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Nota a ACF, 10 febbraio 2023, n. 6315.

Massima redazionale

La controversia de qua verte sull’eventuale accertamento di profili di responsabilità della SGR per aver erroneamente calcolato il valore da prendere a riferimento per la tassazione (introdotta nel 2011) sugli investimenti del ricorrente, in due fondi (gestiti dalla medesima SGR).

A giudizio del Collegio, l’operato dell’intermediario convenuto sia esente da censura, dovendosi convenire con quanto rappresentato in sede di deduzioni difensive, circa il fatto che la legge di conversione del decreto Milleproroghe 2011 abbia radicalmente riformato il regime fiscale dei fondi comuni di investimento di diritto italiano, allineata a quella degli omologhi prodotti di derivazione comunitaria, spostando per quanto qui interessa il momento della tassazione a quello della percezione dei proventi da parte dei partecipanti. Invero, a partire dal 1° luglio 2011, è stata estesa ai fondi comuni di diritto italiano la c.d. tassazione sul “realizzato”, in luogo di quella sul “maturato”. Ciò essendo, appare dunque corretta la ricostruzione operata dall’Intermediario laddove evidenzia che grava sull’investitore una ritenuta d’imposta sugli eventuali proventi percepiti, calcolati come differenza positiva tra il valore di rimborso e il costo medio ponderato di sottoscrizione delle quote.

Peraltro, non possono dirsi sussistenti profili di criticità neanche sotto il profilo informativo, avendo provveduto la SGR a modificare i regolamenti dei fondi interessati, fornendo debita notizia alla clientela, non potendosi a questo riguardo neanche rinvenirsi nella normativa di settore un obbligo in capo all’intermediario di rendere specifica e diretta informativa a ciascun cliente. Oltretutto, anche qualora si volesse ritenere che gravasse sull’Intermediario l’obbligo di rendere una apposita e più puntuale informativa sul nuovo regime fiscale dei fondi comuni di investimento italiani, l’odierno ricorrente avrebbe avuto a disposizione le seguenti alternative: liquidare l’investimento, così consolidando la perdita che all’epoca aveva maturato; mantenerlo in portafoglio, nella prospettiva di compensare poi la minusvalenza. In tale ultima ipotesi, un eventuale capital gain (calcolato, come da normativa del 2011, secondo i parametri surriferiti) sarebbe comunque sottoposto, ai sensi di legge, alla “nuova” tassazione cui il ricorrente non potrebbe, evidentemente, sottrarsi.

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