Nota a ACF 8 febbraio 2023, n. 6305.
Con la recente pronuncia in oggetto, l’Arbitrato per le Controversie Finanziarie si è espresso in tema di nullità del contratto – quadro per la prestazione dei servizi di investimento, per mancanza della forma scritta, ex art. 23 TUF.
In via di premessa, occorre rilevare che la prescrizione di forma prevista dalla normativa speciale sull’intermediazione finanziaria deve essere intesa in relazione allo scopo perseguito dalla norma sostanziale, sostenendo, quindi, che la ratio legis sia quella di permettere che il cliente-investitore prenda visione dei servizi di intermediazione finanziaria prestati, della durata e delle modalità di rinnovo e/o modifica del contratto, delle caratteristiche proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni di investimento, della periodicità e della documentazione da fornire in sede di rendicontazione, nonché di ulteriori precetti volti a disciplinare il rapporto contrattuale in corso di esecuzione. Il fine è quello di assicurare che l’investitore abbia il potere di verificare il rispetto delle regole durante la fase di attuazione del contratto – quadro che per sua natura costituisce un contratto di durata.
Appare evidente la che violazione di suddetti precetti normativi determini una nullità di funzione che attiene a circostanze esterne del contratto e, dunque, non aventi natura strutturale. La funzione protettiva della norma in questione è rivolta esclusivamente nei confronti dell’investitore, parte debole del rapporto, non anche dell’intermediario finanziario che, per la sua qualità di operatore qualificato, non necessita della tutela apprestata.
Nel caso di specie la questione sottoposta all’attenzione del Collegio ha riguardato il rapporto tra l’uso selettivo della nullità di protezione, con riferimento alla pluralità di operazioni di investimento effettuate dal medesimo investitore sulla base di un unico contratto – quadro, poi dichiarato nullo, e l’applicazione del precetto della buona fede, quale clausola generale che consente all’intermediario di paralizzare la pretesa restitutoria del ricorrente/investitore.
A giudizio del Collegio, la mancata evidenza di un contratto-quadro d’intermediazione finanziaria comporta che il cliente abbia eseguito le operazioni d’investimento in assenza di un valido rapporto di mandato, con l’effetto che esse rimangono – salvo che il mandante non le abbia poi ratificate – a carico dell’intermediario, tenuto dunque a restituire la somma investita dal cliente senza poter trattenere i frutti eventualmente incassati medio tempore dal cliente stesso[1].
La peculiarità dell’istituto della nullità scrutinata nella decisione risiede quindi nella possibilità che la declaratoria di invalidità possa essere richiesta solo dal cliente o rilevata di ufficio dal giudice nell’ambito dei rapporti contrattuali dedotti dall’investitore stesso che è l’unica parte legittimata a formulare la domanda.
Tale impostazione è stata anche avallata dalla Suprema Corte che ha espresso tale principio di diritto: “la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nel D. Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 3, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro[2]”.
Muovendo da tale argomentazione, e quindi dal favor esplicito verso il contraente debole, è necessario porre l’attenzione sull’ultima parte del su citato principio che riconosce all’intermediario la possibilità di avvalersi dell’eccezione di buona fede per paralizzare la domanda di nullità dell’investitore diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto.
Invero, una selezione delle nullità ad opera dell’investitore potrebbe comportare un ingiustificato sacrificio economico a carico dell’intermediario qualora il cliente tenesse una condotta strumentale e opportunistica impugnando singoli ordini a lui sfavorevoli.
In simili circostanze, si pone all’attenzione degli interpreti la questione della compatibilità tra l’eccezione di buona fede, riconosciuta all’operatore qualificato, con il rimedio della nullità di protezione, espressamente prevista dal legislatore come tutela personalizzata dello stesso investitore. In merito al ricorso alla buona fede come principio ordinatore che regola il corretto esercizio della nullità selettiva, parte della dottrina più recente critica la soluzione prescelta dalle Sezioni Unite di limitare la restituzione all’investitore delle somme relative ad alcuni ordini d’investimento, quelli oggetto della domanda, in quanto paralizzate dall’eccezione di buona fede opposta dall’intermediario[3].
Trattandosi di una nullità che ha la finalità di creare sul piano processuale un equilibrio formale tra le parti, considerata l’asimmetria sostanziale connaturata nel rapporto, l’applicazione dei principi di buona fede e correttezza contrattuale anche nell’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale permette di risolvere le criticità applicative che possono derivare dall’adozione di un regime di nullità relativa.
Seppur vero risulta che tali principi operino in relazione agli interessi del cliente, ciò non esclude che possa configurarsi in capo allo stesso un generale obbligo di lealtà nei confronti dell’intermediario che abbia correttamente adempiuto ai propri obblighi.
Si tratta quindi di accertare se tale tipologia di rimedialità possa tradursi in un esercizio arbitrario e/o abusivo dello strumento di protezione, determinando effetti del tutto estranei alla ratio della norma e comportando, quindi, un pregiudizio alla controparte.
Un uso selettivo delle nullità da parte del cliente con una finalità diversa dalla ratio del rimedio deve ritenersi contraria al canone della buona fede e, più in generale, al principio solidaristico sancito dall’art. 2 della Costituzione.
Come si legge anche nella sentenza Cass. Civ., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 10505: “per accertare se l’uso selettivo delle nullità di protezione sia stato oggettivamente finalizzato ad arrecare un pregiudizio all’intermediario, il giudice de quo dovrà verificare l’esito degli ordini non colpiti dall’azione di nullità e, ove sia stato vantaggioso per l’investitore, porlo in correlazione con il petitum azionato in conseguenza della proposta azione di nullità. Qualora durante il corso del giudizio si accerti che gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio confluito nel petitum, potrà concludersi per un uso difforme del rimedio al canone della buona fede”.
La Corte di Cassazione prende atto che i vantaggi sul piano sostanziale e processuale riservati al cliente non possono tradursi in un’assenza di tutela nei confronti dell’intermediario; pertanto, ammette la legittimazione di quest’ultimo ad opporre l’eccezione paralizzante di buona fede.
Sulla natura di questa eccezione le Sezioni Unite ritengono che non si tratti di una forma di eccezione in senso stretto che agisce sui fatti costitutivi dell’azione di nullità proposta dal cliente, dalla quale scaturiscono gli effetti restitutori, ma riguarda una modalità di esercizio di poteri endocontrattuali delle parti[4].
Ciò premesso, secondo la giurisprudenza di legittimità il principio di buona fede non deve essere considerato una duplicazione di figure, invero, contigue, quali, per esempio, l’exceptio doli generalis[5] e l’abuso del diritto, ma deve porsi, in relazione all’uso selettivo delle nullità di protezione, come criterio per valutare se il cliente abbia agito coerentemente con la funzione tipica della nullità protettiva per scongiurare un ingiustificato sacrifico economico a carico dell’intermediario.
Anche se qualche autore aveva sostenuto il contrario, la buona fede richiamata dalle Sezioni Unite non è intesa in senso meramente soggettivo (sostanziandosi il giudizio, in quest’ipotesi, in un accertamento dell’intento fraudolento dell’investitore) – o, per lo meno, non solo soggettivo – ma oggettivo. L’esame degli investimenti complessivamente eseguiti si sostanzia in un’indagine puramente matematica e concreta: “è tutto un problema di somma algebrica di poste negative e positive[6]”.
Nella decisione sottoposta alla nostra attenzione, il Collegio sembra accogliere l’orientamento a cui sono approdate le Sezioni Unite.
L’eccezione sollevata dalla Banca è risultata però del tutto priva di puntuale e dettagliata allegazione e ritenuta, pertanto, non meritevole di accoglimento.
Non è stato possibile quindi accertare se gli investimenti complessivamente eseguiti dalla ricorrente, al netto del loro importo, avessero prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio asseritamente subito dall’investitore. Entro il limite del pregiudizio per l’investitore accertato in giudizio, infatti, l’azione di nullità non contrasta con il principio di buona fede. Oltre tale limite, opera, ove sia oggetto di allegazione, l’effetto paralizzante dell’eccezione di buona fede.
La conseguenza a cui è approdato il Collegio è stata, per l’appunto, la restituzione a carico dell’Intermediario della somma investita dalla ricorrente a seguito dell’accertata nullità delle operazioni di acquisto effettuate in virtù di un contratto nullo.
Da un punto di vista più generale la scelta adottata dalla sentenza n. 28314/2019 delle Sezioni Unite – e nel caso di specie applicata – sollecita una riflessione in merito alle criticità della regolamentazione finanziaria. Al fine di paralizzare una pretesa fondata su una regola di dettaglio, infatti, la Corte ha fondato il proprio convincimento sull’utilizzo, nel caso concreto, di uno standard identificato nell’eccezione di buona fede.
Tale criterio viene utilizzato al fine di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia degli investimenti dei privati in relazione alla collocazione dei propri risparmi (art. 47 Cost.) e la tutela dell’intermediario anche in funzione della certezza dei mercati in materia d’investimenti finanziari.
Seppur dalla regola risulti in astratto una chiarezza operativa – trattandosi di un calcolo matematico operato dal giudice – l’applicazione del criterio della buona fede costituisce terreno d’elezione di dubbi ermeneutici di non facile risoluzione. Ed invero, sotto un profilo prettamente teleologico “non è chiaro però come e perché una sottrazione aritmetica costituisca applicazione della regola di buona fede”[7].
Parrebbe, pertanto, più coerente con un sistema improntato alla tutela del contraente più debole negare che l’intermediario possa avvalersi di qualunque rimedio (azione o eccezione) teso a paralizzare, o quantomeno a ridurre, la pretesa azionata dall’investitore, assegnando a tale soluzione una evidente funzione sanzionatoria nei confronti dell’intermediario che ben può evitare le ipotesi di nullità previste dalla normativa vigente osservandone le prescrizioni.
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[1] Cfr. Decisioni ACF nn. 309, 532, 1815, 3292, 3783.
[2] Sentenza resa dalle Sezioni Unite Civili, 4 novembre 2019, n. 28314.
[3] Sul punto, v. D. IMBRUGLIA, La nullità selettiva tra vantaggio del cliente e paralisi delle restituzioni, in Persona e mercato, n. 1, 2020: ‹‹stavolta non è chiaro quale interesse protetto dall’ordinamento si opponga all’accoglimento della pretesa restitutoria con cui l’investitore, domandando “tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire”, intende recuperare le somme perse in forza di un titolo che è nullo››. Ancora, ‹‹La sensazione che lascia la lettura della sentenza è che le Sezioni Unite, dopo avere correttamente ricostruito la legittimità dell’azione di nullità selettiva dalla speciale conformazione dell’art. 23 T.u.f., siano cadute nello stesso errore dell’orientamento che contesta quell’azione perché ritiene iniqua la conseguenza (i.e., che l’investitore recuperi delle somme perse in esecuzione di un contratto senza al contempo restituire quanto ricevuto) e articola una soluzione distinguendo tra il piano della nullità (dove l’interesse del cliente è sovrano assoluto) e quello degli effetti restitutori (dove l’interesse del cliente incontra il limite del sacrificio economico dell’intermediario). […] Il risultato è quello di avvicinare la soluzione adottata a quel pericoloso filone di decisioni con cui il giudice, “in modo arbitrario”, sanziona “comportamenti delle parti che, per qualche ragione estranea alla applicazione delle norme processuali specifiche, sono considerati come “scorretti””. Il tempo dirà se questa limitazione alla restituzione delle somme versate in forza di ordini nulli perché privi di un valido contratto quadro resisterà o se, invece, la giurisprudenza correggerà il tiro, ora meglio giustificando l’eccezione paralizzante ora ripristinando il nesso tra restituzione e nullità selettiva››.
[4] In senso difforme G. GUIZZI, Le Sezioni Unite e le “nullità selettive” nell’ambito della prestazione di servizi di investimento. Qualche notazione problematica, in www.dirittobancario.it, 2019: a proposito dell’applicazione del principio di buona fede si chiede “se abbia senso evocarne l’applicazione in una vicenda che in realtà non ha a che far, dal momento che la premessa di tutto il discorso è che un rapporto contrattuale non vi è più – ed anzi non vi è mai stato, appunto perché esso non è stato validamente concluso – e dove semmai si tratta di disciplinare l’esercizio di pretese di natura restitutoria del capitale impegnato sine titulo dall’intermediario nelle singole operazioni di investimento”.
[5] Non residua spazio alcuno per l’exceptio doli generalis. È stato osservato A. Dalmartello, La nullità di protezione ex art. 23 t.u.f. tra uso selettivo e buona fede del cliente, in Nuova giur. civ. comm., 2020, I,
[6] Cfr. S. PAGLIANTINI, Le stagioni della nullità selettiva (e del “di protezione”). Intermediazione finanziaria, in I contratti, 2020, n.1.
[7] Sostenendo che «la regola è chiarissima: la regola è una sottrazione aritmetica. Non è chiaro però come e perché una sottrazione aritmetica costituisca applicazione della regola di buona fede», D. MAFFEIS, Nullità selettiva? Le Sezioni Unite e la buona fede dell’investitore nel processo, in www.dirittobancario.it
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