Si danno per noti, a chi si occupa della particolare materia, i termini della vexata quaestio relativa al diritto di rimborso degli oneri commissionali nel caso di estinzione anticipata dei finanziamenti al consumatore – principalmente in riferimento alle cessioni del quinto dello stipendio e alle delegazioni di pagamento – e l’evoluzione delle vicende giurisprudenziali e normative, dai primi Orientamenti della Banca d’Italia e dell’Arbitro Bancario Finanziario, alla Sentenza “Lexitor” e alla Sentenza della Corte Costituzionale del 22.12.2022, per giungere alle modifiche legislative dell’art. 125 sexies del T.U.B. e alla ormai univoca giurisprudenza di merito.
Quest’ultima giurisprudenza ha dato ormai per pacifico il diritto del consumatore al rimborso di tutte le commissioni che entrano a far parte del costo totale del credito (dunque, anche quelle c.d. “up front”), e ciò secondo un criterio di proporzionalità lineare, secondo il quale l’importo da rimborsare è ottenuto dividendo la somma complessiva delle commissioni corrisposte per l’intera durata contrattuale (in mesi) e moltiplicando l’importo per la residua durata (sempre in mesi) del contratto estinto anticipatamente.
Questo stesso criterio è anche quello applicato dalla giurisprudenza di merito e dai Collegi ABF prima della sentenza “Lexitor”.
Purtuttavia, in questo quadro ormai stabilizzato della giurisprudenza di merito ed anche di legittimità, si registra ancora qualche voce dissonante sul criterio di calcolo da adottare nel rimborso delle commissioni riferite ai contratti anteriori al 25.7.2021.
Ad ingenerare confusione sono intervenuti dapprima il comma 2 dell’art. 125 sexies del TUB, nella formulazione adottata con il decreto legge n. 73/2021, convertito in legge n. 106 del 2021 – il quale disponeva, pro futuro, che “I contratti di credito indicano in modo chiaro i criteri per la riduzione proporzionale degli interessi e degli altri costi, indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato. Ove non sia diversamente indicato, si applica il criterio del costo ammortizzato” – e, da ultimo, il Decreto Legge 13 giugno 2023 n. 69, convertito dalla Legge …. il quale, nella parte finale, stabilisce, sempre pro futuro, che “Ove non sia diversamente indicato dalle parti, la riduzione del costo totale del credito avviene in conformità al criterio del costo ammortizzato”.
Una recente Ordinanza del Tribunale di Torino ha dato rilevanza a tali riferimenti normativi afferenti il criterio del costo ammortizzato – che si applicano pacificamente solo ai contratti stipulati successivamente alla entrata in vigore delle norme suddette, e cioè a partire dal 25.7.2021 – per desumerne una “indicazione di sistema”, che autorizzerebbe ad applicare il predetto criterio anche alle estinzioni dei contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della legge.
Altri (Collegio di Coordinamento ABF n. 26525 del 17 dicembre 2019), hanno invece ritenuto di colmare la lacuna normativa affermando “che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno
previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale” (c.d. curva degli interessi).
Ed allora, dinanzi ad interpretazioni diverse del quadro normativo, si ritiene utile qualche riflessione critica per poter individuare il criterio di calcolo più corretto fra quelli proponibili (criterio lineare, criterio del costo ammortizzato, curva degli interessi), nel rispetto dei principi generali dettati dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza “Lexitor”.
Il punto di partenza è rappresentato proprio da questi principi generali, ispirati dall’esigenza primaria di evitare speculazioni a carico dei Consumatori «dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla Banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto», con la conseguenza che «il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto».
Secondo la Corte di Giustizia, inoltre, l’obiettivo della direttiva 2008/48, mira a garantire un’elevata protezione del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 6 giugno 2019, Schyns, C-58/18, EU:C:2019:467, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata), sulla considerazione che “il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di negoziazione che il livello di informazione”.
In verità, la Sentenza “Lexitor”, al punto 24., individua, fra le possibili interpretazioni dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, anche quella secondo la quale “il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”.
