4 min read

Nota a App. Torino, Sez. I, 11 ottobre 2022, n. 1192.

di Antonio Zurlo

Studio Legale Greco Gigante & Partners

Sulla validità del saldo storico.

La Corte territoriale intende porsi senza soluzione di continuità con l’orientamento[1] per cui l’istituto della prescrizione debba essere scientemente inteso come escludente, oggettivamente, la tutelabilità di situazioni creditorie che, in ragione del tempo trascorso e dell’inattività della parte interessata, si debbono considerare estinte e, in quanto tali, non giustificanti il correlato svolgimento di attività processuale. Ciò posto, la verifica dell’intervento della prescrizione presuppone solo, anche con riferimento ai rapporti sub iudice, l’accertamento dell’esistenza di una situazione di affidamento ulteriore rispetto a quella documentata, tale da giustificare la qualificazione delle rimesse effettuate dal correntista come ripristinatorie e, quindi, valutabili, sotto il profilo della ripetibilità, solo alla cessazione del rapporto bancario contestato.

In assenza di affidamento, sì come oltre il limite di quello documentato, non possono esistere rimesse ripristinatorie, ma solo solutorie, immediatamente ripetibili, perché sostanzialmente “al di fuori” dello svolgimento fisiologico del rapporto bancario di conto corrente; il decorso del decennio dalla loro effettuazione rende ultroneo ogni ulteriore approfondimento. Non è di rilievo, ai fini della valutazione del profilo de quo, l’imprescrittibilità dell’azione di nullità e, quindi, la rilevabilità senza limitazioni di tempo, con un accertamento richiedibile in ogni momento a prescindere dalla chiusura del rapporto, dell’illegittimità degli accordi negoziali conclusi o di specifiche condizioni di essi rispetto alla normativa vigente. Si deve, infatti, osservare che l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, giustificante il rilievo dell’assenza di idonea pattuizione delle condizioni applicate al conto corrente ben oltre il decennio dalla conclusione del contratto relativo, si va ad intersecare con la pacifica prescrittibilità decennale dell’azione di ripetizione, con la conseguenza che è inutile il ricalcolo per importi che non è possibile legittimamente ripetere; diversamente ragionando si andrebbe a ricostruire l’andamento del conto non quale è stato, ma quale avrebbe dovuto essere, limitando l’operatività della prescrizione non a quanto effettivamente pagato in più (ovverosia, a quanto legittimamente e materialmente ripetibile), ma a quanto avrebbe dovuto essere pagato, sulla base di un ricalcolo che eliderebbe in concreto, inammissibilmente, l’operatività della prescrizione già maturata per la differenza tra il versato e l’effettivamente dovuto. In conclusione, si deve affermare l’intervenuta prescrizione del diritto della società appellante di ripetere e di espungere dal ricalcolo gli importi relativi alle rimesse solutorie effettuate prima del decennio anteriore alla data di ricezione da parte della Banca della lettera di messa in mora.

 

Sull’irrilevanza delle aperture di credito “autoliquidanti”.

Del pari, la Corte sabauda condivide il principio, invero consolidato, per cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, sia soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, che decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; nell’anzidetta ipotesi, infatti, ciascun versamento non configura un pagamento, dal quale far decorrere (ove ritenuto indebito) il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita a una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens[2]. Perché la rimessa non sia considerata solutoria è necessario, dunque, che consista in un versamento che si limita a ripristinare la provvista posta a disposizione dalla Banca; in tale prospettiva, il giudice di prime cure ha correttamente ritenuto irrilevanti le aperture di credito autoliquidanti (anticipi fatture, sbf, crediti commerciali); invero, solo il fido di cassa determina infatti un’immediata e incondizionata disponibilità del credito in favore del correntista, con individuazione di rimesse ripristinatorie di tale disponibilità, mentre nelle altre ipotesi l’accordato è solo l’importo massimo che la Banca si obbliga ad anticipare condizionatamente alla presentazione di carta commerciale. L’apertura di credito per anticipo titoli s.b.f. configura, come noto, un’operazione di sconto, che si distingue dalla vera e propria apertura di credito, anche se regolata in conto corrente, in quanto la banca si impegna solamente ad accettare lo sconto entro i limiti pattuiti e il correntista non può disporre immediatamente di alcuna somma, ma solo degli importi che verranno effettivamente accreditati in virtù dei singoli negozi di sconto. Non sono stati, quindi, correttamente considerati i contratti di apertura di credito sotto forma di anticipazioni, sconto o sbf.

 

________________________________

[1] V. da ultimo App. Torino, 22 agosto 2019, n. 1410.

[2] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 26 settembre 2019, n. 24051.

Seguici sui social: