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Nota a Trib. Venezia, 15 aprile 2020, n. 674.

di Antonio Zurlo

 

 

 

 

Le circostanze fattuali.

Una società in accomandita semplice conveniva, innanzi al Tribunale di Venezia, l’Istituto di credito con cui aveva sottoscritto un contratto di mutuo, a tasso variabile, per l’importo di euro 480.000,00, nonché un contratto di Interest Rate Swap. Più nello specifico, parte attrice chiedeva l’accertamento della nullità e/o annullabilità di tale ultimo contratto, con conseguente condanna della Banca convenuta alla restituzione delle somme pagate, in esecuzione del medesimo, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. Domandava, altresì, l’accertamento della responsabilità dell’Istituto anche per fatto illecito, nonché per grave inadempimento agli obblighi contrattuali e di legge su di essa incombenti, in relazione alla nascita e alla gestione del rapporto finanziario, con conseguenti pronunce di risoluzione del contratto, di accertamento di illegittimità degli addebiti, di condanna alla restituzione e risarcimento del danno.

In relazione al contratto di mutuo, la s.a.s. chiedeva che fosse accertata la nullità, ex art.1815, secondo comma, c.c., della clausola relativa ai tassi di interesse pattuiti dalle parti e, conseguentemente, la condanna della convenuta alla restituzione di tutti gli interessi corrisposti, nonché l’accertamento che in dipendenza di tale contratto nulla fosse dovuto da parte attrice a titolo di interessi.

Si costituiva in giudizio l’Istituto, chiedendo, nel merito, in via principale, il rigetto delle domande attoree.

A giudizio del Tribunale, le domande attoree sono infondate.

 

Le operazioni in strumenti finanziari derivati: l’eventuale nullità e/o illiceità della causa.

La società attrice lamentava la nullità del contratto Interest Rate Swap per asserita violazione dell’art.21 TUF. A tal riguardo, il giudice veneto osserva che solo la norma di cui all’art. 23 TUF (prescrittiva della necessaria forma scritta per il c.d. contratto – quadro) sia norma introduttiva di un vero e proprio requisito di validità, dalla cui violazione possa derivare la nullità del contratto – quadro; di talché, non vi è margine per dichiarare la nullità dei successivi atti negoziali posti in essere sulla base ed in esecuzione del contratto quadro[1].

Essendo le doglianze attoree incentrate anche sull’asserita violazione del dovere di informazione, occorre valutare se tale inosservanza abbia effettivamente avuto luogo e se, in caso affermativo, sussista un nesso eziologico tra questa e il danno lamentato.

Al novero delle norme che stabiliscono dei veri e propri requisiti di validità (e, quindi, finalizzate a imporre all’Intermediario l’osservanza di obblighi di forma) deve senz’altro essere ricondotto l’art. 23 TUF, che prescrive, come poc’anzi rilevato, la necessaria forma scritta per il contratto – quadro. Per contro, la violazione delle norme di natura comportamentale (intendendo per tali anche quelle che regolano il compimento delle singole operazioni di investimento), concorre a dar luogo a un inadempimento contrattuale, che può giustificare solo una pronuncia risarcitoria, idonea a ristorare il cliente – investitore del nocumento patito; in tal caso, viene, infatti, in rilievo una condotta dell’Intermediario successiva alla conclusione del contratto – quadro di negoziazione, avente natura attuativa di obblighi assunti proprio all’atto della stipulazione di quest’ultimo.

La pronuncia risarcitoria presuppone la sussistenza di un nesso causale tra la violazione della norma comportamentale e il danno, che, nelle cause di intermediazione finanziaria, normalmente coincide con la perdita dell’investimento). È, perciò, necessario che il cliente dimostri specificamente l’esistenza del nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo informativo (segnatamente, omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi dell’operazione, etc.) e il danno (rectius, perdita dell’investimento). In altri termini, l’investitore deve comprovare che se avesse avuto complete informazioni da parte dell’Intermediario, avrebbe posto in essere una scelta d’investimento differente da quella, invero, effettivamente compiuta (ovverosia, dall’investimento incentivato).

