Nota a Trib. Forlì, 16 maggio 2022, n. 486.
A cura della Dott.ssa Alessandra Celano (Funzionario UPP).
La sentenza in oggetto analizza la portata del principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite n. 41994/21, in riferimento alla possibilità di applicare anche alle fideiussioni specifiche la sanzione della nullità parziale delle clausole violative della concorrenza n. 2,6,8 e censurate con il provvedimento n. 55/2005 di Banca D’Italia.
Nel caso di specie, il Tribunale di Forlì non ha accolto la domanda di nullità, integrale e/o parziale, della fideiussione specifica.
Partendo dalla ricostruzione della ratio della normativa anticoncorrenziale della legge n. 287/1990, di tutela della competitività del mercato e dei soggetti deboli operanti al suo interno, vengono esaminate le ricadute in sede di sottoscrizione della fideiussione tra cliente e banca.
Sviluppando un ragionamento a contrario – e ponendosi cioè dalla prospettiva della non condivisibile estensione del rimedio caducatorio alle fideiussioni specifiche, il Tribunale di Forlì analizza i seguenti profili.
In primis, il Tribunale ricorda l’arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sentenza n. 41994/21 del 30.12.2021.
Osserva che il Supremo Consesso ha chiarito come, pur con riferimento alle fideiussioni ominibus, spetterebbe comunque alla parte interessata a far valere la nullità totale non solo la prova della essenzialità delle clausole de qua, ma anche che, in assenza di queste, non avrebbe prestato la garanzia fideiussoria.
Pertanto, il Giudice forlivese ritiene che tale onere probatorio debba estendersi – a maggior ragione – anche alle fideiussioni specifiche.
In secondo luogo, chiarisce che, trattandosi di fideiussioni specifiche, la declaratoria di nullità parziale delle sole clausole anticoncorrenziali non è automatica, a differenza di quanto avviene per le fideiussioni omnibus.
Dunque, anche qualora si volesse estendere la tutela reale alle fideiussioni specifiche, la parte avrebbe dovuto adempiere ad un onere probatorio più rigoroso e consistente, comprovando l’usuale utilizzo del modello proposto da diverse banche sul territorio, poiché è da tale carattere di ripetitività ed omogeneità che deriva la compressione della libertà di scelta del tipo di contratto da concludere e del relativo contenuto.
In tal senso, i fideiussori avrebbero potuto dimostrare l’assenza di qualsiasi trattativa tra le parti in relazione alla garanzia fideiussoria da prestare.
La sola allegazione del provvedimento di Banca d’Italia non è stata considerata sufficiente a provare la sussistenza dell’intesa vietata a monte, in quanto tale documento assume forte valore istruttorio solo per il periodo compreso tra l’anno 2003 ed il 2005, e cioè coincidente con l’istruttoria avviata dall’Autorità di vigilanza, mentre per le fideiussioni stipulate successivamente -come quella esaminata dal Tribunale di Frolì – l’onere probatorio avrebbe dovuto essere più oneroso.