di requisiti di adeguatezza (richiamati successivamente anche nelle linee  guida  dell’ABI del marzo 2014), in caso di rapporti cointestati, l’Intermediario, in mancanza di un diverso accordo tra i cointestatari, debba profilare ciascuno di essi separatamente e, poi, svolgere la relativa valutazione di adeguatezza o appropriatezza tenendo conto del profilo “più conservativo”[1]

 

  • Nella valutazione di adeguatezza deve rientrare anche l’accertamento di un eventuale eccesso di concentrazione di strumenti finanziari, della stessa tipologia. Nel caso oggetto di ricorso, le operazioni di investimento contestate, a giudizio dell’ACF, devono considerarsi “complessivamente inadeguate” anche in ragione dell’eccesso di concentrazione di strumenti finanziari emessi dalla Banca, nel dossier titoli dei soggetti ricorrenti. Senza soluzione di continuità con il proprio costante orientamento[2], il Collegio afferma come, a prescindere dalla qualificazione del servizio prestato, un inadempimento dell’Intermediario resistente emergesse con riferimento a tutte le operazioni complessivamente considerate, dalla concentrazione degli investimenti di parte ricorrente in titoli azionari dello stesso Intermediario e dalla mancata diversificazione del portafoglio titoli, che costituiscono indice sintomatico di una strategia d’investimento “suggerita” dal resistente, per favorire il collocamento di strumenti da esso stesso emessi, in evidente contrasto con l’interesse del cliente. Al contempo, è evidente che l’Intermediario, per adempiere al meglio il proprio incarico, avrebbe dovuto diligentemente valutare l’adeguatezza non solo delle singole operazioni, ma anche dell’investimento complessivamente effettuato da parte ricorrente, essendo “di chiara evidenza che un dossier titoli composto per la sua interezza di titoli illiquidi è – potrebbe dirsi – di per sé strutturalmente inadeguato”. In presenza di una situazione di elevata concentrazione, è obbligo dell’Intermediario non solo segnalare il livello di concentrazione (ottenendo, quindi, l’eventuale autorizzazione del cliente a eseguire, comunque, l’operazione), ma anche “sconsigliare (piuttosto che raccomandare) l’operazione, in quanto non adeguata[3]. Né può sottacersi che la corretta profilatura dello strumento si pone come necessario presupposto logico della valutazione di adeguatezza, in quanto l’Intermediario solo avendo preventivamente dato una valutazione al prodotto e, in particolare, ai rischi a questo sottesi, può valutare se lo stesso sia adatto al profilo di rischio del cliente.

 

 

 

Qui la decisione.


[1] Cfr. ACF, 9 gennaio 2019, n. 1312; ACF, 30 maggio 2019, n. 1603.

[2] V. da ultimo ACF, 2 luglio 2020, n. 2717.

[3] Cfr. ACF, 7 novembre 2019, n. 1982.