1 min read

Nota a Cass. Civ., Sez. I, 1 settembre 2023, n. 25583.

di Annarita Lardaro

Avvocato

“Poiché l’interpretazione del testo contrattuale deve raccordare il “senso letterale delle parole” alla dichiarazione negoziale nel suo complesso, non potendola limitare a una parte soltanto di essa, l’indicazione, per i buoni postali della serie ‘Q/P’, di rendimenti relativi alla serie ‘P’ per l’ultimo periodo di fruttuosità del titolo non è in sé decisivo sul piano interpretativo, in presenza della stampigliatura, sul buono, di una tabella sostitutiva di quella della serie ‘P’, in cui erano inseriti i detti rendimenti: tanto più ove si consideri che la tabella in questione adotta una modalità di rappresentazione degli interessi promessi che risulta eccentrica rispetto a quella di cui alla precedente tabella, così da rendere evidente l’assenza di continuità tra le diverse previsioni.

In presenza di una incompleta o ambigua espressione della volontà delle parti quanto ai rendimenti del buono postale di nuova emissione rientrante nella previsione dell’art. 173 d.P.R. n. 156/1973, opera una integrazione suppletiva che consente di associare al titolo i tassi contemplati, per la serie che interessa, dal decreto ministeriale richiamato dal primo comma del detto articolo”.

Questi i principi di diritto ribaditi dai Giudici di Piazza Cavour con ordinanza n. 25583, nei fatti, esplicitamente confermando le considerazioni già espresse nel leading case Varuolo c/Poste Italiane S.p.A., deciso con sentenza n. 22619/2023 del 26 luglio scorso.

Il caso prende le mosse dal ricorso in Cassazione presentato da Poste Italiane avverso la pronuncia della Corte di appello di Brescia che – a sua volta – aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Bergamo aveva condannato la società a liquidare in favore della titolare l’importo portato da 19 buoni fruttiferi postali delle serie O, P/O e P, sottoscritti tra il 1984 e il 1986, alle condizioni previste dal DM 13 giugno 1986, nonché a pagare in favore del titolare la somma di euro 40.543,36, in relazione a 6 buoni postali della serie Q/P, acquistati dal 2 agosto in 1986 in poi, nel rispetto delle condizioni economiche riprodotte a tergo degli stessi titoli.

Nello specifico, il Giudice di secondo grado aveva ritenuto: a) che, con riferimento ai 6 buoni postali dellaserie Q/P, acquistati dal 2 agosto 1986 in poi, andasse applicato il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 13979/2007, sicché le diverse condizioni stabilite dal DM 13 giugno 1986 dovevano ritenersi inapplicabili, in quanto precedenti a quellediverse apposte sui titoli emessi in epoca successiva alla sua entratain vigore che, dunque, prevalevano quale espressione dell’autonomia privata, a nulla valendo la diversa determinazione generale del medesimo prevista dal decreto ministeriale vigente all’epocadell’emissione; b) che, per i 19 buoni postali delle serie O, P/O e P, andava confermata la decisione di primo grado, che aveva correttamente ritenuto l’inserzione automatica delle nuove clausole determinative dei nuovi rendimenti, contenute nel dm del 1986, per effetto della sola pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, senza che ciò ledesse in alcun modo il principio del legittimo affidamento o gliobblighi generali di correttezza e buona fede privatistici, come anche i principi amministrativistici di efficacia degli atti amministrativi.

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte – nel ribadire il proprio orientamento nomofilattico secondo i principi esposti in premessa e disattendendo invece il Giudice d’Appello ha stabilito che: a) in ordine alla doglianza circa la violazione e falsa applicazione dell’art. 173 DPR 156/1973 e il motivo è infondato alla luce delle argomentazioni giuridiche espresse nel citatro leading case Varuolo; b) in relazione al motivo della violazione e falsa applicazione dei doveri informativi gravanti in capo a Poste Italiane all’atto del collocamento del buono fruttifero postale la Corte ha ritenuto parimenti inammissibile il motivo in quanto non vi era stato nell’appello incidentale alcun riferimento all’avvenuta formulazione di una domanda di risarcimento del danno; c) per quanto attiene invece al terzo motivo ovvero la violazione e falsa  applicazione dell’art. 5 L. 2248/1865 All. E, gli Ermellini hanno ritenuto che il decreto ministeriale del 13 giugno 1986, al pari degli altri che si sono succeduti in applicazione dell’art. 173 del codice postale, è statocorrettamente considerato come un atto amministrativo generale e astratto, ritenendo  in sostanza che esso, in quanto espressamente attuativo di una delega normativa contenuta in una norma di rango primario, mutuasse dalla fonte legittimante le caratteristiche di generalità e astrattezza e che, per la sua opponibilità ai privati, necessitasse della sola pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Così statuendo, quindi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di Poste Italiane S.p.A., cassando la sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Brescia e ribadendo il proprio consolidato orientamento in materia di buoni fruttiferi postali.  

Seguici sui social: