Nota a ACF, 10 luglio 2023, n. 6677.
Massima redazionale
Nella specie, l’Intermediario non ha fornito elementi congrui, atti a dimostrare di aver effettivamente assolto i propri obblighi informativi in linea con la normativa di settore. Difatti, emerge una modalità solo rituale di adempimento degli obblighi, peraltro secondo un modus operandi abituale e più volte rilevato in fattispecie analoghe, che la giurisprudenza arbitrale ha reiteratamente stigmatizzato, facendo presente che la formale sottoscrizione di dichiarazioni attestanti la presa visione di documentazione informativa sia insufficiente a far ritenere adeguatamente assolti gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario prestatore di servizi d’investimento, non potendosi ritenere funzionale allo scopo la mera messa a disposizione dell’Opuscolo Informativo in sede di stipula del contratto quadro. Tale documento, invocato dall’intermediario resistente in chiave difensiva, si limitava, invero, a rappresentare, per categoria, le caratteristiche di tutti gli strumenti finanziari che potevano essere oggetto di investimento, forniva la definizione dei rischi ipotizzabili e, quanto alle azioni contestate, ne riportava sinteticamente i rischi, nell’ambito di un generico distinguo tra titoli di capitale e titoli di debito.
Con riferimento alla doglianza relativa al mancato rispetto delle regole in tema di adeguatezza/appropriatezza, il Collegio evidenzia che, come risultante dal modulo d’ordine relativo all’operazione di investimento per cui è controversia, l’intermediario avesse comunicato la non appropriatezza, senza tuttavia fornire al cliente alcun ragguaglio informativo specifico circa le relative motivazioni; può, allora, richiamarsi quanto già osservato in occasioni non dissimili, ovverosia «La doglianza riguardante la mancata comunicazione delle ragioni di non appropriatezza è fondata. I due ordini di acquisto si limitano, infatti, ad una indicazione del tutto generica rispetto al carattere non appropriato dell’investimento, risultando così espressione di un modus operandi che quest’Arbitro ha già avuto modo, in precedenti occasioni, di censurare, giacché la mancata indicazione dei motivi posti a fondamento di tale valutazione impedisce al cliente di orientarsi con autentica consapevolezza nel momento in cui è chiamato a decidere se confermare l’ordine ovvero revocarlo”. Inoltre, il giudizio di (in)appropriatezza, reso all’interno dello stesso modulo con cui è disposto l’ordine di acquisto, fa venir meno «la sua reale funzione di richiamo di attenzione dell’investitore. Nella scansione logica degli adempimenti, infatti, il giudizio di non appropriatezza dovrebbe essere reso separatamente rispetto all’ordine di acquisto impartito dal cliente e ad esso, una volta espresso, dovrebbe poi fare seguito, oltretutto dopo un lasso di tempo congruo per permettergli di assumere consapevolezza di tale valutazione negativa, la sottomissione al cliente di un nuovo modulo d’ordine.»[1].
Con riferimento all’esito dei questionari di profilatura non può che trarsi conferma della fondatezza di quanto affermato da parte ricorrente in merito alla contraddittorietà e incoerenza dei suoi contenuti, ove si consideri che trattavasi di investitore retail in possesso di titolo di studio di licenza elementare, che non aveva in precedenza mai investito in titoli azionari e che non aveva altra fonte di reddito oltre alla pensione di vecchiaia. Circostanza che corrobora inequivocabilmente le rilevate criticità di una valutazione di inappropriatezza resa solo formalmente e in via rituale.
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[1] Cfr. ACF, 25.11.2021, n. 4644.
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