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Nota a ACF, 31 marzo 2023, n. 6454.

di Junia Valeria Massa

Praticante avvocato

Con la pronuncia in commento l’Arbitro per le Controversie Finanziarie si è espresso in materia di responsabilità dell’intermediario nella prestazione dei servizi di investimento, in particolare in relazione all’inadempimento degli obblighi di informazione sulle caratteristiche degli strumenti finanziari acquistati dai clienti.

È bene altresì rilevare che la vicenda sottoposta alla nostra attenzione affronta un’altra questione che al giorno d’oggi si appalesa controversa, vale a dire la successione dei debiti risarcitori tra intermediari finanziari.

Proprio da tale argomento è utile partire per passare in rassegna la decisione del Collegio.

Nel caso in esame, infatti, l’intermediario convenuto è un soggetto che ha incorporato un ente – ponte a cui sono stati conferiti gli asset del precedente intermediario, poi sottoposto a procedura di risoluzione della crisi di enti creditizi, che ha emesso parte delle azioni oggetto della presente decisione.

Ebbene, l’intermediario convenuto ha eccepito in via pregiudiziale il difetto di legittimazione passiva, sul presupposto che non ci sarebbe stata successione nel debito risarcitorio vantato dalla ricorrente.

La questione è stata a più riprese affrontata da parte del Collegio richiamando l’indirizzo seguito in precedenti pronunce che hanno affermato la legittimazione passiva in capo agli Intermediari, in qualità di incorporanti della nuova Banca, a stare in giudizio nei procedimenti ACF aventi ad oggetto la violazione di regole di condotta nella vendita di azioni della vecchia Banca[1].

Più di recente, nel silenzio del Giudice di legittimità,  lo stesso Arbitro ha ribadito, richiamando un orientamento ormai consolidato, che “il provvedimento della Banca di Italia, nel definire il perimetro della cessione delle passività della vecchia banca all’ente ponte, debba essere interpretato restrittivamente, nel senso dunque che le situazioni giuridiche passive escluse dalla cessione sono solo quelle ivi espressamente menzionate, e tra esse non vi è alcun cenno ai debiti di natura risarcitoria conseguenti alla vendita di azioni e obbligazioni in violazione delle regole che presiedono al corretto svolgimento di servizi di investimento[2]”. Tale orientamento induce a ritenere che l’obiettivo opportunamente perseguito sia quello di “includere il più possibile” e di “escludere il meno possibile” dal perimetro oggetto della cessione, così da preservare la continuità aziendale, a fondamento della quale si pone indissolubilmente anche la continuità dei rapporti contrattuali (attivi e passivi) con la relativa clientela.

Chiarito questo primo punto, nel merito occorre ora soffermarsi sul tema della responsabilità̀ dell’intermediario nella prestazione dei servizi d’investimento in relazione all’inadempimento degli obblighi di informazione sulle caratteristiche degli strumenti finanziari acquistati, sia nella fase genetica dell’investimento che in quella successiva.

Come è noto, ai sensi del TUF, artt. 117 e 119, e del Reg. Consob n. 11522/98, l’Intermediario finanziario è gravato da un duplice obbligo informativo, integrato, da un lato, dalla necessità di illustrare i rischi dell’operazione e, dall’altro, da quella di acquisire dal cliente le informazioni utili a valutare l’adeguatezza dell’operazione richiesta e dalla conseguente astensione dal realizzare l’operazione ove inadeguata rispetto al profilo del medesimo.

L’art. 28, comma 2, del Regolamento Consob, applicabile ratione temporis, prescrive un obbligo informativo specifico a carico dell’intermediario finanziario che deve garantire una “conoscenza concreta ed effettiva dello specifico titolo negoziato”, in relazione alla natura, ai rischi e alle implicazioni della specifica operazione o del servizio, elementi la cui conoscenza risulta necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento (o disinvestimento).

Preliminarmente si chiarisce che gli specifici obblighi informativi che incombono sull’intermediario finanziario sono distinti in doveri d’informazione “passiva” (ossia, l’obbligo d’informarsi) e “attiva” (ossia, l’obbligo d’informare): tra i primi rientrano la c.d. know your costumer rule, la quale impone all’intermediario di acquisire una serie di informazioni sulle caratteristiche e sulla propensione al rischio del cliente (art. 28, comma 1, lettera a), Reg. Consob), e la c.d. know your merchandise rule, la quale impone all’intermediario di acquisire un’adeguata conoscenza degli strumenti finanziari offerti ai clienti (art. 26, lettera e), Reg. Consob); tra i secondi rientrano, invece, l’obbligo di fornire al cliente informazioni adeguate sulla natura, sui rischi, e sulle implicazioni della specifica operazione di investimento (art. 28, comma 2, Reg. Consob), nonché la c.d. suitability rule, che obbliga l’intermediario ad astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate e a segnalare la non adeguatezza dell’operazione, qualora sia il cliente a richiederla (art. 29 commi 1 e 3, Reg. Consob).

