Nota a ACF, 2 novembre 2022, n. 6008.
A seguito della riunione di due ricorsi presentati dal medesimo investitore, il Collegio ha avuto modo di pronunciarsi sulla non corretta esecuzione dell’ordine di acquisto impartito dal cliente e sulla non correttezza del comportamento dell’intermediario che ha eseguito discrezionalmente l’ordine, pur in assenza della provvista, creando una esposizione debitoria a carico del ricorrente.
Preliminarmente, l’ACF ha ritenuto il ricorso presentato per ultimo inammissibile in ossequio del principio del ne bis in idem, avendo i due ad oggetto la medesima vicenda sostanziale.
Giova ricordare, al riguardo, che neanche le doglianze ulteriori presentate nel secondo ricorso possono infatti far giungere ad esito differente, in quanto la giurisprudenza esclude l’ammissibilità del frazionamento delle domande laddove il creditore -che nel caso di specie, nel primo ricorso non aveva neanche presentato delle deduzioni integrative- non abbia un interesse oggettivamente apprezzabile alla proposizione separata di azioni attinenti i crediti riferibili all’identico rapporto di durata ed inscrivibili nello stesso ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sui
medesimi fatti.
Differentemente, il Collegio ha ritenuto il primo ricorso accoglibile. L’Arbitro fonda la propria decisione sul principio generale sancito dall’art. 1710, comma 2, c.c. ai sensi del quale “il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o modificazione del mandato”.
Tale disposizione, applicabile in ogni operazione eseguita per conto altrui, risulta essere imperativa anche per l’intermediario nell’ambito del servizio di esecuzione di ordini e di negoziazione.
L’inadempimento del resistente si è concretizzato nel momento in cui ha ritenuto di dare esecuzione all’ordine di acquisto senza preventivamente informare il cliente, sebbene l’operazione comportasse un esborso per il ricorrente superiore alla provvista presente sul conto.
Ad avviso dell’Arbitro, la circostanza che l’esecuzione dell’ordine, seppur a prezzo di mercato, avrebbe determinato una esposizione debitoria del cliente rientrava certamente nel novero delle “circostanze sopravvenute” di cui all’art. 1710, comma 2, c.c.
L’intermediario-mandatario era pertanto obbligato a comunicare al cliente-mandante tale informazione, in modo da consentirgli di decidere se confermare l’ordine, accettando lo scoperto, oppure revocarlo integralmente ovvero modificarlo, riducendo il quantitativo oggetto dell’operazione così da mantenerla nei limiti della provvista esistente.
Per completezza, l’ACF esclude anche come la disapplicazione del Codice Civile, e l’esclusione
dell’inadempimento del resistente, possa derivare dalla presenza di una apposita clausola delle condizioni generali di contratto in cui si lascia una assoluta discrezionalità all’intermediario di decidere se onorare l’ordine allo scoperto.
Infatti, con una tale previsione, apparentemente anche vessatoria, si esonererebbe l’intermediario dall’obbligo di avere un confronto preventivo con il cliente-mandante circa la sua volontà di essere esposto al rischio di scoperto. Ciò significherebbe permettere all’intermediario di costringere il cliente a subire, senza la sua volontà, una concessione di credito per effettuare un’operazione su uno strumento finanziario che, oltretutto, integra un servizio accessorio di investimento e che come tale, ai sensi del combinato disposto degli art. 23 TUF e 37, comma 4, Reg. Intermediari, dovrebbe essere disciplinato sulla base di un apposito contratto scritto.
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