La questione ruota pertanto attorno al concetto di “proporzionalità”, ritenendosi, sia pur da posizioni minoritarie, che in tale concetto possa rientrare anche un criterio diverso dalla rigida proporzionalità (c.d. criterio lineare), perché anche i criteri del “costo ammortizzato” o della “curva degli interessi” sarebbero criteri “proporzionali”.
Le interpretazioni che divergono dal criterio lineare “puro”, tuttavia prestano il fianco ad alcune osservazioni critiche, che di seguito si espongono.
- L’introduzione dell’art. 11-octies, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106 ha determinato una netta cesura fra i contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione (previsti dal primo periodo del comma stesso) e quelli conclusi anteriormente (contemplati, invece, dal secondo periodo). Pertanto la nuova normativa non può costituire una “indicazione di sistema” anche per il passato in ordine al criterio da utilizzare. Oltretutto, la nuova norma, prevedendo che i contratti di credito devono indicare in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalita’ lineare o il criterio del costo ammortizzato, intende valorizzare, in prima battuta, il contenuto dell’accordo contrattuale, il quale per rispettare l’obbligo di chiarezza e trasparenza, deve presentare una esposizione analitica, e porre il consumatore nella condizione di sapere ex ante, quale sarà il suo sacrificio economico nel caso di anticipata estinzione. E ciò non può esistere per i contratti già stipulati.
- E’ pur vero che la sentenza Lexitor non pone alcuna indicazione espressa di utilizzo del metodo pro rata temporis, tuttavia essa ha fatto esplicito riferimento ad un criterio “proporzionale”, e tale non può essere se non il criterio proporzionale “puro”, dal momento che gli altri criteri, sia quello del costo ammortizzato che quello della “curva degli interessi”, non esprimono una proporzione costante, bensì una proporzione che è variabile in ragione del momento in cui avviene l’estinzione. I criteri di calcolo diversi dal metodo pro rata temporis sono infatti correlati, oltre che alla durata residua del finanziamento, anche ad altri fattori diversi e variabili che mutano progressivamente con l’avanzamento del piano di ammortamento. Inoltre il piano di ammortamento è calcolato diversamente a seconda che sia “alla francese”, caratterizzato da quote capitale crescenti, interessi decrescenti e rate costanti, o “all’italiana”, che prevede il rimborso dell’obbligazione attraverso una quota capitale costante nel tempo e una quota interessi decrescente e una quota capitale costante, ed è molto più vantaggioso di quello francese perchè gli interessi sono meno onerosi e le rate si alleggeriscono con il trascorrere del tempo. Pertanto, in relazione a queste variabili, l’estinzione anticipata può essere più o meno vantaggiosa per il consumatore o per la banca, e non consente di calcolare ex ante la convenienza di una estinzione anticipata.
- Secondo i principi espressi dall’art. 16 della Direttiva n. 48/2008, in caso di estinzione anticipata del finanziamento il creditore ha diritto ad un indennizzo che deve essere chiaro e comprensibile per i consumatori già nella fase precontrattuale. Questo indennizzo non può essere superiore all’1% dell’importo del credito rimborsato in anticipo, e la sua funzione è proprio quella di remunerare il creditore per il rimborso anticipato del credito. Ora se tale remunerazione è già stata stabilita contrattualmente, o è normativamente prevista, non è giustificabile un ulteriore indennizzo che dovesse derivare, anche indirettamente, da un rimborso solamente parziale dei costi totali correlati al finanziamento.
- Gli interessi corrispettivi, nei finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o pensione, sono calcolati preventivamente in misura fissa e corrisposti al creditore sul capitale finanziato, che comprende, anche i costi commissionali sostenuti anticipatamente dal consumatore (sia up front che recurring), incassati dalla Banca. In sostanza, la banca finanzia anche i costi commissionali. Al momento dell’estinzione anticipata la Banca procede allo storno dei soli interessi ancora da maturare, ma non anche allo storno proporzionale degli interessi corrisposti dal consumatore sul finanziamento dei costi commissionali che devono essere fatti oggetto di riduzione. Pertanto, in tal modo, essa ottiene un ulteriore vantaggio, costituito, appunto, dalla percezione degli interessi calcolati sul totale dei costi commissionali, anziché sulla parte proporzionale di essi maturata al momento dell’estinzione.
