Nota a App. Lecce, Sez. I, 9 maggio 2024.
Segnalazione a cura dell'Avv. Tommaso Onesimo.
Massima redazionale
Nel caso di specie, l’appellante principale censura la sentenza impugnata per avere il primo giudice recepito l’ipotesi contabile che rilevava le rimesse solutorie sui conti correnti rielaborati, anziché sulle evidenze risultanti dagli estratti conto. In altri termini, la doglianza impone di stabilire quale saldo contabile (saldo banca o saldo rettificato) debba utilizzarsi per la ricerca e la individuazione delle rimesse solutorie[1].
La Corte territoriale ricorda i princìpi sanciti dalla nota sentenza resa dalle Sezioni Unite[2], in tema di ripetizione e prescrizione degli indebiti pagamenti effettuati in un rapporto bancario di conto corrente. Quella pronuncia, dopo aver fatto riferimento alla natura del contratto di apertura di credito bancario ed al suo funzionamento, ha stabilito che il discrimine tra le rimesse solutorie e quelle ripristinatorie, al fine di capire quali potranno essere considerate alla stregua di pagamenti (tali da poter formare oggetto di ripetizione ove siano indebiti), va ricercato nella presenza, o meno, di capitale liquido ed esigibile. In particolare, quando la banca acconsente ad un temporaneo sconfinamento della somma di denaro messa a disposizione (capitale erogato “oltre fido”), il credito che ne deriva risulta liquido ed esigibile nell’immediato, in quanto, in tal modo, esula dalla funzione propria del contratto di apertura di credito. Solo in questa particolare rappresentazione contabile, i versamenti effettuati dal correntista che coprono il capitale concesso “extra fido” (e le pertinenze ad esso riferite) possono essere considerati come rimesse solutorie e, quindi, pagamenti di un credito liquido ed esigibile. Non altrettanto è a dirsi, invece, nelle ipotesi dei versamenti in conto, in quanto la loro sola funzione è quella di ripristinare la disponibilità della provvista di cui l’accreditato può continuare a godere, divenendo liquidi ed esigibili solamente alla chiusura del rapporto contrattuale di conto corrente.
Orbene, l’applicazione ai casi concreti dei menzionati princìpi per la ricostruzione contabile del conto corrente bancario, al fine di individuare la natura delle rimesse effettuate dal correntista, ha posto l’ulteriore problema di quale “saldo” tenere in considerazione e, pertanto, se utilizzare come riferimento il “saldo banca” che offre una ricostruzione delle operazioni contabili così come si sono susseguite nel tempo oppure il “saldo rettificato” epurato dalle annotazioni illegittime effettuate dall’istituto di credito. Proprio su tale particolare quesito, negli anni successivi alla suddetta decisione, si è sviluppato un ampio dibattito tra sostenitori della validità del c.d. “saldo banca” e fautori, invece, del c.d. “saldo rettificato”.
Come spiegato dalla dottrina, il primo di tali orientamenti considera rimesse solutorie tutte quelle che risultano coprire il capitale extra fido nel momento in cui sono state effettuate e, quindi, in base al rapporto pro tempore vigente. Tale conclusione viene supportata dalla considerazione che, utilizzando il c.d. “saldo rettificato”, si finirebbe per eludere il disposto dell’articolo 1422 c.c., a tenore del quale “l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione”. Alteris verbis, la nullità delle clausole alla base delle somme illegittimamente addebitate in conto è imprescrittibile, essendosi al cospetto di un’azione di mero accertamento, ma sono fatti salvi gli effetti della prescrizione delle azioni di ripetizione. La stessa conclusione è rinvenibile anche dal fatto che un pagamento, in quanto “atto dovuto”, rimane tale pure se adempiuto come conseguenza di un atto nullo; per cui un versamento con funzione di pagamento su un conto scoperto, anche se il saldo è conseguenza di annotazioni illegittime apposte dalla banca, mantiene la sua natura di pagamento. Inoltre, individuando le operazioni extra-fido facendo riferimento al saldo ricalcolato, non si darebbe pressoché mai ripetizione per oneri illegittimamente pretesi. Invero, in un conto corrente assistito da apertura di credito, sarebbe sostanzialmente irrilevante qualsiasi pagamento destinato a riportare nei limiti dell’affidamento il passivo di conto, a meno che il debito del correntista non sia costituito interamente solo da interessi e commissioni non dovute. Dall’altra parte, se dal ricalcolo del saldo emerge che un certo versamento non avrebbe potuto avere l’effetto solutorio evidenziato dall’estratto conto (perché, per esempio, eliminati gli addebiti non dovuti, il passivo del conto sarebbe rimasto entro i limiti dell’affidamento), allora il versamento ha natura solutoria proprio e necessariamente in quanto riferito agli addebiti non dovuti.