Conformemente alla ratio di tale ultima prescrizione, deve ritenersi che l’assolvimento degli obblighi informativi da parte dell’intermediario debba essere necessariamente e realmente preventivo e non possa avvenire contestualmente alla formazione della volontà negoziale o alla esecuzione stessa dell’incarico.

Nel caso in esame, il resistente non ha fornito alcuna prova della valutazione di appropriatezza e dell’esito positivo, avendo depositato in atti solo le schede di adesione agli aumenti di capitale.

Le affermazioni dell’intermediario secondo le quali la conoscenza delle azioni della vecchia banca da parte della ricorrente era indubbia – e, pertanto, alleggeriva la banca dai propri obblighi informativi- non hanno trovato accoglimento sull’assunto che l’acquisto a più riprese del medesimo titolo in tempi diversi, effettuato dalla ricorrente,  non può indurre a ritenere che quest’ultima fosse consapevole delle caratteristiche dello strumento che andava acquistando, e ciò per l’assorbente profilo della mancata informativa sulle caratteristiche e sul livello di rischiosità effettivo delle azioni, nonché dell’assenza di elementi probatori circa la effettiva valutazione di appropriatezza[3].

La pregressa detenzione in portafoglio di azioni della medesima natura da parte dell’investitore non può, infatti, far presupporre che l’investitore sia già adeguatamente informato prima di aderire all’offerta dell’aumento di capitale.

Una impostazione contraria mal si concilierebbe con l’impianto garantista che il legislatore ha previsto a tutela del cliente retail.

La c.d. trading history dell’investitore non può quindi assurgere a condizione rimediale in virtù del mancato adempimento degli obblighi informativi che l’intermediario è, in ogni caso, tenuto a rispettare.

Come anche sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione: “a nulla rileva che l’investitore abbia già compiuto ulteriori operazioni di investimento; le informazioni, infatti, devono essere concrete e specifiche, come propriamente ritagliate sul singolo prodotto di investimento e devono essere trasmesse indipendentemente dalle peculiari caratteristiche dell’esperienza dell’investitore e di peso dell’investimento rispetto al patrimonio complessivamente investito[4]

Inoltre, in tema di onere probatorio, una recentissima ordinanza della Cassazione[5] ha stabilito che in tema di intermediazione finanziaria l’onere probatorio a carico dell’intermediario di aver adempiuto agli obblighi informativi nei confronti del cliente sussiste indipendentemente dalla valutazione di adeguatezza dell’operazione; la carenza di prova di avere dato adeguate informazioni, peraltro, determina una presunzione in ordine alla esistenza di un danno risarcibile a carico del cliente, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è, in ogni caso, fattore di disorientamento dell’investitore condizionandone le scelte di investimento.

A giudizio del Collegio l’intermediario non ha dimostrato di aver fornito, al tempo, informazioni specifiche sull’investimento in azioni della vecchia banca, avendo fatto solo riferimento alle informazioni generali e standardizzate contenute nel contratto quadro sottoscritto, nel Documento informativo sui rischi generali derivanti dagli investimenti in strumenti finanziari e, con riferimento all’acquisto delle azioni in adesione agli aumenti di capitale, nei relativi prospetti informativi, dei quali la ricorrente ha dichiarato di aver preso visione nelle schede di adesione.

Con riferimento agli obblighi informativi in corso di rapporto, la contestazione è stata considerata dal Collegio formulata in termini solo generici atteso che non risultava contrattualizzato nessun obbligo informativo in tal senso.

In ultimo, giova rammentare che, avendo la ricorrente ottenuto un ristoro parziale dal Fondo di Indennizzo, ad essa il Collegio ha riconosciuto un risarcimento pari al 70% del capitale complessivamente investito per la sottoscrizione delle azioni.

Alla luce delle considerazioni svolte si evince come gli obblighi posti a carico dell’intermediario e, in particolare, l’obbligo d’informazione, trovino giustificazione nella necessità del Legislatore di tutelare il risparmiatore, contraente più debole rispetto all’intermediatore: pertanto, il rapporto tra la Banca e il cliente non dovrebbe essere considerato in maniera confliggente, bensì secondo una linea di assistenza e di supporto.

 

 

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[1] Cfr. decisione ACF, n. 2287 del 27 febbraio 2020

[2] Si veda decisione ACF, n. 5780 del 23 agosto 2022, nei confronti dello stesso intermediario.

[3] Da ultimo, in questo senso, decisione ACF, n. 6299 del 7 febbraio 2023.

[4] Come statuito da Cass. Civ., n. 3914/2018.

[5] Cass. Civ., n. 7288 del 13 marzo 2023.

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