Nota a Cass. Civ., Sez. I, 23 gennaio 2023, n. 1892.
Massima redazionale
È principio costante quello per cui l’esibizione dell’estratto conto certificato, ex art. 50 TUB (che, come noto, consiste in una dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e liquidità del credito), riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto[1]. In sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Ne consegue che, nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali (quale l’inutilizzabilità dell’estratto conto certificato), ma anche sostanziali (quali la contestazione dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati), nel giudizio a cognizione piena, spetta alla banca produrre il contratto su cui si fonda il rapporto, documentare l’andamento di quest’ultimo e fornire così la piena prova della propria pretesa[2]. Nella specie, la creditrice ha tardivamente integrato la prova, per cui sia il tribunale che la Corte territoriale hanno dichiarato i documenti tardivamente prodotti, ritenendo, però il credito egualmente provato facendo leva sulla domanda di insinuazione al passivo prodotta dalla banca nel fallimento della società, insinuazione la cui entità, secondo la sentenza non sarebbe stata mai contestata in quella sede anche se di importo notevolmente inferiore a quanto richiesto in sede monitoria. I ricorrenti lamentano che su questo aspetto l’affermazione non risponde alle risultanze dei loro atti difensivi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo e che, non è stata mai esibita prova alcuna sull’effettiva insinuazione nel passivo fallimentare della somma indicata dalla banca. La censura anche sotto tale aspetto è fondata, finanche il decreto del giudice delegato di ammissione di un credito allo stato passivo del fallimento, emesso ai sensi dell’art. 97 l. fall., ha natura giurisdizionale e da esso deriva un’efficacia preclusiva esclusivamente endofallimentare, ma non spiega alcuna efficacia nel giudizio promosso, ad esempio, dal creditore nei confronti di persona coobbligata del fallito[3].
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[1] Cfr. Cass. n. 21092/2016; Cass. n. 14640/2018.
[2] Cfr. Cass. n. 14640/2018; Cass. n. 15148/2018; Cass. n. 34812/2021.
[3] Cfr. Cass. n. 21092/2016; Cass. n.14640/2018; Cass. n. 11808/2022; Cass. n. 27709/2020.
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