Nota a Cass. Civ., Sez. I, 30 novembre 2022, n. 35190.
La Corte di Cassazione prima Sezione Civile con pronuncia n. 35190 del 2020 si è espressa sul ricorso presentato da una società in liquidazione in persona del legale rappresentate e i fideiussori nei confronti della Banca Popolare di Ancona S.p.A. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona.
I ricorrenti con sentenza n. 283 del 2 ottobre 2012 videro, dal Tribunale di Ancona, respinta la domanda riconvenzionale di pagamento dell’indebito relativa ad un contratto di contro corrente concluso tra le suddette parti e vennero condannati al pagamento in solido di una somma a titolo di saldo debitore di un contratto di mutuo stipulato dalla società ricorrente, oltre che agli interessi e spese di lite. Successivamente la Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione dei ricorrenti avverso la detta sentenza, rilevando in particolare che: a) relativamente alla domanda di accertamento negativo e ripetizione dell’indebito presentata dagli opponenti collegata ad un contratto di conto corrente intercorso tra le parti è mancata del tutto la prova, laddove non è stata dimostrata l’assenza della conclusione per iscritto del contratto di conto corrente; b) in secondo luogo si è affermato che gli interessi passivi dalla Banca addebitati per il periodo successivo al 31/03/2000 siano conformi alle prescrizioni di cui all’art. 2 delibera CICR del 9 febbraio 2000; c) e infine che correttamente il consulente tecnico non ha considerato la commissione di massimo scoperto nel calcolo di raffronto dei tassi soglia usurari in quanto le istruzioni della Banca d’Italia ne escludevano gli stessi dal relativo calcolo sino al termine del 31/12/2009.
Tra i motivi di ricorso presentati le parti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 co. 2 e 3 l. n. 287/1990 sull’assunto che la sentenza abbia erroneamente ritenuto valida la fideiussione, laddove diversamente questa, secondo i ricorrenti, sia affetta da nullità assoluta rilevabile d’ufficio in quanto integrante le condizioni qualificate illegittime dalla normativa antitrust, deducendo in particolare che lo stesso contenesse clausole relative alla reviviscenza, rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. e alla sopravvivenza della garanzia stessa dichiarate dalla Banca d’Italia con apposita delibera n. 55/2005 contrarie alla normativa antitrust in quanto dirette ad addossare al fideiussore le conseguenze negative scaturenti dalla negligenza della banca o da eventuali vizi dell’obbligazione principale.
Con ulteriore e collegato motivo i ricorrenti hanno censurato per violazione e falsa applicazione degli artt. 33, co. 1 e 2, 34, co, 1 e 2 cod. consumo in quanto la sentenza ritenendo valida la fideiussione avrebbe violato le norme a tutela del consumatore, in particolare per la presenza di clausole vessatorio nel contratto stesso.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tali motivi per genericità degli stessi, ricordando come una questione per la prima volta sollevata in un giudizio di Cassazione, anche se abbia ad oggetto una nullità rilevabile in ufficio in ogni stato e grado del procedimento, non può essere esaminata allorquando comporti un accertamento di fatto; il ricorrente per evitare una pronuncia di inammissibilità avrebbe dovuto allegare tanto la deduzione della questione avanti al giudice di merito quanto in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente l’abbia fatto.
La Corte ha dichiarato inammissibile per difetto di specificità anche il motivo con cui i ricorrenti affermano la violazione e falsa applicazione degli artt. 117, co. 1 e 3, T.u.b. e 23, co. 1, 2, 3, e 4 T.u.f., ossia per l’aver ritenuto la sentenza, valido il contratto di conto corrente laddove invece questo sia in realtà da ritenere nullo per difetto di forma in mancanza della sottoscrizione del cliente e della consegna del contratto, di conseguenza con la nullità anche dell’apertura di credito ad essa connessa. La Corte fa presente che in tema di ripetizione dell’indebito vige il principio dell’onere della prova a carico dell’attore il quale deve dimostrare tanto l’avvenuto pagamento quanto la mancanza di una causa che lo giustifichi, ritenendo che tale principio trovi applicazione anche si faccia questione dell’obbligazione restitutoria dipendente dalla asserita nullità di singole clausole contrattuali; i ricorrenti solo nell’ultimo dei motivi accennano al fatto che il rapporto di contro corrente non sia mai esistito.
Non meno importante è infine la ritenuta violazione e falsa applicazione affermata dalle parti ricorrenti, dell’art. 112 c.p.c relativo al dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; orbene, le parti ritengono che la Corte d’Appello si sia meramente limitata a ritenere assenta la prova della inesistenza o nullità del contratto di conto corrente laddove diversamente avrebbe dovuto riclassificare il contratto come richiesto dai ricorrenti, con un conseguente ricalcolo degli interessi e saldo dovuto da cui na sarebbe derivato un credito piuttosto che un debito nei confronti della banca, in sostanza deducendo una nullità del mutuo derivante dalla nullità del contratto di conto corrente per mancanza della relativa valida stipulazione. La Suprema Corte ritiene inammissibile detta doglianza in particolare sulla base della inammissibilità delle precedenti censure.
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Info sull'autore
Praticante Avvocato presso Giovannelli e Associati,