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Nota a ACF, 3 novembre 2022, n. 6017.

Massima redazionale

Secondo il costante orientamento dell’Arbitro, infatti, avvalorato dalla giurisprudenza di legittimità, la violazione da parte dell’Intermediario di regole di condotta, nella prestazione di servizi di investimento, non determina, di per sé, la nullità delle operazioni, potendo dare luogo esclusivamente al risarcimento del danno[1].

Con riferimento alla domanda di annullamento, anch’essa non può dirsi suscettibile di accoglimento; invero, nel caso di specie, parte ricorrente non ha provato che l’Intermediario ha fornito informazioni inesatte, né, tantomeno, ha fornito idonee evidenze circa la sussistenza del dolo o di un errore essenziale e riconoscibile, essendosi limitata ad allegare la violazione degli obblighi informativi e della disciplina in materia di valutazione di adeguatezza/appropriatezza, senza tuttavia fornire alcun specifico ragguaglio a fondamento della domanda. Parimenti infondata risulta essere la domanda di risoluzione degli investimenti per grave inadempimento: a tal proposito, l’ACF ha già avuto modo di rilevare (in casi analoghi a quello in esame) che inadempimenti siffatti, anche ove accertati, collocandosi in un momento antecedente all’effettuazione delle operazioni, non possono in sé operare come causa di risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Anche l’eventuale violazione degli obblighi informativi nella fase successiva all’investimento, nonché la violazione delle regole di trasparenza ex post sono inidonee, ove acclarate, a poter fondare l’accertamento di un inadempimento rilevante ai fini di una pronuncia di risoluzione. Con precipuo riferimento all’eccezione di prescrizione, la giurisprudenza arbitrale ha ripetutamente affermato che all’azione risarcitoria connessa alla violazione delle regole di condotta si applica il termine di prescrizione decennale e, in merito al dies a quo, della relativa decorrenza, ha ritenuto di condividere quell’indirizzo interpretativo[2] per cui, nelle ipotesi di responsabilità contrattuale, la prescrizione è regolata dal combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c., sicché comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, da individuarsi in quello in cui l’inadempimento si consuma e in cui conseguentemente si realizza la lesione del bene protetto (ossia la lesione del diritto del cliente di poter orientare consapevolmente le proprie scelte di investimento) e non già nel giorno in cui si manifesta la perdita sull’investimento compiuto; tale esito non solo rappresenta la normale alea implicita in ogni investimento, ma costituisce anche un evento che non necessariamente può dirsi una conseguenza immediata e diretta, in termini causali, dell’inadempimento agli obblighi che devono essere assolti nella fase precontrattuale da parte dell’Intermediario. Ciò posto, il dies a quo della prescrizione decennale della pretesa risarcitoria, fondata sulla violazione delle regole di condotta nella fase genetica degli investimenti coincide con le date di esecuzione degli investimenti, con la conseguenza che non è da ritenersi prescritta in relazione a tutti gli investimenti effettuati da parte ricorrente, rappresentando l’esecuzione dell’ordine il momento ultimo entro cui l’Intermediario è tenuto ad assolvere gli obblighi attinenti alla fase genetica degli investimenti[3].

Per converso, risultano fondate le doglianze in ordine alla violazione degli obblighi di informazione precontrattuale. L’intermediario resistente non ha, difatti, provato di avere congruamente assolto siffatti obblighi e in modo tale da consentire alla ricorrente di acquisire consapevolezza dei rischi derivanti dall’operatività in esame. Parte resistente ha prodotto soltanto la copia dell’ordine recante l’indicazione dei titoli, dalla quale nulla si può desumere in merito al servizio prestato (e, quindi, alla valutazione di appropriatezza/adeguatezza), né, tantomeno, alle informazioni fornite prima del conferimento dell’ordine. Quanto, invece, alla doglianza relativa alla mancata informazione successiva agli acquisti in lite, il Collegio rileva che, sebbene ciò non fosse previsto dal contratto-quadro sottoscritto, l’Intermediario abbia prodotto gli estratti del conto titoli periodicamente inviati, sicché nessun inadempimento è rilevabile.

Dalla documentazione in atti nulla si può desumere sul servizio prestato e, quindi, sulla effettiva valutazione di adeguatezza/appropriatezza, né sulle caratteristiche del titolo, di talché anche la detta contestazione risulta fondata. Pur volendo accettare la tesi dell’Intermediario che non fosse tenuto a valutare l’adeguatezza dell’operazione, bensì la mera appropriatezza, si rileva qui che è costante l’orientamento del Collegio secondo cui, per assolvere correttamente ai propri doveri, l’Intermediario non può in ogni caso limitarsi a rilevare la (eventuale) non appropriatezza di un’operazione, senza rappresentare all’investitore, in modo puntuale e compiuto, le relative ragioni “giacché la mancata indicazione dei motivi posti a fondamento di tale valutazione [di non appropriatezza] impedisce al cliente di orientarsi con autentica consapevolezza nel momento in cui è chiamato a decidere se confermare l’ordine ovvero revocarlo”[4]. La produzione documentale non è, in buona sostanza, idonea a comprovare che la Banca abbia al tempo agito correttamente ed in conformità con la normativa di settore.

Tanto ritenuto, si deve allora ragionevolmente ritenere che, ove la Banca avesse al tempo agito con tutta la specifica diligenza richiesta, la ricorrente non si sarebbe determinata nel senso di procedere con l’esecuzione dell’investimento per cui è controversia.

 

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[1] Cfr. ACF, 20 maggio 2021, n. 3784.

[2] Cfr. Cass. 28 gennaio 2004, n. 1547.

[3] Cfr. ACF, 3 novembre 2021, n. 4494.

[4] Cfr. ACF, 3 settembre 2020, n. 2860.

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