- Il criterio lineare, diversamente dagli altri due, è invece di estrema semplicità (si divide il costo delle commissioni per il numero complessivo delle rate e si moltiplica per le rate residue), è immediato e trasparente, non richiedendo sofisticati calcoli matematici che solo la Banca può svolgere, e permette di conoscere, già al momento della stipula del finanziamento, l’importo che può essere oggetto di retrocessione. Questo criterio è l’unico in grado di rispettare le esigenze di trasparenza e di protezione elevata del consumatore, di riequilibrare l’asimmetria informativa, e di impedire speculazioni in danno dei consumatori.
- Al contrario, secondo la definizione datane dalla Relazione al D.L. n. 104/2023, il costo ammortizzato di un’attività o passività finanziaria “corrisponde al valore iniziale al quale sono sottratti gli interessi pagati e i rimborsi di capitale, aumentato o diminuito dall’ammortamento cumulato utilizzando il criterio dell’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale e quello a scadenza e dedotta qualsiasi riduzione a seguito di una perdita di valore”. Evidentemente si tratta di un complesso calcolo finanziario, che il consumatore (e nemmeno il Giudice che deve applicare la norma, se non con l’ausilio di un esperto) non è grado di eseguire, né di verificare, ma, soprattutto, non è in grado di calcolare “ex ante”, al momento della stipulazione del contratto di finanziamento o nella fase precontrattuale. Parimenti, l’altro criterio della “curva degli interessi”, e anche quello simile della “curva del TAEG”, abbisognano di calcoli complessi, che non rispondono alle esigenze di chiarezza e trasparenza, e penalizzano il consumatore, favorendo invece il creditore, il cui indennizzo derivante dal rimborso anticipato non può invece eccedere la misura stabilita dall’art. 16 della Direttiva n. 48/2008, e che gode altresì dell’ulteriore vantaggio degli interessi maturati sulla totalità dei costi commissionali, come esposto al punto 4).
- Una ulteriore argomentazione a sostegno dell’opportunità di utilizzare il criterio lineare, si evince altresì dalla recentissima decisione della CGUE in data 12.10.20203 nella causa n. C.326/2022, la quale, al punto 27, ha evidenziato “l’obbligo di garantire un’efficacia pratica all’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48”, e tale efficacia pratica mal si concilia con l’esecuzione di complessi calcoli di matematica finanziaria, e può essere garantita solo dal criterio proporzionale puro.
- Infine, una considerazione di ordine consumeristico. L’art. 5 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio Europeo, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori dispone che “Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”. Del pari, l’art. 35, comma 2 del d.lgs. n. 206 del 2005 prevede che, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore. Ora, la gran parte dei contratti di finanziamento stipulati prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 73/2021, prevede la non rimborsabilità tout-court dei costi “up front”, clausola di cui è costantemente affermata la nullità in sede giurisdizionale, e che deve essere pertanto sostituita con una interpretazione che deve essere più favorevole al consumatore per i principi sopra affermati. Tutto ciò porta a concludere che l’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita dalla applicazione di criteri diversi da quello proporzionale “lineare”, non potendosi ritenere che tali diversi criteri siano chiari e comprensibili ad un consumatore di cultura media sfornito di nozioni di matematica finanziaria e di strumenti idonei ai complessi calcoli necessari. E queste conclusioni dovrebbero portare anche a riflettere sull’attuale versione dell’art. 125 sexies del T.U.B. in riferimento alla previsione del criterio residuale del “costo ammortizzato”.
di Davide Mercuri
Studio Legale MercuriSi danno per noti, a chi si occupa della particolare materia, i termini della vexata quaestio relativa al diritto di rimborso degli oneri commissionali nel caso di estinzione anticipata dei finanziamenti al consumatore – principalmente in riferimento alle cessioni del quinto dello stipendio e alle delegazioni di pagamento – e l’evoluzione delle vicende giurisprudenziali e normative, dai primi Orientamenti della Banca d’Italia e dell’Arbitro Bancario Finanziario, alla Sentenza “Lexitor” e alla Sentenza della Corte Costituzionale del 22.12.2022, per giungere alle modifiche legislative dell’art. 125 sexies del T.U.B. e alla ormai univoca giurisprudenza di merito.