L’altro orientamento, per converso, considera evidente e consequenziale che se il contratto di conto corrente è viziato da nullità delle annotazioni in esso presenti, anche l’estratto conto presenterà dei saldi viziati inidonei a definire la natura delle rimesse effettuate dal correntista. Pertanto, non si può fare affidamento su quelle che sono le risultanze finali offerte dalla banca, in quanto sono basate su clausole contrattuali e prassi contabili contrarie a norme imperative ed inderogabili, creando, così, una realtà contabile solo apparente e virtuale. Seguendo tale impostazione, quindi, per riscontrare se i singoli versamenti abbiano avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre effettuare una ricostruzione contabile del conto corrente depurandolo da tutti gli addebiti, indebitamente ascritti dalla banca, conseguenti a clausole e prassi nulle ed inefficaci.
L’opzione in favore dell’uno o dell’altro dei descritti orientamenti, per la valutazione solutoria o ripristinatoria di una rimessa, risulta essere assolutamente rilevante nelle controversie vertenti su un rapporto di conto corrente affidato o comunque scoperto, posto che i risvolti pratici ai fini dei risultati di calcolo, consequenziali alle operazioni peritali, possono presentare sensibili divari sul quantum ottenibile con la domanda di ripetizione di indebito del correntista.
In effetti, optare per l’utilizzo del saldo epurato dalle indebite annotazioni della banca può portare a considerare ripristinatoria una rimessa che, invece, è valutata dalle risultanze contabili bancarie (estratti conti) come solutoria (basti pensare a tutti i casi in cui il capitale del correntista risulta oltre fido solamente perché sono state addebitate pertinenze illegittime). Anche nelle decisioni delle corti di merito si è sviluppato un vivace dibattito tra chi si è allineato al primo orientamento, valorizzando, quindi, il “saldo banca“, e chi, invece, ha considerato come saldo di riferimento quello “ricalcolato/rettificato“. Invero, alcune pronunce hanno sostenuto che la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse confluite su conto corrente bancario debba determinarsi alla luce della situazione del conto al tempo del versamento, occorrendo verificare se, in quel momento, il conto presenti, o meno, uno scoperto. Il saldo da prendere in considerazione, quindi, è quello esposto dalla banca e non già il saldo rettificato con espunzione degli addebiti illegittimi. Assumere, infatti, quale saldo iniziale un importo già epurato dagli addebiti illegittimi e relativi al periodo precedente, verrebbe a vanificare l’effetto della prescrizione che comporta l’intangibilità delle somme versate, ancorché illegittimamente, in tale periodo (in questo filone interpretativo si inquadra anche la sentenza in questa sede impugnata). Pertanto, è vero che la pronunzia di nullità ha effetto retroattivo, ma è assorbente il rilievo che l’azione di ripetizione di somme è comunque assoggettata alla prescrizione decennale ex art. 1422 cod. civ. anche quando i versamenti diventino indebiti per la pronuncia di nullità. La prescrizione decennale funge da limite alla retroattività della pronunzia di nullità.
Di opposto tenore sono le considerazioni e le conclusioni dell’altra parte della giurisprudenza che valorizza il cd. “saldo rettificato” per l’individuazione della natura delle rimesse effettuate nel corso del rapporto dal correntista. Deve essere considerato, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, che la natura solutoria o ripristinatoria di una rimessa non può essere valutata ex ante, ma solo dopo aver ricalcolato i saldi epurandoli dalle poste non dovute e che ripristinando le posizioni di credito/debito potrebbero portare a ritenere ripristinatoria una rimessa che era stata trattata dalla banca come solutoria, come nel caso in cui il correntista risultava extra fido, solo perché gli erano state addebitate competenze ed interessi non dovuti.