Nel caso di specie, escluso che dalla violazione dell’obbligo di informazione possa derivare la nullità del contratto, può, altresì, escludersi, sulla base della documentazione versata in atti dalla Banca convenuta, che vi fosse stata un’omissione informativa, dal momento che la società attrice aveva stipulato l’Interest Rate Swap dopo aver sottoscritto l’Accordo Normativo per l’operatività in strumenti finanziari derivati OTC[2], nonché la scheda informativa, con puntuale indicazione dei dati dell’operazione e dei vantaggi e svantaggi della stessa. In particolare, tale scheda informativa evidenziava l’obiettivo, l’analisi, il funzionamento, i vantaggi e gli svantaggi dell’operazione specificando: quanto ai vantaggi, che il tasso certo consentisse al cliente di avere certezza dei flussi finanziari legati al proprio indebitamento, rendendolo indifferente all’andamento dei tassi di interesse; quanto agli svantaggi, che il tasso certo eliminasse del tutto la possibilità di beneficiare di eventuali riduzioni dei tassi di interesse. Per di più, la Banca aveva, altresì, messo a disposizione della stessa società una scheda esemplificativa contenente un esempio di operazione e, nel corso del rapporto, aveva diligentemente provveduto a inviare, con cadenza mensile, il rendiconto derivati OTC.

In senso avvalorativo, depone, inoltre, la circostanza per cui il legale rappresentante della società attrice avesse sottoscritto apposito questionario relativo all’analisi del profilo finanziario, dichiarando di conoscere le caratteristiche degli strumenti/prodotti finanziari, comprendendone principali rischi e dinamiche.

Il contratto sottoscritto da parte attrice integra uno strumento derivato assai semplice e lo scambio di tasso variabile con tasso fisso (così come è avvenuto nel caso in esame) rientra nelle operazioni di copertura, in funzione di tutela dall’oscillazione dei tassi di interesse. Ne deriva l’adeguatezza dell’operazione posta in essere dalla società rispetto al profilo finanziario delineato dal legale rappresentante della stessa.

Il Tribunale, in maniera non dissimile, esclude la nullità del contratto per difetto di causa o illiceità della stessa, alla luce del concreto assetto dei rapporti negoziali predisposto dalle parti. Non può, infatti, essere affermata l’assenza o l’illiceità della causa per mancanza di alea bilaterale, considerato che, se dopo la conclusione del contratto i tassi fossero saliti, la società attrice avrebbe percepito differenziali positivi, laddove, per converso, l’alea può dirsi insussistente solo qualora un risultato positivo per una delle parti sia impossibile. Tale valutazione deve essere compiuta ex ante e non ex post[3].

Dalla documentazione prodotta dalla Banca convenuta, si evince che l’operazione in derivati trovasse ragion d’essere nella posizione debitoria della società, titolare nei confronti dell’Istituto di un mutuo di euro 480.000,00, con piano di ammortamento; il contratto derivato aveva come nozionale lo stesso ammontare, con diminuzione secondo un piano di ammortamento. La durata tra debito sottostante e nozionale dell’Interest Rate Swap era identica. L’operazione risultava illustrata e spiegata, come sopra evidenziato, anche mediante specifica indicazione dei vantaggi e dei rischi e di appositi esempi.

Quanto all’assunto che i derivati in oggetto avessero previsto delle commissioni implicite (o costi occulti), in danno al cliente – investitore, il giudice osserva che, in linea generale, sia tratto fisiologico in ogni operazione di swap l’esistenza di un margine lordo di intermediazione implicito a favore dell’Intermediario, rinvenibile, da un lato, nelle condizioni più favorevoli che lo stesso ottiene sul mercato per concludere il contratto di segno contrario, e, dall’altro, nella copertura del rischio di credito e dei costi operativi. Tale margine lordo di intermediazione non comporta un esborso da parte del cliente in favore dell’Istituto di credito, ma consiste, in realtà, nella differenza tra il valore corrente (c.d. fair value) del contratto, al momento della sua rilevazione, e il fair value di analogo contratto stipulato, a condizioni praticate sul mercato, con soggetti terzi. La presenza di tale margine di intermediazione è, peraltro, coerente con la circostanza che sia la Banca ad assumersi il rischio dell’insolvenza del cliente e il costo di gestione dell’operazione.

Con riferimento all’oggetto della causa, dall’esame della scheda illustrativa consegnata al cliente e dallo stesso sottoscritta, emerge che l’Istituto, in ottemperanza alla normativa regolamentare, avesse correttamente indicato che il prezzo finale, applicato al cliente, fosse il risultato dell’aggregazione di prezzo teorico, costo di copertura e margine, con un’esplicita evidenziazione dell’esistenza dei costi, della natura degli stessi e del loro ammontare massimo.

Da ultimo, il giudice veneto esclude la nullità del contratto de quo per indeterminatezza dell’oggetto, in quanto il mark to market non sarebbe determinato o determinabile.