Quest’ultima giurisprudenza ha dato ormai per pacifico il diritto del consumatore al rimborso di tutte le commissioni che entrano a far parte del costo totale del credito (dunque, anche quelle c.d. “up front”), e ciò secondo un criterio di proporzionalità lineare, secondo il quale l’importo da rimborsare è ottenuto dividendo la somma complessiva delle commissioni corrisposte per l’intera durata contrattuale (in mesi) e moltiplicando l’importo per la residua durata (sempre in mesi) del contratto estinto anticipatamente.
Questo stesso criterio è anche quello applicato dalla giurisprudenza di merito e dai Collegi ABF prima della sentenza “Lexitor”.
Purtuttavia, in questo quadro ormai stabilizzato della giurisprudenza di merito ed anche di legittimità, si registra ancora qualche voce dissonante sul criterio di calcolo da adottare nel rimborso delle commissioni riferite ai contratti anteriori al 25.7.2021.
Ad ingenerare confusione sono intervenuti dapprima il comma 2 dell’art. 125 sexies del TUB, nella formulazione adottata con il decreto legge n. 73/2021, convertito in legge n. 106 del 2021 – il quale disponeva, pro futuro, che “I contratti di credito indicano in modo chiaro i criteri per la riduzione proporzionale degli interessi e degli altri costi, indicando in modo analitico se trovi applicazione il criterio della proporzionalità lineare o il criterio del costo ammortizzato. Ove non sia diversamente indicato, si applica il criterio del costo ammortizzato” – e, da ultimo, il Decreto Legge 13 giugno 2023 n. 69, convertito dalla Legge …. il quale, nella parte finale, stabilisce, sempre pro futuro, che “Ove non sia diversamente indicato dalle parti, la riduzione del costo totale del credito avviene in conformità al criterio del costo ammortizzato”.
Una recente Ordinanza del Tribunale di Torino ha dato rilevanza a tali riferimenti normativi afferenti il criterio del costo ammortizzato – che si applicano pacificamente solo ai contratti stipulati successivamente alla entrata in vigore delle norme suddette, e cioè a partire dal 25.7.2021 – per desumerne una “indicazione di sistema”, che autorizzerebbe ad applicare il predetto criterio anche alle estinzioni dei contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della legge.
Altri (Collegio di Coordinamento ABF n. 26525 del 17 dicembre 2019), hanno invece ritenuto di colmare la lacuna normativa affermando “che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno
previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale” (c.d. curva degli interessi).
Ed allora, dinanzi ad interpretazioni diverse del quadro normativo, si ritiene utile qualche riflessione critica per poter individuare il criterio di calcolo più corretto fra quelli proponibili (criterio lineare, criterio del costo ammortizzato, curva degli interessi), nel rispetto dei principi generali dettati dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza “Lexitor”.
Il punto di partenza è rappresentato proprio da questi principi generali, ispirati dall’esigenza primaria di evitare speculazioni a carico dei Consumatori «dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla Banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto», con la conseguenza che «il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto».
Secondo la Corte di Giustizia, inoltre, l’obiettivo della direttiva 2008/48, mira a garantire un’elevata protezione del consumatore (v., in tal senso, sentenza del 6 giugno 2019, Schyns, C-58/18, EU:C:2019:467, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata), sulla considerazione che “il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di negoziazione che il livello di informazione”.
In verità, la Sentenza “Lexitor”, al punto 24., individua, fra le possibili interpretazioni dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, anche quella secondo la quale “il metodo di calcolo che deve essere utilizzato al fine di procedere a tale riduzione consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione alla durata residua del contratto”.
La questione ruota pertanto attorno al concetto di “proporzionalità”, ritenendosi, sia pur da posizioni minoritarie, che in tale concetto possa rientrare anche un criterio diverso dalla rigida proporzionalità (c.d. criterio lineare), perché anche i criteri del “costo ammortizzato” o della “curva degli interessi” sarebbero criteri “proporzionali”.
Le interpretazioni che divergono dal criterio lineare “puro”, tuttavia prestano il fianco ad alcune osservazioni critiche, che di seguito si espongono.
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