Tale conclusione è avvalorata dal fatto che non può essere fatto affidamento alla contabilità della banca e alle sue periodiche risultanze finali, in quanto queste sono spesso soltanto apparenti e virtuali, conseguenza di clausole e prassi contrattuali a volte contrarie a norme imperative ed inderogabili. Quindi, per il calcolo delle rimesse solutorie, va preso in riferimento il saldo rettificato, al fine di non confondere rimesse “apparentemente solutorie” con rimesse “effettivamente solutorie”.
In un siffatto contesto è intervenuta nuovamente la Suprema Corte[3], la quale, pronunciandosi su tale vexata quaestio, ha ritenuto, proprio in base ai principi offerti dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite del 2010, corretto il modus procedendi del consulente contabile, fatto proprio dalla decisione di merito innanzi a essa impugnata, che aveva individuato la natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse effettuate dal correntista non con una valutazione ex ante, ma solamente dopo aver eliminato dal saldo tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito. Esclusivamente in tal modo, e quindi ricostruendo ex post l’intero rapporto di dare/avere, sarebbe stata possibile una valutazione in concreto della natura dei versamenti effettuati dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente. Secondo tale arresto, quindi, il conto passivo extra-fido deve essere soltanto quello che supera il limite del fido dopo che è stato depurato da tutte le competenze illegittime derivanti da nullità originarie. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’orientamento favorevole all’utilizzo del “saldo banca”, la Corte ha espresso, affatto coerentemente, la netta separazione tra l’azione di prescrizione e quella di accertamento della nullità delle competenze illegittime addebitate dalla banca. Infatti, l’individuazione delle rimesse solutorie non ha alcun rapporto di affinità o di collegamento con la prescrizione del diritto alla ripetizione dei pagamenti indebiti effettuati dal correntista: ricalcolare il reale ed effettivo rapporto di dare/avere, eliminando tutte le competenze addebitate dalla banca illegittimamente e quindi nulle, risulta essere una mera operazione preventiva e legittima rispetto a quella di individuazione dei versamenti solutori. Così facendo, infatti, si viene solamente ad operare una fictio iuris finalizzata a contrappore una realtà giuridica a quella storica offerta dalla banca e, quindi, il disposto dell’art. 1422 c.c. non risulterà violato ma varrà per tutte le rimesse “realmente” solutorie individuate in base al saldo ricalcolato. Il Collegio – melius re perpensa – condivide le argomentazioni e le conclusioni della pronuncia appena descritta, che rispecchia un orientamento ormai prevalente della giurisprudenza di legittimità[4], sicché deve ribadirsi che, nelle controversie che hanno ad oggetto l’azione di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili e la relativa domanda di ripetizione di indebito con prescrizione decennale, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere affrontata attraverso un iter procedurale che vede, in via preliminare, l’individuazione e la cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito e solo successivamente, avendo come riferimento tale saldo “rettificato”, si potrà procedere con l’individuazione della parte solutoria di ogni singolo versamento effettuato dal correntista nel corso del rapporto contrattuale di conto corrente con apertura di credito o comunque scoperto.
Pertanto, il dies a quo della prescrizione della condictio indebiti di cui all’art. 2033 c.c. decorrerà solo per quella parte della rimessa sul conto corrente che supererà il limite del fido dopo aver rettificato il saldo.
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[1] Trattasi di opzione che ha notevoli riflessi pratici nei contenziosi bancari aventi ad oggetto (come la odierna controversia) la nullità delle indebite annotazioni effettuate dalla banca nel corso di un rapporto di conto corrente con apertura di credito, o comunque scoperto, e la consequenziale azione di ripetizione ex art. 2033 c.c.
[2] Cfr. Cass. n. 24418/2010.
[3] Cfr. n. 9141/2020.
[4] Peraltro sostanzialmente confermate dalle successive Cass. n. 3858/2021 e Cass. n. 7721/2023.
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