Premesso che il c.d. mark to market non costituisca un elemento essenziale del contratto di swap, in quanto si limita a esprimere il valore del derivato in un determinato periodo e, quindi, una proiezione finanziaria, nel caso in esame, secondo il Tribunale è dirimente la circostanza per cui la stessa società attrice avesse prodotto i rendiconti mensili, nei quali veniva puntualmente indicato il valore dello stesso.

Con riferimento alla richiesta di risoluzione del contratto per grave inadempimento della convenuta agli obblighi di legge e la condanna della stessa al risarcimento del danno, parte attrice avrebbe pertanto dovuto allegare e comprovare (oltre all’asserita violazione), anche la sussistenza di un nesso causale tra la violazione della norma comportamentale e il danno. Non dissimilmente, la società non ha offerto adeguata allegazione relativamente all’asserita sussistenza di un vizio del consenso (e del dolo), tale da condurre all’annullamento del contratto, né, tantomeno, sull’effettiva riconoscibilità, da parte della Banca, dell’errore essenziale, considerato, peraltro, il profilo sottoscritto dal legale rappresentante della società attrice.

 

Il contratto di mutuo e la previsione di una penale per estinzione anticipata.

Con riferimento al contratto di mutuo, società attrice eccepiva l’usurarietà, incentrando il proprio assunto sulla previsione contrattuale di una penale di estinzione anticipata.

È documentale che né il tasso corrispettivo né quello di mora pattuiti superino il tasso soglia previsto per i mutui a tasso variabile per il periodo di stipula.

La previsione di una penale per estinzione anticipata non rileva ai fini del calcolo dell’usura, non costituendo un costo collegato all’erogazione del credito, ma dovendo essere, per contro, qualificata come pattuizione del tutto accidentale ed eventuale, che individua un corrispettivo per il recesso dal contratto.

L’applicazione della clausola penale per estinzione anticipata discende da una scelta unilaterale del mutuatario, il quale decide di sciogliersi anticipatamente dal vincolo contrattuale e svolge, in quanto tale, una funzione indennitaria per il mutuante, per la perdita del lucro che subisce in relazione al mancato introito degli interessi pattuiti. Gli interessi, contrariamente, sia corrispettivi che moratori, sono sempre correlati all’erogazione del credito e al godimento del denaro (sebbene gli ultimi vengano applicati solo in caso di inadempimento).

La penale si distingue inoltre dagli altri costi ricollegati all’erogazione del credito (quali potrebbero essere le spese di istruttoria o l’assicurazione obbligatoria), il cui sorgere è necessario e correlato alla stessa stipula del contratto.

In definitiva, il Tribunale non giudica meritevoli di accoglimento le domande attoree, in quanto incentrate sulla circostanza che il contratto di mutuo prevedesse una penale per estinzione anticipata, non rilevante ai fini dell’usura (non essendo costo del denaro), neppure in concreto (perché qualora la sua applicazione determinasse il superamento del tasso si verificherebbe un’usura sopravvenuta, irrilevante secondo il più recente orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità)[4].

 

 

 

Qui il testo integrale della sentenza.


[1] V. Cass. Civ., Sez. Un., 2007, nn. 26724 – 26725, con nota di G. Nappi, Le sezioni unite su regole di validità, regole di comportamento e doveri informativi, in Giustizia Civile, fasc. 5, 2008, 1189. V anche S. Corradi, Brevi riflessioni sui profili probatori e risarcitori in tema di responsabilità da inadempimento dell’intermediario finanziario, in Banca borsa tit. cred., 6, 2010, 717; T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite, in Giustizia Civile, fasc. 12, 2008, 2785; F. Bruno – A. Rozzi, Le Sezioni Unite sciolgono i dubbi sugli effetti della violazione degli obblighi di informazione, in Giurisprudenza Commerciale, fasc. 3, 2008, 604.

[2] Per un approfondimento, A. Zurlo, Obblighi informativi e derivati OTC: necessità di un’informazione dettagliata e puntuale, in Diritto Bancario, giugno 2017, http://www.dirittobancario.it/spunti-dall-abf/trasparenza/obblighi-informativi-e-derivati-otc-necessita-di-un-informazione-dettagliata-e-puntuale.

[3] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 18 marzo 2019, n.7574, in dejure.it.

[4] V. Cass. Civ., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675, già annotata in questa Rivista, con commento di A. Zurlo, Usura sopravvenuta e cumulabilità degli interessi: rilievi critici alle recenti pronunce della Cassazione, 29 novembre 2017, https://www.dirittodelrisparmio.it/2017/11/29/usura-sopravvenuta-e-cumulabilita-degli-interessi-rilievi-critici-alle-recenti-pronunce-della-cassazione-antonio-zurlo/.